Antonio D’Alessandri

L’europeismo mazziniano tra teoria e realtà: il caso degli slavi del Sud

In un importante studio del 1940 Wolf Giusti mise in luce come Mazzini, dinanzi alle caratteristiche di complessità che presentavano le popolazioni slave, «vaticinava […] la distruzione degl’Imperi d’Austria e di Turchia, la rivoluzione nell’Impero russo, la libera fratellanza dei popoli danubiani e balcanici», poiché egli, continuava Giusti, «era […] portato assai facilmente […] a vedere un popolo, una fede, un’idea, dove c’era quasi dovunque incertezza e nebbia[1]». Tale giudizio riflette sostanzialmente il nucleo della questione dei rapporti fra Mazzini e le popolazioni slave, in particolare quelle meridionali, oggetto del presente contributo. Si tratta di un tema tradizionale e ampiamente affrontato dagli storici: basti citare il fondamentale saggio di Jože Pirjevec del 1974[2], i lavori di Angelo Tamborra (che coordinò il gruppo di lavoro su Mazzini e l’Europa orientale al XLVI Congresso di storia del Risorgimento di Genova nel 1972)[3], gli studi di Nikša Stipčević[4] e quello più recente di Tatjana Krizman[5], contenuto nel primo di due ampi volumi curati da Giuliana Limiti e dedicati, come recita il titolo, al «mazzinianesimo nel mondo» dove emerge «come il termine “mazziniano” viene ovunque ad identificare, ora positivamente, ora polemicamente, quella parte politica rivoluzionaria che si rifà alla democrazia e al radicalismo repubblicano[6]». Dunque molto è stato detto e scritto su questo tema[7].

Nelle pagine seguenti, quindi, si tenterà di svolgere alcune sintetiche considerazioni concernenti principalmente tre grandi questioni: il percorso intellettuale di Mazzini riguardo alle popolazioni slave meridionali (dunque il pensiero), poi l’azione mazziniana verso gli slavi del Sud e infine l’eredità morale e politica lasciata a questi popoli, per alcuni dei quali la piena indipendenza giunse pochi anni dopo la morte di Mazzini, nel 1878, dopo la conclusione della crisi orientale[8]. Giungere a formulare alcune considerazioni sul contributo fornito dall’Esule alle vicende storiche delle popolazioni slave meridionali e sul suo retaggio ideale, in quanto a cultura dell’integrazione e della cooperazione, è l’obiettivo del presente contributo.

Il pensiero e l’azione del Genovese verso serbi, croati, bulgari ecc. si inquadrano opportunamente nel più ampio contesto teorico del suo europeismo[9]. È stato scritto che «non si intende, in verità, l’ampiezza del progetto politico di Mazzini senza rilevare lo stretto legame Italia-Europa» e che «l’indipendenza italiana è legata da Mazzini al progressivo risveglio civile dei popoli europei»[10]. Nello scritto Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa del 1834 (apparso sulla Revue Republicaine di Parigi nel gennaio 1835), l’Esule enunciò in termini molto chiari, quasi a mo’ di dichiarazione programmatica, il suo pensiero sulla natura e il ruolo delle nazioni: «Ritemprare la nazionalità e metterla in armonia coll’Umanità: in altri termini redimere i popoli colla coscienza d’una missione speciale fidata a ciascuno d’essi e il cui compimento, necessario allo sviluppo della grande missione umanitaria, deve costituire la loro individualità e acquistare ad essi un diritto di cittadinanza nella Giovine Europa che il secolo fonderà[11]». Questo scritto esprime perfettamente le idee di Mazzini durante i mesi che videro la nascita della Giovine Europa a Berna il 15 aprile 1834, con l’atto di fratellanza sottoscritto da italiani, polacchi e tedeschi. Essa costituì – ha scritto Franco Della Peruta – «il primo tentativo organicamente concepito di creare una efficiente organizzazione democratica a carattere internazionale[12]». È questa dunque, per sommi capi, la cornice ideologica entro la quale si inquadrano le idee di Mazzini sulle popolazioni slave del Sud, come anche su altre nazionalità dell’Europa centro-orientale (ad esempio quelle romena, ungherese, polacca).

Uno dei primi approcci di Mazzini nei confronti delle popolazioni slave avvenne secondo modalità piuttosto comuni nella cultura europea del secolo XIX, influenzata, da questo punto di vista, dalle dottrine di Johann Gottfried Herder (1744-1803) e dall’opera di Claude Fauriel (1772-1844), vale a dire attraverso lo studio della poesia popolare[13]. Nel 1833 sulla Giovine Italia, il Genovese scrisse una nota sulla Cheskian Anthology[14] di John Bowring (1792-1872), il quale aveva raccolto, tradotto e pubblicato in volume i canti popolari boemi, ungheresi, romeni, russi, spagnoli, olandesi, serbi, polacchi, scandinavi. Mazzini scriveva che «la poesia nazionale […] è l’alito del popolo, lo specchio in cui si riflette, più che altrove, il pensiero, l’idea che quel popolo è chiamato a svolgere e rappresentare nella storia dell’Umanità[15]». Attraverso le sue letture, dunque, iniziò a farsi un’idea delle popolazioni slave del Sud, acquisendo un notevole bagaglio di informazioni (peraltro davvero poco comune a quel tempo, quando in Occidente si aveva una conoscenza piuttosto carente della cosiddetta Turchia d’Europa)[16]. Ancor prima della fondazione a Marsiglia della Giovine Italia, nel luglio 1831, testimonianza di un genuino interesse del giovane Mazzini verso le popolazioni che abitavano le regioni europee dell’Impero ottomano è una certa quantità di appunti contenuti nello Zibaldone giovanile. Dopo aver distinto gli abitanti della Turchia europea in cinque razze (turchi, greci, albanesi, slavi e valacchi), il Genovese riportava un’interessante serie di notizie concernenti gli ultimi tre gruppi, che giustamente considerava meno o per niente conosciuti rispetto ai primi due. È possibile dunque leggere rapide informazioni sull’origine etnica, la lingua, la cultura e l’attuale situazione politica delle popolazioni albanesi, bosniache, croate, serbe, bulgare e romene. Il Principato di Serbia è da Mazzini considerato, fra le province slave dell’Impero ottomano, quella che presenta il livello più avanzato di civilizzazione, e sulla cui situazione politica osservava: «L’Autriche parait cependant toujours prétendre à une espèce de protectorat. Depuis la morte du célèbre Czerni Georges, qui en dernier lieu se révolta contre les Turcs, les Serviens ont obtenu quelques privilèges. Ils peuvent être armés chez eux, et ont une administration municipale[17]»

Alcuni anni dopo, Mazzini scrisse e pubblicò sulla Giovine Italia il ben più celebre articolo Dell’Ungheria, nel quale formulò una prima ipotesi sul futuro sviluppo dell’Europa. In particolare egli vedeva l’Ungheria destinata ad avere un ruolo centrale e ad essere «centro d’una libera federazione» di popolazioni che si sarebbero strette intorno a quella che definiva la «regina del Danubio». Ciò nasceva dalla convinzione secondo la quale «la novella Europa tende a costituirsi per masse, non per frazioni» (e queste masse sarebbero state costituite dalla Germania, dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Francia, dall’Italia e dalla Spagna). Per quanto riguarda gli slavi del Sud egli optava, dunque, per tale libera federazione in seno a un ampio Stato ungherese poiché «un regno d’Illiria – notava – non sarà che un nome mai[18]». Tale era la carta d’Europa nel pensiero di Mazzini nel 1833[19].

Col fallimento della spedizione in Savoia (febbraio 1834), la momentanea crisi della Giovine Italia e il conseguente ampliamento della prospettiva strategica mazziniana attraverso la fondazione della Giovine Europa, Mazzini approfondì ulteriormente la riflessione sugli slavi del Sud, animato dal desiderio di far penetrare la sua predicazione fra quelle popolazioni, sempre più convinto dell’importanza del legame fra la questione italiana e il complessivo riordinamento del contesto internazionale. Gli mancavano tuttavia le risorse per mettere in atto questo programma. Scrisse infatti nel dicembre del 1834 «[…] vorrei che la Giovine Europa si diffondesse più che non accade nella Germania: vorrei conquistare la Svizzera: vorrei entrare nell’Ungheria, nel Tirolo, nella Serbia, nella Grecia – mancano i mezzi: pazienza […][20]». Per il momento doveva accontentarsi di collaborare principalmente con i polacchi e i tedeschi con i quali aveva contatti diretti.

