Antonio D’Alessandri

Il trattato di alleanza serbo-romeno del 1868. Aspetti e problemi della collaborazione tra Belgrado e Bucarest negli anni Sessanta del secolo XIX

Il trattato di alleanza serbo-romeno del 20 gennaio/1 febbraio 1868 rappresentò un momento estremamente significativo dei rapporti politico-diplomatici tra questi due Paesi, in particolare per due motivi: in primo luogo perché esso venne a configurarsi come il punto di arrivo di un intenso e vivace processo di avvicinamento e di cooperazione tra Belgrado e Bucarest in atto già da diversi anni, e in secondo luogo perché costituì il punto di partenza sul quale fondare le successive scelte politiche indirizzate al conseguimento della piena indipendenza (che giunse poi dagli eventi legati alla crisi orientale del decennio seguente)[1]. Tuttavia è importante mettere subito in luce il fatto che, anche per la segretezza di questo trattato, a lungo ne è stata messa in dubbio l’esistenza. Del resto è comprensibile come ciò sia potuto accadere se si pensa anche alle ripetute, e non sempre attendibili, notizie che circolarono in quegli anni riguardo alla natura dei rapporti tra i due principati e che suscitarono le preoccupazioni delle Grandi potenze. Nella letteratura storiografica un’alleanza tra Serbia e Romania fu ipotizzata già sul finire del 1862, quando grazie alla collaborazione del governo di Bucarest, fu possibile fare arrivare in Serbia un carico di armi proveniente dalla Russia, poi di nuovo nel 1866, nel 1867 e, infine, nel 1868, anno in cui fu realmente stipulato il trattato, del quale, tuttavia, circolò a lungo una versione “apocrifa”.

Per tutte queste motivazioni e per altre che saranno prese in esame nelle pagine successive, si può affermare che l’alleanza serbo-romena del 1868 ha costituito un episodio controverso delle relazioni estere dei due Paesi in questione.

Il proposito del presente studio è quello di fare il punto, per quanto possibile, sulle tappe più significative della ricerca storica che hanno portato a fissare con certezza una data e a stabilire un testo e un contenuto precisi e attendibili di questo trattato di alleanza. Fare il punto su questa vicenda significa altresì chiarire e ricostruire alcuni fra gli episodi più salienti legati ai rapporti di collaborazione tra la Serbia e la Romania durante gli anni Sessanta dell’Ottocento, i quali, appunto, si conclusero con l’alleanza degli inizi del 1868. Inoltre, attraverso il confronto di diversi orientamenti storiografici e vario materiale documentario, è possibile fare chiarezza su ulteriori aspetti legati a questa vicenda, in particolare sulla natura dei rapporti tra i due governi che fu fortemente condizionata, come era naturale che fosse, dalle rispettive condizioni interne e dalle personalità politiche al potere negli anni in questione. Solo per fare un esempio, non fu casuale che si giunse alla conclusione del trattato solo agli inizi del 1868, ossia dopo il licenziamento del presidente del Consiglio e ministro degli Esteri serbo Ilija Garašanin, il quale mantenne sempre un atteggiamento estremamente cauto in merito ad un’alleanza con Bucarest[2].

Se si prende in esame il programma con cui il principe Mihajlo Obrenović salì sul trono della Serbia nel settembre del 1860 alla morte del padre Miloš, si notano subito tre obiettivi fondamentali: l’organizzazione di un efficiente sistema di governo interno, la definizione ultima dei rapporti e delle relazioni con la Sublime Porta e lo sviluppo di una ben precisa linea di politica estera[3]. Questo programma condusse la Serbia ad un notevole avanzamento in tre settori che Mihajlo riteneva essenziali per il raggiungimento dei propri obiettivi: la costituzione di un forte ed efficiente esercito nazionale, l’espulsione definitiva delle guarnigioni turche dalle sei fortezze ottomane che tenevano saldamente in pugno tutto il Paese e l’istituzione di stretti legami politici e militari con le altre popolazioni dei Balcani[4]. In merito a quest’ultimo aspetto bisogna evidenziare come il motore delle intese che videro protagonisti nel corso degli anni Sessanta quasi tutte le popolazioni del Sud-est dell’Europa, sia stato il principato di Serbia, sotto la guida di Mihajlo Obrenović e del primo ministro Ilija Garašanin, i quali stabilirono che il fine ultimo della loro azione di governo dovesse essere il raggiungimento della piena indipendenza attraverso l’eliminazione del potere della mezzaluna dall’Europa. A questo scopo bisognava creare un ampio schieramento di forze che conducesse al sollevamento di tutte le popolazioni in una guerra antiturca di liberazione nazionale.

