Giacomo Chiudina

L'Infedele punita (Canti del popolo Slavo)

Nella favella di questa poesia stà riposto
il più fecondo tesoro di tutte le lingue.
TOMMASEO.

Quando alla pugna s' accingea Germano,
Nelle corti la sua bella lasciava,
Così dicendo: “ Addio Jelina mia,
Parte più cara del mio core, al campo
Io vo, tra breve al tuo seno ritorno;
Pel tuo decoro e mio, fedel ti serba”.
E Jelina la Vaga rispondea:
Va, mio dolce Signor, vanne con Dio
Pria che nel mezzo del cammin giungesse
Jelka pigliò la brocca, e dietro al monte
Andò per acqua. Giunta alla fontana
Vide Pier Latkovin, che adorna avea
Di fior di terebinto la beretta.
Gli diceva la vaga di Germano:
“ Buon dì, leggiadro giovinotto, ah! dimmi
Ov' hai tu compri sì gentili fiori? ”
Ed ei: “ Sii sana, o donna di Germano;
Compri non gli ho, ma sol si danno in dono!
Corse Jelina nelle bianche corti.
E chiamò la sua fida cortigiana:
“ Odi, mia dolce; dietro al monte corri
E lì tu troverai Pier Latkovino,
Che ha fior di terebinto alla beretta
Digli, mia fida: ti saluta, o Pietro
La vaga di Germano, ed alla cena
Questa sera t'invita, onde le rechi
Que' bellissimi fior della berretta.
Nove porte ha il castel; la più nascosa
Aperta ti verrà; Germano è al campo
La cortigiana s' avviò ratta al fonte
E trovollo. “ Buon dì, Signor ”, gli disse,
“ Ti saluta la bella di Germano,
E te alla cena questa sera invita,
Che i fior di terebinto a lei tu rechi:
Nove porte ha il castel; la più nascosa
Aperta ti sarà, bel giovanetto
Poichè lungi è Germano ”. Udilla Pietro,
Forte bramò la sera, e giubilante
Alle corti s' avvia. Mette il cavallo
Di German nella stalla, il brando appende
La ‘ve pendeva di Germano il brando,
E la berretta, ov' ei posar la suole.
Lieti cenaro, e s'addormir più lieti.
Quand' ecco a mezza notte ode la voce
Di German, che la chiama: “ O mia Jelina,
Apri, diletta mia, le bianche corti ”.
Trepidante balzò dal letto, incerta
Che far dovesse. Dentro ascose Pietro,
Indi ratta a German le porte aperse.
Germano le chiedea: “ Perchè mia Jelka,
La cortigiana non hai tu chiamata
Ad aprirmi e mie candide corti ? ,, —
“ Deh! credi a Jelka, mio dolce Signore.
Jer sera s' allettò con fòrti lai
La cortigiana per dolor di capo,
A risvegliarla mi piangeva il core ”.
E Germano: “ Ben sta, Jelina mia,
Se bugiarda non è la tua parola.
Ma . . . quel cavallo nella stalla? e d' onde
La berretta de' fiori? e qual vegg' io
Estranio brando che al mio chiodo pende? ” —
“ Deh! credi a Jelka, mio Signor. Jer sera
Passò un guerriero per le nostri corti,
Mezza brocca di vin gli detti, ed egli
In pegno mi lasciò questo cavallo,
Nè sol, ma il brando, e la berretta sua ”.
E Germano: “ Ben sta, Jelina mia,
Se bugiarda non è la tua parola.
Ma . . . perchè scarmigliate hai tu le chiome,
E le tue bianche gote scolorite ? ,, —
“ Deh! credi a Jelka, mio Signor. Jer sera
Fui nel giardino; scolorimmi il viso
L' arancio, e il pomo mi scompose il crine ”.
E Germano: “ Ben sta, Jelina mia,
Se bugiarda non è la tua parola.
Della camera mia reca le chiavi ”. —
Deh! credi a Jelka, mio Signor. Jer sera
Fui nelle stanze tue, ruppi le chiavi ”.
Ma sdegnato Germano: “Or su le chiavi
Dammi, infedel, che ti recido il capo ”.
Col piè percosse e spalancò le porte,
E dentro ritrovò Pier Latkovino.
“ È forza, o buon voler, che quì ti mena! ” —
“ Se forza fosse ”, Pietro gli dicea,
“ Nel monte ella saria, ma buon volere
È nella corte tua, che fui chiamato ”.
Fuor lo lascia Germano, e a lei rivolto
“ Ascolta, infida: o vuoi che l' ossa tue
Sien stritolate da' mulini, o vuoi
Morir da zampe cavalline pesta,
O di lume servir alla mia cena ”.
Tinta di morte gli dicea la donna:
“ I' non son grano, che il mulin mi macini,
Erba non sono che i corsier mi pestino.
Ma di lucerna vo' servirti a cena ”.
L' udia Germano, e le poneva indosso
Cerea camicia, e sotto accese il fuoco.
Quando giungea la fiamma alle ginocchia
A Germano Jelina supplicava:
“ Non avresti pietà di giovinezza,
Nè di questi miei piè bianchi e leggiadri
Che volavano intorno alle tue corti? ”
Ma le sue preci non muovean Germano,
Ch' anzi vie più nutria la fatal fiamma.
Quando la fiamma alle sue man giungea
A Germano Jelina supplicava:
“ Non avresti pietà di giovinezza,
Nè di queste mie man candide e belle,
Che ti portavan vezzeggiando il figlio! ”
Ma le sue preci non muovean Germano,
Oh' anzi vie più nutria la fatal fiamma.
Quando giungea la fiamma alle mammelle,
A Germano Jelina supplicava:
“ Non avresti pietà di giovinezza,
Nè di queste mie candide mammelle,
D'onde il pargolo tuo succhiò la vita ”.
Ma le sue preci non movean Germano,
Ch' anzi viepiù nutria la fatal fiamma.
Quando giungea la fiamma agli occhi neri,
A Germano Jelina supplicava:
“ Non avresti pietà di giovinezza.
Nè delle nere mie pupille, o crudo,
Che tanto si beavan nel tuo figlio? ”
Ma le sue preci non muovean Germano,
Ch' anzi vie più nutria la fatal fiamma
Finchè l'ebbe bruciata viva viva.

Canti del popolo Slavo tradotti in versi italiani con illustrazioni sulla letteratura e sui costumi slavi per Giacomo Chiudina , Volume Primo, Firenze, Coi Tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana , 1878, pp. 155-159.

На Растку објављено: 2009-03-03
Датум последње измене: 2009-03-03 17:42:05
 

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