In effetti, fu questo uno dei problemi più difficili per Mazzini: l’allacciamento, cioè, di legami seri e stabili con i democratici di quelle popolazioni alle quali guardava con speranza e ottimismo. Non fu infatti casuale che con la progressiva affermazione della diplomazia ufficiale piemontese nei Balcani (a partire dalla missione Cerruti in Serbia nel 1849[21]), i patrioti di quelle zone recepissero con maggiore speranza e fiducia i segnali e gli incoraggiamenti che provenivano da questa piuttosto che dagli emissari e inviati di Mazzini, il cui ruolo, peraltro, come già segnalato molti anni fa da Emilia Morelli, ancora è tutto da chiarire[22]. In sostanza era necessaria un’élite politica di orientamento democratico con la quale avviare un programma di azione comune. Mentre con i romeni ciò avvenne già all’indomani del biennio rivoluzionario 1848-49[23], nel caso degli slavi balcanici contatti diretti e di un certo rilievo furono stabiliti solo a partire dagli anni Sessanta, allorquando dei movimenti di tendenza spiccatamente democratica e repubblicana, influenzati profondamente dall’ideologia mazziniana, si affermarono nel Principato di Serbia e nelle terre bulgare (rispettivamente l’Omladina e la Giovine Bulgaria), come ha osservato Stefan Kieniewicz[24]. La Giovine Europa, dunque, avrebbe dovuto essere uno strumento per rispondere a tale esigenza di comunicazione con queste popolazioni e, fra la seconda metà del 1835 e il 1836, gli appariva soprattutto come «lo strumento con cui realizzare quella che egli chiamava l’“associazione degli intelletti”, come il nucleo intorno al quale chiamare a raccolta le “intelligences”, vale a dire gli intellettuali della democrazia europea[25]».

La necessità di conoscere sempre meglio le diverse popolazioni slave meridionali già manifestata, come si è ricordato, nel corso degli anni Trenta divenne pressante durante il periodo vissuto in Inghilterra nel decennio successivo. A tale esigenza si aggiunse, in questa che si potrebbe definire come la seconda fase dell’elaborazione del pensiero di Mazzini sugli slavi del Sud, anche l’intenzione di suscitare, attraverso l’attività pubblicistica, un dibattito in seno all’opinione pubblica inglese, finalizzato alla revisione della tradizionale posizione della diplomazia di Londra che mirava a garantire l’integrità e la sopravvivenza del cosiddetto malato d’Europa: l’Impero ottomano. Centrale in questo senso è l’ampio scritto On the Slavonian National movement[26] apparso sul Lowe’s Edinburgh Magazine nel 1847 alla vigilia della «primavera dei popoli», il quale servì poi da base, qualche anno dopo, per le ben più celebri Lettere slave[27]. In questo scritto Mazzini mise ordine alla grande quantità di informazioni sugli slavi del Sud che da anni andava raccogliendo[28]. Si proponeva di trattare tre gruppi slavi in tre differenti articoli: nel primo quello jugoslavo, nel secondo il ceco, nel terzo il polacco (anche se quest’ultimo non vide la luce ma se ne conserva il manoscritto). Secondo Mazzini sarebbe nata una federazione amministrativa fra serbi, montenegrini, bulgari, croati. Il moto degli slavi meridionali avrebbe inoltre suscitato quello delle popolazioni elleniche ancora suddite dell’Impero ottomano spingendo a sua volta quest’ultimo verso le regioni asiatiche e risolvendo in tal modo la questione d’Oriente. Inoltre, ribadendo ancora una volta l’importanza fondamentale della lingua quale caratteristica distintiva di una nazionalità dalle altre, riteneva che questo futuro Stato federato «Illirico-Serbo» avrebbe abbracciato la Croazia, la Carinzia, la Serbia, il Montenegro, la Dalmazia, la Bosnia, la Bulgaria. «Tutte queste provincie – scriveva – eccetto la Bulgaria, parlano in fondo uno stesso linguaggio, salve le inevitabili modificazioni[29]». Mazzini dunque, sul piano teorico, era tenacemente convinto che le aspirazioni delle popolazioni slave meridionali fossero pressappoco simili. Cercò per tutta la sua esistenza di mantenere viva questa visione ottimistica dei rapporti fra le nazionalità, tentando altresì di tradurla sul piano dell’azione cospirativa. Tale convinzione non venne meno neanche all’indomani del biennio 1848-49. Anzi, dall’analisi degli errori commessi durante quegli eventi, egli trovò nuove conferme a quanto andava teorizzando da ormai molto tempo: cioè che la libertà e l’indipendenza dei popoli sarebbero state conseguite attraverso la loro fratellanza e azione comune, superando gli egoismi e i particolarismi[30]. In un articolo senza firma apparso su L’Italia del popolo nel 1849 (ma scritto, come rivela una nota editoriale, prima che fosse nota la resa delle forze ungheresi a Világos il 13 agosto) si legge: «Quando saranno dunque convinte le nazioni che la salute di tutte sta in una franca e fratellevole alleanza tra di esse, e che l’una è solidaria dell’altra?[31]». La realtà era tuttavia molto diversa e Mazzini ne era cosciente. Nonostante ciò, credeva che prima o poi i fatti gli avrebbero dato ragione. Come è noto, ciò avvenne soltanto dopo la sua morte. Egli fu senza dubbio profeta di quel modello federale della ex Jugoslavia, al cui fallimento (o disfacimento) tuttavia abbiamo assistito sullo scorcio del secolo scorso[32].

La situazione delle popolazioni slave meridionali durante gli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo vedeva da un lato l’esistenza di due principati autonomi ma sottomessi all’Alta sovranità del sultano (Serbia e Montenegro) e, dall’altro, tutto il resto di queste popolazioni divise fra la Turchia stessa e l’Austria. Fra i croati aveva preso piede il movimento «illirista», il cui maggior esponente fu Ljudevit Gaj (1809-1872), che in sostanza era una sorta di «protojugoslavismo[33]» contenente in sé un chiaro messaggio di collaborazione fra le popolazioni slave del Sud. L’opera letteraria e politica di Gaj, infatti, piaceva molto a Mazzini, essendo del tutto in linea con le sue stesse convinzioni. A Belgrado, tuttavia, l’orientamento prevalente nei circoli governativi era sì indirizzato all’unione delle popolazioni jugoslave ma non su base federativa, come proponeva Mazzini (salvando in questo modo le legittime aspirazioni al riconoscimento delle rispettive peculiarità nazionali), ma nel senso di un ingrandimento del già esistente principato di Serbia. Il celebre Načertanije del politico serbo Ilija Garašanin (1812-1874) è la prova più evidente di questa tendenza[34]. Come si può facilmente intuire dai due casi esemplificativi ricordati, la situazione in cui si trovavano gli slavi meridionali in quei decenni era fra le più contraddittorie. Tale ambiguità si manifestò chiaramente, come già accennato, nel 1848-49, quando, in sostanza, le differenti nazionalità sottomesse all’Austria non furono in grado di costituire un fronte e una strategia comuni (anche se tentativi in questo senso non mancarono)[35].