Dopo il 1866 questo processo di cooperazione e avvicinamento fra i governi dei Paesi balcanici in atto già da alcuni anni, subì una notevole accelerazione. In quell’anno infatti, si era venuta a creare una situazione particolarmente favorevole per un’iniziativa indirizzata all’eliminazione del dominio ottomano dall’Europa, data la temporanea crisi da un lato dell’Impero d’Austria, a seguito delle sconfitte militari contro la Prussia e l’Italia, e dall’altro della Turchia alle prese con la crisi di Creta che spinse Atene e Costantinopoli sull’orlo del confronto militare[5]. Nel biennio 1866-1868 fu messo in atto un tentativo di organizzare un vero e proprio sistema di alleanze balcaniche: un primo progetto di alleanza con la Romania, come già accennato, risale al maggio 1866, quella col Montenegro al settembre 1866, mentre un’intesa con gli esuli bulgari fu conclusa nell’aprile del 1867 e con la Grecia nell’agosto dello stesso anno, mentre nel gennaio del 1868 ci fu il trattato di alleanza con la Romania[6].

Questi dati costituiscono la cornice entro la quale collocare le relazioni tra il governo di Bucarest e quello di Belgrado nella seconda parte degli anni Sessanta del secolo XIX. Inoltre bisogna tenere presente che il mutato scenario politico internazionale allargò le vedute degli uomini di governo dei Paesi balcanici: essi si resero conto che il problema ottomano era comune a tutto il Sud-est dell’Europa e che lo strumento migliore per risolverlo era unire le rispettive forze. In Serbia, in particolare, prese sempre maggiormente piede la convinzione che bisognasse agire autonomamente dalle Grandi potenze. Lo stesso Garašanin si distaccò nettamente dalle sue precedenti posizioni che lo avevano visto fautore della collaborazione con l’Inghilterra e soprattutto con la Francia di Napoleone III, ritenuta la migliore alleata nella lotta di liberazione nazionale[7]. A questo proposito l’armistizio di Villafranca del luglio 1859 era stato una cocente delusione per un po’ tutti i movimenti nazionali europei. Non si poteva neanche fare affidamento sul sostegno inglese dal momento che Londra era interessata al mantenimento dell’integrità dell’Impero ottomano. La Russia, sin dal 1856, sembrò interessarsi più alle riforme interne che a pericolose avventure in politica estera, le quali d’altronde furono sensibilmente limitate dalle disposizioni del trattato di Parigi. In quanto all’Austria, essa era stata da sempre la nemica del principio di autodeterminazione nel Sud-est europeo come nel resto del continente. Dunque è possibile avanzare l’ipotesi che la scelta dei governi balcanici di fare affidamento in quegli anni solo sulle proprie forze fu dunque più il risultato della necessità che il frutto di una scelta autonoma.

Per quanto riguarda i principati di Moldavia e Valacchia, invece, bisogna osservare che il dibattito politico, nei primi anni Sessanta, si concentrò prevalentemente sulle modalità dell’unione tra i due Paesi e il rafforzamento di essa attraverso un articolato e ampio progetto di riforme interne. Ciò tuttavia non significa che venne prestata meno attenzione ai problemi di politica estera; infatti fu proprio attraverso lo sviluppo delle relazioni bilaterali, compresa l’apertura di nuove agenzie diplomatiche e la conclusione di convenzioni e accordi, che i Principati uniti manifestavano alcune delle loro prerogative di Stato sovrano. In particolare il governo del principe Cuza avviò l’organizzazione dell’apparato diplomatico vero e proprio: nel 1860 fu aperta un’agenzia diplomatica a Parigi e nel 1863 a Belgrado, mentre già nel 1859 venne riorganizzata quella di Costantinopoli. Inoltre nel 1862 fu portata a compimento la riforma del ministero degli Esteri (già avviata nel 1859) con la fusione dei ministeri della Moldavia e della Valacchia. Fu messo in atto dunque un complessivo lavoro sia in direzione della completa unione e del riconoscimento della doppia elezione di Cuza, che allo scopo di difendere i diritti di sovranità dello Stato romeno e di farli valere con fermezza[8]. Un dato non trascurabile e importante da sottolineare è, come si è visto, quello dell’apertura di un’agenzia diplomatica a Belgrado, la quale venne inaugurata subito dopo quella, in un certo senso “d’obbligo”, di Costantinopoli e quella di Parigi[9], a testimonianza di un vivo e concreto interesse del governo romeno nei confronti del vicino principato.