Durante gli anni Quaranta, parallelamente allo sforzo teorico che ho fin qui tentato di illustrare per sommi capi, Mazzini cercò di realizzare una fitta trama eversiva e di contatti, animato da una grande speranza e da un enorme ottimismo che tuttavia si scontrarono continuamente con la penuria di mezzi a sua disposizione e con la difficoltà di comunicazione con i settori radicali e rivoluzionari delle società balcaniche. Nel giugno del 1847 scriveva infatti allo storico e uomo politico polacco Joachim Lelewel (1786-1861) a proposito della People’s International League (fondata nel dicembre di quello stesso anno) che fra i suoi scopi tale associazione aveva anche quelli di mettere in luce l’importanza dell’intero movimento slavo e degli slavi meridionali in particolare, di stabilire contatti con i focolai principali di questo movimento (Croazia e Serbia soprattutto). Tale contatto avrebbe dovuto avere per scopo quello di ricevere alcune comunicazioni regolari, positive, concernenti il movimento intellettuale nazionale, per farsene un’idea concreta. Chiedeva inoltre al Lelewel se aveva contatti con personalità eminenti, come ad esempio il Gaj[36], a proposito del quale, tuttavia, la sua opinione mutò in modo sensibile nel corso di questi anni.

Per comprendere fino in fondo il giudizio del Genovese sul patriota croato, bisogna tenere presenti alcuni fatti riguardanti i rapporti fra il movimento illirista e le autorità austriache e ungheresi. Dopo un viaggio in Russia nel 1840 al fine di ottenere consensi verso la causa slavo-meridionale, durante il quale peraltro Gaj riuscì ad ottenere un finanziamento di circa quindicimila rubli dai circoli slavofili, costui iniziò a destare sospetti agli occhi del governo di Vienna. Gli ungheresi sfruttarono abilmente tale situazione e il pretesto del viaggio in Russia per gettare discredito su Gaj accusandolo di tradimento e di russofilia. L’iniziale simpatia di Vienna per i croati, dettata dalla loro opposizione alle autorità magiare (le quali, con le loro richieste di un’ampia autonomia, mettevano in discussione l’unità stessa dell’Impero), si trasformò quindi in diffidenza tanto che nel 1843, ad esempio, l’imperatore Ferdinando proibì loro l’uso del termine «illirico» in quanto faceva riferimento ad un progetto politico pericoloso per l’Austria e di ampio respiro (l’unione, ossia, degli slavi meridionali). Nella lotta, poi, che si svolse fra magiari e croati all’interno della Dieta ungherese di Bratislava nel corso degli anni successivi, i primi si opposero alle richieste dei secondi volte all’ottenimento del permesso di poter usare il latino e non il magiaro durante i lavori dell’Assemblea. Ciò aveva un preciso significato politico, nel senso di reazione ai tentativi di magiarizzazione messi sistematicamente in atto dalle autorità ungheresi e si abbinava all’analoga richiesta di poter utilizzare la lingua nativa nel Sabor di Zagabria. In questa situazione intervenne, come deus ex machina, la mediazione dell’imperatore, il quale seppe trarre vantaggio da tali divisioni. Nel 1845, infatti Ferdinando I permise l’uso temporaneo e limitato del latino nella Dieta di Bratislava, concesse ai croati la possibilità di utilizzare la loro lingua nel Sabor e fu ammesso di nuovo l’uso del termine «illirico», anche se soltanto in ambito letterario[37]. Il prezzo da corrispondere al governo di Vienna in cambio di queste concessioni, che lasciavano sperare in una maggiore autonomia, fu l’impegno a non schierarsi contro gli Asburgo. Come è noto, nel 1848-49 i croati fecero causa comune con l’Austria contro l’Ungheria rivoluzionaria. Il giudizio di Mazzini su questa strategia politica fu severo ed egli non esitò a condannarlo insieme a colui che ne era stato uno dei principali artefici: Ljudevit Gaj. Nelle Lettere slave (1857) infatti, pur riconoscendo l’importanza nazionale dell’opera culturale svolta in passato dal letterato croato, non esitò a definirlo un disertore e un codardo[38]. Tali affermazioni si comprendono meglio leggendo alcuni appunti inediti di Mazzini, risalenti molto probabilmente agli anni immediatamente successivi al 1848, nei quali egli annotava: «Nel 1845, il Dott. Gaj, ottenendo a Vienna qualche concessione illusoria per la Croazia, concedeva promessa che i deputati Croati nella Dieta ungarese appoggerebbero la politica del partito conservatore austriaco: immoralità[39]».

Al di là di questo, però, la fiducia riposta nella presunta maturità politica degli slavi del Sud fu ribadita in vari scritti apparsi in importanti riviste inglesi. Ad esempio nell’articolo pubblicato nella Westminster Review, dal titolo Europe: Condition and Prospects, del 1852, Mazzini individuava il segreto del futuro dell’Europa nel risveglio delle nazioni, il quale ovviamente si stava manifestando anche «nella Slavonia del sud, diramata lungo il Danubio e destinata a ordinarsi in una vasta federazione, probabilmente sotto l’iniziativa ungherese[40]».

Le delusioni e le sconfitte subite da Mazzini nella prima metà degli anni Cinquanta non lo distolsero comunque dall’idea di suscitare lo scoppio della rivoluzione in tutta Europa, la cui iniziativa era convinto sempre più che spettasse all’Italia, soprattutto dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone del dicembre 1851[41]. Durante la crisi d’Oriente del 1853-56, Mazzini si vide costretto a sospendere la sua attività giornalistica in Inghilterra poiché resa impossibile dall’alleanza austro-inglese[42]. Era tuttavia certo che il momento era propizio per muovere guerra all’Austria, cercando di costringerla all’azione attraverso movimenti insurrezionali in Serbia e in Bosnia[43]. Con l’accordo del 14 giugno del 1854 tra l’Austria e la Porta, alla prima fu consentito di compiere due operazioni: intervenire in Bosnia, Albania e Montenegro qualora fossero scoppiati dei disordini e procedere all’occupazione della Moldavia e della Valacchia fino a quando non fosse finita la guerra[44]. Tale iniziativa della diplomazia austriaca disorientò il pubblico europeo, perché in molti si attendevano l’occupazione della Serbia e non dei Principati danubiani[45]. Mazzini stesso temeva che dal governo di Vienna bisognava attendersi qualsiasi mossa, anche quella più imprevedibile, come in effetti poi avvenne[46]. All’indomani del Congresso di Parigi (1856), inoltre, sostenne di nuovo l’idea di una soluzione in senso federale del futuro politico degli slavi meridionali (serbi, croati, bulgari, bosniaci)[47].

È possibile affermare dunque che sostanzialmente, dopo il 1849, il pensiero di Mazzini sulle popolazione slave del Sud non registrò mutamenti rilevanti. Le stesse Lettere slave non furono altro che una rielaborazione, come si accennava in precedenza, dello scritto On the Slavonian National movement, apparso nel 1847 in Inghilterra. Ciò che al contrario subì una variazione fu l’aspetto pratico della sua attività politica. In questo senso, fu soprattutto negli anni Sessanta che finalmente per Mazzini ci fu l’opportunità di stabilire in maniera diretta i tanto desiderati contatti con significativi esponenti dei movimenti democratici e rivoluzionari delle popolazioni slave balcaniche. Se i suoi rapporti personali con il movimento di liberazione bulgaro risalgono al 1869[48] – anche se agli intellettuali e ai rivoluzionari bulgari egli era noto già da molti anni grazie alla stampa[49] – con i serbi invece questi rapporti furono stabiliti prima. Significative in tal senso sono le vicende legate alla figura di Vladimir Jovanović (1833-1922), uno dei personaggi di maggior rilievo nella vita pubblica della Serbia del XIX secolo, e all’Ujedinjena omladina srpska (Gioventù serba unita). Anche su di lui non mancano studi specifici. La storiografia internazionale (ma non quella italiana[50]) si è occupata in maniera sistematica di Jovanović e in quella serba hanno trovato spazio anche studi specifici sui suoi rapporti con Mazzini[51].