Del resto la collaborazione tra i due Paesi, sebbene di vecchia data, subì in quegli anni un forte impulso: la creazione di rappresentanze diplomatiche permanenti nel corso del 1863, infatti, era stata preceduta da numerosi contatti già durante il precedente anno. Nell’estate del 1862 il principe Cuza aveva inviato in missione in Serbia il maggiore Herckt allo scopo di acquistare un quantitativo di cannoni e di altre armi (che erano state offerte a prezzi molto vantaggiosi dal governo serbo a quello romeno) presso l’arsenale di Kragujevac. Sebbene ancora ci siano da chiarire numerosi aspetti legati a questa prima missione di Herckt in Serbia, sembra che si possa affermare che essa ebbe dei risvolti politici molto importanti, poiché in primo luogo preparò il terreno al successivo episodio del transito attraverso il territorio romeno di un carico di armi proveniente dalla Russia e destinato alla Serbia[10]. Infatti a seguito del bombardamento di Belgrado del giugno di quell’anno e della successiva rottura con Costantinopoli, il governo serbo cercò di rafforzare ulteriormente il potenziale militare del Paese, da un lato aumentando sensibilmente la produzione di armi nel proprio arsenale e dall’altro cercando di acquistarle dall’estero, come in questo caso dalla Russia. Elemento importante di sostegno a questa politica di riarmo erano le relazioni con le altre popolazioni dei Balcani alle prese col problema turco: si rendeva necessaria, in altri termini, la realizzazione di una trama di intese che portasse alla formazione di uno schieramento compatto di forze pronte ad impegnarsi in una guerra contro la Porta[11]. In particolare il principe Mihajlo aveva apprezzato molto la collaborazione dei romeni in questa vicenda e, riferendosi a Cuza, aveva affermato che “il suo comportamento aveva confermato le relazioni di amicizia tra i due popoli che tanti interessi comuni rendono solidali l’uno con l’altro”[12].

All’interno dunque di questa cornice di rapporti di collaborazione tra i due Paesi, si colloca la già ricordata apertura delle due agenzie diplomatiche: quella romena a Belgrado diretta da Teodor Callimachi e quella serba a Bucarest guidata da Kosta Magazinović[13]. Ciò costituì una tappa molto importante sulla strada verso il compimento delle rispettive aspirazioni nazionali poiché consentì un coordinamento molto efficace tra le politiche dei due governi e favorì inoltre, proprio per le attribuzioni e le attività svolte da queste due agenzie, la progressiva integrazione dei due Paesi nel contesto della politica internazionale[14]. Nel settembre del 1863 fu poi la volta dei serbi ad inviare dei militari in Romania allo scopo di raccogliere informazioni sulle capacità militari romene e per partecipare ad alcune manovre dell’esercito[15].

Inevitabilmente questi contatti e scambi tra i due principati impensierirono molto la Sublime Porta che domandò in più di una occasione delle spiegazioni sia ai serbi che ai romeni. Il governo del sultano arrivò a sospettare già a questa data dell’esistenza di un’alleanza tra i due governi, che però non c’era stata. In un rapporto del 17/29 dicembre 1863, Callimachi riferiva per l’appunto di questi dubbi avanzati da Costantinopoli (e della pronta smentita della delegazione serba); affermava poi che le “relazioni con la Serbia erano fra le più intime” e invitava il principe Cuza a tenere in grande considerazione questi rapporti, in quanto “ci rendono gli arbitri della questione d’Oriente”, poiché, proseguiva, dalla sorte dei Principati uniti dipendeva in quel momento tutta la questione della dominazione ottomana in Europa[16]. Del resto è innegabile che durante gli anni di Cuza, le relazioni tra i due Paesi furono molto cordiali, tanto che il governo serbo arrivò ad esprimere il proprio apprezzamento per la secolarizzazione dei beni ecclesiastici (che invece aveva creato tensioni tra i governi di Bucarest e Atene) e la riforma agraria attuata nel 1864 nei Principati uniti[17]

Dunque l’azione coordinata dei due Paesi si sviluppò in questi anni lungo un doppio binario: quello delle pacifiche relazioni diplomatiche (anche con le Grandi potenze) e quello del riarmo e del costante sforzo teso al miglioramento dei rispettivi eserciti nell’eventualità di una guerra di liberazione nazionale. Per sottolineare maggiormente questo aspetto basterà ricordare che ancora nel 1865 ebbe luogo una seconda missione del maggiore Herckt in Serbia. Questa volta gli venne affidato l’incarico di portare in dono al principe di Serbia, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’insurrezione guidata da Miloš Obrenović nel 1815, i primi fucili fabbricati nell’arsenale di Bucarest[18]. Senza dubbio Herckt era latore anche di messaggi politici e la sua missione non fu solo di rappresentanza[19]. Nel corso dell’anno seguente le voci in merito ad un’alleanza serbo-romena divennero sempre più insistenti ed è probabile che stessero lentamente venendo a maturazione i frutti del lavoro svolto negli anni appena trascorsi, durante i quali i governi serbo e romeno si erano mossi sia sulla strada delle riforme interne tese al rafforzamento dello Stato nazionale, sia su quella della cooperazione internazionale in vista del compimento dell’unità e del conseguimento della piena indipendenza.