Il Genovese ebbe un’influenza determinante sul pensiero di questo personaggio, figura chiave della Serbia della seconda metà dell’Ottocento, ed esponente di punta del raggruppamento liberale, ossia di coloro che chiedevano riforme radicali in senso democratico del sistema politico[52]. Si trattava essenzialmente della nuova generazione di giovani serbi che avevano studiato nelle capitali dell’Europa occidentale, soprattutto Parigi, da cui il nome di parižlje[53]. Vengono definiti liberali nel XIX secolo in Serbia coloro che chiedevano di limitare l’autorità del principe attraverso istituzioni democratiche, tra cui la più importante sarebbe dovuta essere un’assemblea legislativa[54]. Essi consideravano sovrano il popolo e non il principe, i diritti civili andavano garantiti per legge e i ministri dovevano essere responsabili dinanzi all’assemblea e quest’ultima nei confronti dei cittadini[55]. Secondo la storiografia locale, l’ideologia del liberalismo serbo è stata influenzata chiaramente e in modo determinante dal pensiero di Mazzini[56]. È palese come finalmente il Genovese avesse trovato nella nuova generazione serba, i suoi interlocutori ideali, che fino a quel momento, per ovvie ragioni di tipo anagrafico, non c’erano stati. È a loro che egli fa continuamente riferimento nelle sue lettere risalenti a questi anni; si convinse, inoltre, che la rivoluzione sarebbe scoppiata molto presto in Serbia considerata il «punto di forza dei piani insurrezionali» e «che una volta insorta e coordinata con l’attacco italiano al Veneto provocherebbe l’insurrezione in Ungheria[57]». Tale convinzione riemerge anche nelle lettere di quasi tutto il 1863, nelle quali insisteva che bisognava accordarsi con quello che chiamava il «partito nazionale» e non col principe Mihailo, come invece tentava di fare il re d’Italia[58]. Il punto più importante secondo Mazzini era la sollevazione della Serbia facendo leva su tale partito che era scontento della politica del principe, come correttamente egli sottolineava[59]. L’eco di tali piani emerge anche nelle ottimistiche parole di Jovanović, contenute in una lettera del 1863 a Adriano Lemmi (1822-1906), nella quale assicurava la sua massima collaborazione per sostenere i progetti comuni e si impegnava a fornire ogni informazione positiva riguardante la situazione politica in Serbia e, a sua volta, chiedeva di ottenere il prima possibile informazioni dall’Italia «as I am of course interested in hearing what do they do in your part of the world[60]».

In questi anni l’attenzione del Genovese era dunque concentrata sulla possibilità di collegare il moto delle popolazioni slave meridionali con quello italiano per l’unione del Veneto. L’obiettivo era attaccare l’Austria nel Veneto per l’appunto, far insorgere la Serbia per provocare il moto in Ungheria e colpire così l’Austria su due fianchi[61]. «E l’iniziativa di questa Rivoluzione – commentava – è possibilità, quindi dovere d’Italia. Il Veneto ha il segreto della mossa di tutti quei popoli. Ciascuno d’essi, isolato, è debole: tutti sanno che noi siamo oggi ventidue milioni, che la nostra rivoluzione nazionale non è compita, che dobbiamo presto o tardi compirla; e aspettano noi[62]». L’azione avrebbe dovuto prendere il via nella primavera del 1864: «Primavera – Veneto – Gallizia – Serbia – Ungheria – danaro: e abbiamo la rivoluzione Europea[63]», ecco come Mazzini riassumeva il suo programma.

L’opposizione al principe di Serbia Mihailo Obrenović (1825-1868) nel frattempo, (il «partito nazionale») dava vita al movimento dell’Omladina, l’equivalente serbo della Giovine Italia. Da Vladimir Jovanović e da Svetozar Miletić (1826-1901) partì l’idea di creare una grande associazione che riunisse in sé tutte le altre associazioni studentesche e culturali di quel periodo. Alla fine dell’agosto 1866 quattrocento serbi provenienti da un po’ dovunque si riunirono nell’Aula magna del ginnasio di Novi Sad e aprirono quattro giorni di entusiastiche discussioni su come essi avrebbero potuto lavorare per l’interesse della loro nazione . Il risultato fu proprio la creazione dell’Ujedinjena omladina srpska. Le principali attività di questa associazione furono di tipo culturale[64], ma quasi immediatamente essa divenne il centro principale dello schieramento liberale e degli oppositori del regime al governo nel Principato di Serbia. Gli ideali che animavano l’Omladina furono tipicamente mazziniani[65]: finalmente l’Esule era riuscito a far penetrare in Serbia le sue idee. Questa associazione lottava per l’unione di tutti i serbi, dentro e fuori il Principato. Soppressa dal governo magiaro nel 1872 (aveva infatti sede a Novi Sad, allora città dell’Ungheria), lo stesso anno della morte di Mazzini, l’Omladina tra il 1866 e il 1872 aveva messo in atto una vasta trama cospirativa avente come obiettivo l’unione delle forze patriottiche delle popolazioni balcaniche in vista di una soluzione rivoluzionaria della questione d’Oriente (in particolare si intendeva sollevare le popolazioni serbe della Turchia per coinvolgere i Principati di Serbia e di Montenegro in una guerra contro l’Impero ottomano). In questi preparativi furono coinvolti anche i bulgari del Comitato centrale rivoluzionario. Il governo di Belgrado avrebbe dovuto sostenere i costi delle operazioni ma, dopo un’apparente convergenza, temendo gli sviluppi imprevisti di una rivoluzione, lo stesso si adoperò affinché tali preparativi fallissero di concerto con l’Austria[66].

Tuttavia la preparazione ideologica per la lotta nazionale serba durante la crisi d’Oriente del 1875-78 fu in gran parte frutto del lavoro dell’Omladina[67]. Da questa crisi la Serbia ottenne la piena indipendenza politica: per Mazzini fu verosimilmente un primo successo postumo. Un secondo successo, come già accennato, fu la formazione della Jugoslavia che, solo in via di principio naturalmente, sarebbe dovuta essere l’applicazione concreta alla composita ed eterogenea realtà delle popolazioni slave meridionali dell’idea (mazziniana) di salvaguardia in pari tempo dei diritti delle singole nazioni e di quelli della maggiore comunità (ieri la Jugoslavia, prima monarchica e poi socialista, oggi l’Europa).

A scanso di equivoci, è opportuno precisare che con ciò non si intende affatto affermare che il Regno dei serbi, croati e sloveni (SHS), poi (dal 1929) Regno di Jugoslavia, fu il risultato della predicazione di Mazzini. Come è stato di recente osservato a proposito dell’influenza del pensiero e dell’azione dell’Esule sulle vicende risorgimentali dei Paesi dell’Europa centro-orientale, «l’equilibrio fra le Potenze, l’azione delle diplomazie, gli interessi economici pesavano sulla bilancia ancor più dei principi mazziniani[68]». Senza dubbio tale considerazione può essere validamente applicata anche al caso jugoslavo. Tuttavia non mi sembra possibile (né tanto meno corretto), non riconoscere l’importanza dell’intero complesso dottrinale e politico concepito sin dal XIX secolo da numerosi intellettuali (tra cui anche Mazzini), che favorì certamente la nascita e la diffusione di ideologie le quali, nel corso del secolo successivo, hanno a loro volta dato ispirazione e legittimazione a molteplici esperienze storiche, i cui esiti non possono ovviamente essere ricondotti a quelle idee originarie che le avevano stimolate. Nel caso della creazione dello Stato jugoslavo ad esempio, un ruolo importante è stato rivestito dall’idea secondo la quale serbi, croati e sloveni costituivano un unico popolo (jugoslovjenstvo/jugoslavismo), nel senso di una loro unione spirituale, fondata su una cultura e una lingua letteraria comuni. Sono sufficienti alcuni esempi per chiarire meglio questa affermazione. Fra i maggiori sostenitori dell’ideologia jugoslava si ritrovano personalità della vita pubblica croata come il vescovo Josip Juraj Strossmayer (1815-1905)[69] e l’intellettuale Imbro I. Tkalac (1824-1912), che, nel settembre del 1862, aveva affermato: «i serbo-croati, quali guide, devono dare inizio al processo unitario degli slavi meridionali nella fratellanza più sincera e cordiale. Nel nome del nostro avvenire, nel nome di una nazionalità tutti i poeti, tutti gli insegnanti, i governi nazionali, gli scrittori e gli intellettuali devono consacrare tutte le loro azioni e tutti i loro sforzi a questo scopo sublime[70]». Come si può notare, lo jugoslavismo fu uno dei frutti nati dal fecondo terreno culturale e politico dell’illirismo di Gaj, dunque un movimento culturale prevalentemente di matrice croata, anche se non mancarono alcuni esempi in questo senso anche fra gli sloveni, come ad esempio i Giovani sloveni. Questi ultimi, tuttavia, pur avendo assimilato gran parte dell’ideologia mazziniana sulla libertà delle nazioni, non ebbero fra i loro obiettivi anche la distruzione della monarchia austro-ungherese bensì quello di una radicale riforma di essa che permettesse di garantire maggiore libertà alle popolazioni slave meridionali, ma sempre all’interno della cornice statale asburgica, l’unica a poterle difendere dal pericolo del pangermanesimo di stampo prussiano[71]. Accenti mazziniani e aspirazioni politiche in qualche modo jugoslaviste si riscontrano anche nell’organizzazione segreta rivoluzionaria della Srpsko-Hrvatska Napredna Omladina (che significa all’incirca Gioventù progressista serbo-croata), una sorta di Giovine Dalmazia operativa dal 1904 a Spalato, Zara, Sebenico, Ragusa e Cattaro, della quale facevano parte studenti e intellettuali il cui obiettivo era la formazione di uno Stato slavo meridionale repubblicano, unitario e indipendente[72]. Più note, invece, le vicende della Giovine Bosnia, organizzazione alla quale erano affiliati gli attentatori di Sarajevo Princip e Čabrinović. Essi, durante il processo a loro carico per l’omicidio dell’arciduca Francesco Ferdinando, ricordarono più volte Mazzini, le cui idee erano state per loro l’esempio da seguire per l’unificazione degli slavi del Sud[73].

In conclusione si deve riconoscere che lo jugoslovjenstvo, nelle sue differenti forme (culturale, politica, ecc.), contribuì al processo di formazione e di unione delle popolazioni slave meridionali che fino al 1918, come è noto, non avevano conosciuto un’entità statale unitaria[74]. Tale affermazione non trova tuttavia d’accordo tutti gli storici. Ciò è in sostanza riconducibile al fatto che lo jugoslavismo fu (e gli esempi sopra riportati credo lo dimostrino) un’ideologia «mai articolata in modo persuasivo, da poter reggere il confronto con le ideologie nazionali che doveva integrare[75]». Inoltre lo jugoslavismo, fondato in primo luogo sul concetto di unità linguistica delle popolazioni slave meridionali, poneva in secondo piano la differenziazione religiosa di quei popoli nonostante l’enorme importanza giocata da tale fattore. La nazione linguistica ha avuto cioè il sopravvento su quella religiosa[76]. Infine, coloro che volevano l’unità degli slavi del Sud erano espressione di una limitata porzione della società e non furono capaci, una volta costituito il Regno SHS, di superare una mentalità ristretta che impediva una reale unione di popolazioni di differente tradizione storica, religiosa e culturale[77].

È tuttavia possibile sostenere che le vicende storiche hanno dimostrato la sostanziale correttezza e la legittimità delle concezioni dei democratici europei, quindi anche di Mazzini e delle varie correnti progressiste e rivoluzionarie jugoslave: «negli slavi del Sud – ha scritto la storica Liliana Aleksić-Pejković – giaceva il germe dello sfacelo della monarchia degli Absburgo; la completa liberazione e l’unificazione dell’Italia non sarebbero state possibili senza la soluzione radicale della questione orientale in base al principio di nazionalità. Proprio in base a questo principio, sulle rovine non solo della Turchia ma anche di quelle dell’Austria si creerà lo Stato indipendente jugoslavo[78]».

La previsione di Mazzini sull’unione degli slavi del Sud fu pertanto esatta ma il corso della storia ha poi visto verificarsi una tendenza inversa: quella in direzione della frammentazione politica, etnica, linguistica, culturale, troppo spesso sanguinosa, di cui recentemente siamo stati testimoni. Tuttavia oggi non appare retorico affermare che il messaggio mazziniano di fratellanza e cooperazione fra i popoli slavi meridionali possa trovare nuova vitalità proprio nel processo di integrazione europea di queste popolazioni che, si auspica, consentirà di porre fine agli odi reciproci per inaugurare una nuova e duratura stagione di stabilità, cooperazione e pace.


[1] Wolfango Giusti, Mazzini e gli slavi, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1940, p. 110.

[2] Giuseppe Pierazzi (Jože Pirjevec), Mazzini e gli slavi dell’Austria e della Turchia, in Mazzini e il mazzinianesimo, Atti del XLVI Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1974, pp. 301-412.

[3] Angelo Tamborra, Mazzini e l’Europa orientale, in «Il Veltro», anno XVII, n. 4-6, agosto-dicembre 1973, pp. 577-588, e Introduzione a Mazzini e l’Europa orientale. Gruppo di lavoro, in Mazzini e il mazzinianesimo, cit., pp. 287-300.

[4] Nikša Stipčević, Dva preporoda. Studije o italijansko-srpskim kulturnim i političkim vezama u XIX veku (I due Risorgimenti. Studi sui contatti culturali e politici serbo-italiani nel XIX secolo), Beograd, Prosveta, 1979; Id., Serbia e Italia nel XIX secolo, in «Quaderni giuliani di storia», XXI, n. 1, 2000, pp. 7-22.

[5] Tatjana Krizman Malev, Mazzini e il processo d’ integrazione nazionale dei popoli jugoslavi, in Il mazzinianesimo nel mondo, vol. I, a cura di Giuliana Limiti, con la collaborazione di Mario di Napoli, Francesco Guida, Giuseppe Monsagrati, Pisa, Istituto Domus Mazziniana, 1995, pp. 329-383.

[6] Giuliana Limiti, La presenza di Mazzini nel mondo, ivi, p. IX.

[7] Per maggiori indicazioni si rimanda alle seguenti bibliografie: Angelo Tamborra, L’Europa orientale, in Bibliografia dell’età del Risorgimento in onore di Alberto M. Ghisalberti, vol. III, pp. 473-510, Firenze, Olschki, 1974 e Francesco Guida, L’Europa centro-orientale, in Bibliografia dell’età del Risorgimento 1970-2001, vol. III, Firenze, Olschki, 2003, pp. 1833-1860. Per un bilancio dell’ultimo trentennio di storiografia su Mazzini si veda Pensiero e azione: Mazzini nel movimento democratico italiano e internazionale, Atti del LXII Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2006.

[8] Fra le decisioni prese durante il Congresso di Berlino nel giugno-luglio 1878, le Potenze riconobbero la piena indipendenza alla Serbia, al Montenegro e alla Romania. Fu costituito anche un Principato di Bulgaria posto sotto l’Alta sovranità ottomana ma sensibilmente ridotto a livello territoriale rispetto a quanto era stato stabilito, nel marzo dello stesso anno, nella pace di San Stefano, che aveva posto fine al conflitto fra Russia e Turchia.

[9] Giuseppe Tramarollo, L’europeismo di Mazzini, in «Bollettino della Domus Mazziniana», a. XXX, 1984, n. 1, pp. 5-23.

[10] Salvo Mastellone, Il progetto politico di Mazzini (Italia-Europa), Firenze, Olschki, 1994, p. 138

[11] Giuseppe Mazzini, Dell’inziativa rivoluzionaria in Europa [1834], in Scritti editi e inediti, Edizione nazionale (d’ora innanzi soltanto E.N.), vol. IV, politica vol. III, Imola, Galeati, 1908, p. 180.

[12] Franco Della Peruta, Mazzini e la Giovine Europa (estratto dagli Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, anno V, 1962), Milano, Feltrinelli, 1962, p. 11.

[13] Herder riteneva di poter cogliere nei canti popolari il più autentico carattere delle nazioni. In essi era contenuto, secondo lo storico prussiano, l’archivio della memoria di ogni popolo, come anche la loro scienza e il loro sentire più profondo. Fauriel fu autore di Chants populaires de la Grèce moderne, 2 voll., Paris, Didot, 1824-1825, e tenne un corso alla Sorbona nell’inverno 1831-1832 dal titolo Cours comparé sur les poésies serbe et grecque. Si veda Miodrag Ibrovac, Claude Fauriel et la fortune européenne des poésies populaires grecque et serbe, Paris, Didier, 1966.

[14] John Bowring, Wýbor z básnictwi českého. Cheskian Anthology: being a history of the poetical literature of Bohemia, with translated specimens, London, Rowland Hunter, 1832.

[15] Giuseppe Mazzini, Letteratura poetica della Boemia. Opera di Giovanni Bowring, in E.N., vol. I, letteratura vol. I, p. 378.

[16] Per mezzo della poesia popolare però, fece propria anche una visione romantica e per certi versi convenzionale di quelle popolazioni.

[17] Giuseppe Mazzini, Zibaldone giovanile, vol. IV, a cura di Maria Luisa Trebiliani, in E. N., nuova serie, vol. IV, Imola, Galeati, 1990, p. 506. Lo Zibaldone, come osservato da Arturo Codignola nell’Introduzione (p. XIV) al primo volume pubblicato nel 1965, fu redatto non oltre la partenza di Mazzini per l’esilio (1831) e non prima del 1817-1818. Il riferimento alla morte di Giorgio il Nero, capo della prima rivolta serba contro la Turchia (1804-1813), avvenuta nel giugno 1817 e quello all’amministrazione locale e ai privilegi concessi ai serbi dell’antico paşalik (provincia governata da un paşa) di Belgrado inducono a ritenere che queste note mazziniane furono stese verso la fine degli anni Venti. E’ infatti probabile che Mazzini facesse riferimento alle disposizioni relative alla Serbia contenute in vari accordi e trattati firmati dalla Russia e dalla Turchia (ad esempio la convenzione di Akkermann del 7 ottobre 1826 e il trattato di Adrianopoli del 14 settembre 1829) e rese esecutive con due hatt-i-şerif del sultano dell’agosto e del settembre 1829. Sulle disposizioni di questi due ultimi provvedimenti si veda Michael Boro Petrovich, A history of modern Serbia, 1804-1914, vol. I, New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1976, p. 128.

[18] Giuseppe Mazzini, Dell’Ungheria [1833], in E.N., vol. III, politica vol. II, pp. 116-117.

[19] Si veda anche Cosimo Ceccuti, L’Ungheria negli scritti di Mazzini: le tentazioni della geopolitica, in Le relazioni italo-ungheresi nel secolo XIX, in «Rassegna storica toscana», XXXIX, luglio-dicembre1993, n. 2, pp. 231-242.

[20] Giuseppe Mazzini a Luigi Amedeo Melegari, Soleure, 18 dicembre 1834, , in E.N., vol. X, epistolario vol. III, p. 253.

[21] Stefano markus, La missione del console Marcello Cerruti nel 1849, in «Rassegna storica del Risorgimento», a. XXXVIII, fasc. I-IV, 1950, pp. 287-304; Pasquale Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese (1849-1867). Marcello Cerruti e le intese politiche italo-magiare, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995.

[22] Emilia Morelli, Mazzini. Quasi una biografia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, p. VIII.

[23] Si vedano gli studi di Ştefan Delureanu, I romeni nel pensiero e nei programmi d’azione di Mazzini, in «Archivio Trimestrale», a. XI, n. 4, ottobre-dicembre 1985, pp. 789-797, Il mazzinianesimo nell’Europa orientale prima del ’48: il caso della Romania, in «Archivio Trimestrale», a. XII, n. 1, gennaio-marzo 1986, pp. 49-63 e I democratici romeni e il Comitato Democratico Europeo (1850-1857), in Mazzini e gli scrittori politici europei (1837-1857), tomo II, a cura di Salvo Mastellone, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2005, pp. 583-597.

[24] Stefan Kieniewicz, La pensée de Mazzini et le mouvement national slave, in Mazzini e l’Europa, Roma, Accademia dei Lincei, 1974, p. 122.

[25] Franco Della Peruta, op. cit., p. 25.

[26] Giuseppe Mazzini, On the Slavonian National Movement [1847], in E.N., vol. XXXVI, politica vol. XII, pp. 109-215.

[27] Giuseppe Mazzini, Lettere slave [1857], in E.N., vol. LIX, politica vol. XX, pp. 15-37.

[28] Giuseppe Mazzini, Zibaldone pisano, a cura di Renato Carmignani, Pisa, Domus Mazziniana, 1955, pp. 56-60, 79. Gli appunti sulle popolazioni slave contenute nello Zibaldone custodito presso la Domus Mazziniana di Pisa risalgono agli anni intorno al 1842 e sono tratti da una serie di articoli dello studioso e pubblicista francese Cyprien Robert intitolati Le monde greco-slave e apparsi sulla Revue des deux mondes fra il 1842 e il 1843.

[29] Giuseppe Mazzini, On the Slavonian National Movement, cit., p. 133. Nello Zibaldone pisano, cit., p. 58, Mazzini annotava «Bulgari: idioma analogo al Serbo: 4.000.000: elemento tra l’Illiria e la Grecia».

[30] Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana (Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1848), Milano, Feltrinelli, 1974, p. 11. Ad esempio nell’appello indirizzato a Lajos Kossuth (leader della rivoluzione ungherese del 1848-49) del 7 agosto 1850, firmato da Mazzini, Ruge, Darasz, Ledru Rollin a nome del Comitato centrale democratico europeo, si legge che, durante la «Primavera dei popoli», alla rivoluzione per trionfare era mancata «une organisation, un plan d’ensemble, une direction commune, la simultanéité d’action»: in Le relazioni italiane dell’emigrazione di Kossuth 1849-1866, a cura di Éva Nyulászi-Straub, Budapest, Archivio nazionale ungherese, 2003, p. 114.

[31] Lotta fra l’Ungheria e la dinastia austriaca, in «L’Italia del popolo», vol. I, Losanna, Società editrice l’Unione, 1849, p. 53.

[32] Rade Petrović, Il fallito modello federale della ex Jugoslavia, a cura di Rita Tolomeo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.

[33] La definizione è di Francesco Guida, La Russia e l’Europa centro-orientale 1815-1914, Roma, Carocci, 2003, p. 25.

[34] Sul Načertanije si vedano Dragoslav Stranjaković, Kako je postalo Garašaninovo “Načertanije” (Come è nato il“Načertanije” di Garašanin), in «Spomenik», XCI, 1939, pp. 3-53; Paul N. Hehn, The origins of modern pan-serbism – The 1844 Načertanije of Ilija Garašanin: an analysis and translation, in «East European Quarterly», IX, 2, 1975, pp. 153-171; Dušan T. Bataković, Ilija Garašanin’s Načertanije: a reasessment, in «Balcanica», XXV, 1, 1994, pp. 157-183; Sandor Mattuglia, Alle origini della ‘nazione’ in Serbia: il Načertanije di Ilija Garašanin, in «Clio», a. XL (2004), n. 1, pp. 5-26. Su Garašanin si veda la biografia di David Mackenzie, Ilija Garašanin: Balkan Bismarck, New York, East European Monographs, Boulder, distributed by Columbia University Press, 1985.

[35] Della numerosa bibliografia disponibile sulle nazionalità nell’Impero asburgico, mi limito a segnalare il volume di Robert A. Kann, The multinational Empire. Nationalism and National Reform in the Habsburg Monarchy, 1848-1918, 2 voll., New York, Columbia University Press, 1950 e il recente saggio di Angelo Ara, Il problema delle nazionalità in Austria da Metternich al dualismo, in Nazioni, nazionalità, Stati nazionali nell’Ottocento europeo, Atti del LXI Congresso di storia del Risorgimento italiano, a cura di Umberto Levra, Torino, Comitato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2004, pp. 237-302.

[36] Giuseppe Mazzini a Joachim Lelewel, Londra, 25 giugno 1847, in E.N., vol. XXXII, epistolario XVII, pp. 196-199.

[37] Su queste vicende si veda lo studio di Beniamino Salvi, Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati. Dall’illuminismo alla creazione dello Stato jugoslavo (1918), Trieste, ISDEE, 1971, pp. 59-60.

[38] Giuseppe Mazzini, Lettere slave, cit., pp. 28-29.

[39] Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma, Collezione mazziniana, b. LXII, c. 6355.

[40] Giuseppe Mazzini, Europe: Condition and Prospects [1852], in E.N., vol. XLVI, politica vol. XVII, p. 263.

[41] Secondo Mazzini, il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 fu diretta conseguenza della decadenza morale della Francia, generata dalla diffusione del materialismo predicato dai pensatori socialisti come Blanc, Proudhon, Leroux, Cabet, Fourier. Si vedano in proposito le osservazioni contenute nel recente volume dello storico francese Jean-Yves Frétigné, Giuseppe Mazzini. Père de l’unité italienne, Paris, Fayard, 2006, pp. 339-342, dove si sottolinea come Mazzini abbia trasformato il socialismo francese nel capro espiatorio di tutti gli errori della Francia, trascurando la scarsa influenza di tale movimento sulle masse. Si veda anche Salvo Mastellone, La democrazia etica di Mazzini (1837-1847), Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano-Archivio Guido Izzi, 2000, p. 176.

[42] Emilia Morelli, Mazzini in Inghilterra, Firenze, Le Monnier, 1938, p. 88. Il trattato di alleanza fra l’Austria, la Gran Bretagna e la Francia fu firmato a Vienna il 2 dicembre 1854. Insieme all’accordo del 22 dicembre tra Austria e Francia per il mantenimento dello statu quo in Italia, con questo trattato «l’Austria – ha scritto Franco Valsecchi – metteva una pietra tombale sulla Santa Alleanza. Fra Vienna e Pietroburgo si è aperto un abisso che non si potrà più colmare». Franco Valsecchi, L’Europa e il Risorgimento. L’alleanza di Crimea, Firenze, Vallecchi, 1968, p. 339.

[43] Si veda la lettera di Mazzini a Francesco Dall’Ongaro, Londra, 24 febbraio 1854, in E.N., vol. L, epistolario XXVIII, pp. 281-283.

[44] A seguito dell’intesa dell’Austria con la Prussia (20 aprile 1854) e soprattutto con la Turchia, la Russia si trovò praticamente isolata visto che sull’altro fronte era già in guerra contro Francia e Inghilterra, e si persuase dell’opportunità di evacuare (2 agosto 1854) i Principati di Moldavia e Valacchia occupati all’inizio del conflitto lasciando via libera alle truppe austriache: Leonid Boicu, Austria şi Principatele Române în vremea războiului Crimeii (1853-1856) (L’Austria e i Principati romeni al tempo della guerra di Crimea), Bucureşti, Editura Academiei Republicii Socialiste România, 1972, pp.112-120.

[45] Sul tema rimando al mio contributo La Serbia e l'occupazione dei Principati Danubiani durante la crisi d'Oriente del 1853-1856, in «Annuario dell'Istituto romeno di cultura e ricerca umanistica di Venezia», anno 5, 2003, pp. 311-319.

[46] «L’alleanza anglo-francese è un fatto: ma tra due elementi che non s’amano e sospettano l’uno dell’altro. L’Austria è russa: finirà per smascherarsi, checché oggi faccia. Intanto, occuperà, a profitto proprio, Serbia e Bosnia. Bisogna agire: non aspettando ch’essa cangi politica apertamente. Dove no, corriam rischio di perdere l’occasione»: Giuseppe Mazzini a Piero Cironi, Londra, 3 marzo 1854, in E.N., vol. L, epistolario XXVIII, p. 300.

[47] Giuseppe Mazzini a Jessie Meriton White Mario, Londra, 23 marzo 1857, in E.N., vol. LVIII, epistolario XXIV, p. 44.

[48] Si veda la testimonianza dello scrittore e uomo politico bulgaro Marko Balabanov (1838-1921) dal titolo Colloquio con Mazzini sulla Bulgaria, in «Bulgaria. Rivista di cultura», dicembre 1939, a. I, n. 4, pp. 215-220.

[49] Krumka Šarova – Ludmila Genova, Il movimento nazional-rivoluzionario bulgaro e le idee di Mazzini, in Il mazzinianesimo nel mondo, vol. II, a cura di Giuliana Limiti, con la collaborazione di Mario di Napoli, Francesco Guida, Giuseppe Monsagrati, Pisa, Istituto Domus Mazziniana, 1996, p. 270. L’influenza mazziniana sui patrioti bulgari, esaminata anche in una serie di parallelismi tra l’Esule genovese e il rivoluzionario Vasil Levski (1837-1873), non ultimo quello dell’appellativo di «apostoli della libertà» attribuito al secondo sull’esempio del primo, è stata oggetto di un interessante saggio della studiosa Kirila Văzvăzova Karateodorova, Mazzini e Levski: Apostoli della libertà, in «Quaderni giuliani di storia», XVII, , n. 1, 1996 pp. 39-47.

[50] In assenza di uno studio specifico in lingua italiana, se si eccettua quello di Bice Pareto Magliano, Giuseppe Mazzini e la Serbia (1862-1866), in «La Lettura», a. XXV, n. 3, 1 marzo 1925, pp. 161-166, al quale va ascritto il merito di aver per la prima volta documentato e illustrato il rapporto fra Mazzini e Jovanović (grazie alle informazioni fornite dal figlio di quest’ultimo, lo storico Slobodan Jovanović), bisogna ricorrere alle informazioni contenute nei lavori di Giuseppe Pierazzi, op. cit., Tatjana Krizman Malev, op. cit. e Ljubinka Toševa Karpowicz, Mazzini e il Risorgimento serbo (1848-1878), in Il mazzinianesimo nel mondo, vol. II, cit., pp. 513-567. Quasi tutti i documenti pubblicati dalla Pareto Magliano anche in Giuseppe Mazzini, Lettere ad una famiglia inglese, vol. III (1861-1872), Torino, Paravia, 1926, pp. 59-62. Si veda anche E.N., vol. LXXIV, epistolario XLV, pp. 209-213; vol. LXXVI, epistolario XLVI, pp. 330-332.

[51] Gale Stokes, Legitimacy through liberalism. Vladimir Jovanović and the Trasformation of Serbian Politics, Seattle-London, University of Washington Press, 1975; Nikša Stipčević, Đuzepe Macini i Vladimir Jovanović (Giuseppe Mazzini e Vladimir Jovanović), in Dva preporoda, cit., pp. 107-169.

[52] Sul pensiero politico di Jovanović si veda Dušan T. Bataković, Vladimir Jovanović: apostol liberalizma u Srbiji (Vladimir Jovanović: apostolo del liberalismo in Serbia), in Liberalna misao u Srbiji. Prilozi istoriji liberalizma od kraja 18. do sredine 20. veka (Il pensiero liberale in Serbia. Contributi alla storia del liberalismo dalla fine del XVIII alla metà del XX secolo), a cura di Jovica Trkulja – Dragoljub Popović, Beograd, CUPS, 2001, pp. 141-172.

[53] Dušan T. Bataković, Les premiers libéraux de Serbie: le cercle des “Parisiens”, in «Balkan studies», vol. 41, n. 1, 2000, pp. 83-111.

[54] Bojan Mitrović, Taming the Assembly: National Representation in Serbia (1815-1859), in «East European Quarterly», XXXVII, n. 1, 2003, pp. 64-65.

[55] Gale Stokes, op. cit., p. XI e 17.

[56] Milorad Ekmečić, Stvaranje Jugoslavije 1790-1918 (La creazione della Jugoslavia 1790-1918), vol. II, Beograd, Prosveta, 1989, pp. 178-179.

[57] Giuseppe Mazzini a Maurizio Quadrio, Londra 23 dicembre 1862, in E.N., vol. LXXIII, epistolario XLIV, p. 286. Si veda anche Giuseppe Mazzini, Ai patrioti della Serbia e dell'Ungheria [1863], in E.N., vol. LXXV, politica XXV, pp. 211-213.

[58] «Tutto l’Impero Turco in Europa è minato dall’organizzazione degli Slavi. Centro del lavoro è la Serbia, popolazione virile e armata. La sollevazione che dovea seguire l’iniziativa Montenegrina, fu trattenuta dal Principe, che, come tra noi, si mantenne a capo della cospirazione nazionale e ne impedì, venuto il momento, l’azione, come tra noi. Il Partito nazionale s’emancipa ora dal Principe e si prepara a rovesciarlo, se non segue immediatamente il moto»: Giuseppe Mazzini a Saverio Friscia, Londra, 2 marzo 1863, in E.N., vol. LXXIV, epistolario XLV, pp. 78-79. Il riferimento era all’iniziativa del principe del Montenegro Nikola, il quale, a seguito all’insurrezione delle tribù erzegovesi promossa e guidata da Luka Vukalović già dagli anni precedenti, aveva sostenuto militarmente gli insorti suscitando in questo modo la reazione ottomana che si concluse con una pesante sconfitta delle esigue forze montenegrine. Si vedano Angelo Tamborra, L’Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (1800-1920), Milano, Vallardi, 1971, p. 204 e Grgur Jakšić – Vojislav J. Vučković, Spoljna politika Srbije za vlade kneza Mihaila: prvi balkanski savez (La politica estera della Serbia durante il regno del principe Mihailo: la prima alleanza balcanica), Beograd, Istorijski institut, 1963, pp. 107-111. Per un’articolata ricostruzione del fenomeno storico delle rivolte in Bosnia e in Erzegovina si veda Roberto Valle, “Despotismo bosnese” e “anarchia perfetta”. Le rivolte in Bosnia e in Erzegovina nelle corrispondenze alla Propaganda Fide (1831-1878), Milano, Unicopli, 2003.

[59] Giuseppe Mazzini a Antonio Mosto, Londra, luglio 1863, in E.N., vol. LXXVI, epistolario XLVI, p. 9.

[60] Museo centrale del Risorgimento, Roma, b. 101, n. 52, lettera di Vladimir Jovanović (YV) a Adriano Lemmi, Belgrado, 1863. Si vedano su questa lettera le considerazioni di Giuseppe Pierazzi, op. cit, p. 376.

[61] Giuseppe Mazzini, Nota pei buoni del Trentino [1863], in E.N., vol. LXXV, politica vol. XXV, pp. 69-71.

[62] Giuseppe Mazzini, Lettere d’un esule [1863], in E.N., vol. LXXV, politica vol. XXV, pp. 121-122.

[63] Giuseppe Mazzini a Giuseppe Guerzoni, Londra, 29 ottobre 1863, in E.N.,vol. LXXVI, epist. XLVI, p. 151.

[64] Si veda Jovan Skerlić, Omladina i njena kniževnost (1848-1871) (L’Omladina e la sua letteratura 1848-1871), Beograd, Prosveta, 1966.

[65] Secondo Slobodan Jovanović «l’influenza delle idee mazziniane è stata considerevole nello svolgimento della nostra storia», citato in Bice Pareto Magliano, op. cit., p. 165. E’ bene precisare inoltre che l’Omladina si ripartiva in due grandi frazioni, quella liberale-borghese, facente capo a Vladimir Jovanović e quella socialista-rivoluzionaria facente capo a Svetozar Marković. Nella sua totalità l’Omladina era però erede delle idee del democratismo popolare e dell’umanismo liberatore della prima insurrezione serba: Dušan Nedeljković, Filozofske struje Omladine srpske i Svetozar Marković (Le correnti filosofiche dell’Omladina serba e Svetozar Marković), in Ujedinjena omladina srpska. Zbornik radova (La Gioventù serba unita. Raccolta di studi), a cura di Živan Milisavac, Novi Sad, Matica srpska, 1968, pp. 77-88. Su Marković si veda Jovan Skerlić, Svetozar Marković. Njegov život, rad i ideje (Svetozar Marković. La sua vita, opera e idee), Beograd, Prosveta, 1966 e il volume Svetozar Marković, Il socialismo nei Balcani, scritti scelti a cura di Marco Dogo, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1975.

[66] Vaso Vojdović, Ujedinjena omladina srpska i pripremanje ustanka na Balkanu 1871-1872. godine (La Gioventù serba unita e la preparazione della rivolta nei Balcani negli anni 1871-1872), in Ujedinjena omladina srpska. Zbornik radova, cit., pp. 305-315. Si veda anche la raccolta di documenti Ujedinjena omladina srpska i njeno doba 1860-1875. Građa iz sovjetskih arhiva (La Gioventù serba unita e il suo tempo 1860-1875. Fonti dagli archivi sovietici), Novi Sad, Matica srpska, 1977.

[67] David Mackenzie, The Serbs and russian pan-slavism 1875-1878, Ithaca-New York, Cornell University Press, 1967, pp. 14-15. Per alcune rapide considerazioni sulle principali ideologie politiche nella Serbia prima del 1878 rimando al mio Le idee politiche nella storia del principato di Serbia prima dell'indipendenza: alcune riflessioni, in «L'Europa d'oltremare». Contributi italiani al IX Congresso Internazionale dell'Association Internationale d'Études du Sud-Est Européen Tirana 30 agosto-3 settembre 2004, a cura di Alberto Basciani e Angela Tarantino, numero monografico di «Romània Orientale», XVII, 2004, pp. 49-74.

[68] Francesco Guida, Idea di nazione e questione delle nazionalità nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in «Cuadernos de Historia Contemporánea», 2001, n. 23, p. 162.

[69] Si veda Ivo Banac, The National Question in Yugoslavia: Origins, History, Politics, Ithaca and London, Cornell University Press, 1984, p. 89.

[70] Citato in Angelo Tamborra, Imbro I. Tkalac e l’Italia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1966, p. 56.

[71] Giuseppe Pierazzi, op. cit., pp. 407-409.

[72] Vladimir Dedijer, Il groviglio balcanico e Sarajevo [titolo originale: The Road to Sarajevo, New York, 1966], Milano, il Saggiatore, 1969, p. 336.

[73] Ivi, pp. 222-223.

[74] Rade Petrović, La Jugoslavia dal 1918 al 1935, in La tentazione autoritaria. Istituzioni, politica e società nell’Europa centro-orientale tra le due guerre mondiali, a cura di Pasquale Fornaro, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 96. Petrović sostiene in questo saggio che l’ideale jugoslavo assunse un ruolo fondamentale nella formazione del Regno SHS nel 1918.

[75] Egidio Ivetić, Lo jugoslavismo nell’esperienza delle due Jugoslavie, in «Rivista storica italiana», vol. CXVII, fasc. III, dicembre 2005, p. 781. In questo ampio saggio l’Autore discute criticamente la storiografia sull’ideologia jugoslava rilevando tra l’altro che «tutta una serie di studi ha dimostrato il ruolo abbastanza relativo dello jugoslavismo nella creazione della Jugoslavia». Ivi, p. 784.

[76] Così Georges Prevelakis, I Balcani [titolo originale: Les Balkans. Cultures et géopolitique, Paris, 1994], Bologna, il Mulino, 1997, p. 114.

[77] Jože Pirjevec, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1922 storia di una tragedia, Torino, Nuova Eri, 1993, p. 18. L’Autore ha osservato che «se non ci fossero stati l’esercito e la gendarmeria serba, se soprattutto il governo di Belgrado non avesse avuto l’appoggio internazionale, se a Washington, Londra e Parigi non fosse prevalsa la convinzione che, nella caotica e arretrata realtà balcanica, la sola Serbia era in grado di garantire una qualche parvenza di ordine, è probabile che il Regno SHS non avrebbe avuto vita lunga»: ivi, pp. 18-19.

[78] Liliana Aleksić-Pejković, I rapporti tra la Serbia e l’Italia negli anni Sessanta del secolo XIX, in «Archivio storico italiano», a. CXXXVII, disp. IV, 1979, p. 598.


Antonio D'Alessandri, L'europeismo mazziniano tra teoria e realtà: il caso degli slavi del Sud, in: Dalla Giovine Europa alla Grande Europa, a cura di Francesco Guida, Roma, Carocci, 2007, pp. 129-146.

На Растку објављено: 2008-07-23
Датум последње измене: 2008-07-23 07:20:53
 

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