Tuttavia la crisi politica che si manifestò nei Principati uniti nel 1866, che portò alla caduta di Cuza, sembrò imprimere una battuta d’arresto allo sviluppo delle condizioni per giungere alla stipula di un vero e proprio trattato di alleanza. Nel marzo di quell’anno un’assemblea nazionale romena proclamò Karl di Hohenzollern-Sigmaringen principe regnante col nome di Carol I. Fu approvata una nuova Costituzione e fu proclamata l’unione definitiva di Moldavia e Valacchia in un nuovo Stato chiamato Romania, che la Porta riconobbe nell’ottobre dello stesso anno[20]. Tuttavia, come per il vicino Principato di Serbia, rimase il problema dell’indipendenza poiché la Romania continuava ad essere uno Stato vassallo del sultano.

Nel febbraio del 1866 il governo provvisorio di Bucarest[21] stilò delle istruzioni per il rappresentante romeno a Belgrado, nelle quali, significativamente, pur lasciando spazio ad una possibile alleanza tra i due Paesi si raccomandava la massima prudenza:

Il est probable, Monsieur l’Agent, que les ouvertures vous soient faites d’une alliance de la Roumanie avec la Serbie. Tout en ne repoussant pas des semblables propositions, vous vous tiendrez néanmoins dans une réserve prudente; vous objecterez le manque d’instructions précises à cet égard, et vous ferez valoir la position embarrassée que nous ont légué le Gouvernement précédent et la révolution que nous venons de traverser; que pour vous le mouvement oriental a éclaté trop tôt, car nous n’ y sommes pas préparés et que nous avons besoin de nous recueillir et de nous organiser pour pouvoir agir sérieusement; que malgré cela vous soumettrez à votre Gouvernement toutes les ouvertures qui pourraient vous être faites, lui laissant l’appréciation de leur opportunité[22].

Lo studioso statunitense David Mackenzie ha sostenuto, sulla base delle lettere di Ilija Garašanin, che verso la fine di marzo del 1866 fu proprio il governo romeno ad avanzare una proposta di alleanza alla Serbia, sulla quale il Primo ministro fu evasivo. Egli, deplorando la scelta di uno straniero come principe, poiché temeva che esso potesse divenire uno strumento nelle mani dell’Austria o della Russia, in un primo momento rifiutò qualsiasi proposta d’intesa con la Romania. Quando dunque il governo provvisorio di Bucarest presentò al governo serbo un progetto di alleanza, Garašanin cercò di allungare in tutti i modi i tempi dei negoziati in attesa che la situazione nel vicino Principato si stabilizzasse[23]. E’ facilmente comprensibile come il primo ministro serbo osservasse con una certa preoccupazione gli avvenimenti in corso in Romania, soprattutto se si tiene presente la sua consueta condotta prudente in politica estera. Egli glissò sulla proposta di alleanza militare, lasciando che il progetto presentato dal governo provvisorio romeno rimanesse lettera morta. Questo episodio risulta confermato anche da un rapporto del console italiano a Belgrado Scovasso il quale riferiva che Garašanin si era espresso nei seguenti termini:

[…] Aux offres d’alliance que le Gouvernement provisoire de Buckarest m’a fait faire en prévision des certains événements, j’ai répondu qu’une alliance entre les deux pays m’était chère, mais que le temps n’était pas opportun; seulement lorsqu’il y aura dans les Principautes Unies un Gouvernement régulier bien stable et fort, il sera temps de penser à une alliance; que pour le moment ce qu’il y avait de plus pressant à faire c’était de bien gouverner le pays, de maintenir l’ordre afin de aider les efforts que font les puissances qui sont favorables à l’union pour la réaliser[24].

Tuttavia nei mesi seguenti Garašanin, pur mantenendo un atteggiamento prudente, si premurò, nelle istruzioni per il rappresentante di Belgrado a Bucarest Magazinović, affinché la Serbia e la Romania continuassero a collaborare e a creare i presupposti per giungere ad una futura alleanza[25]. Del resto è comprensibile la sua iniziale riluttanza: nel febbraio di quell’anno, dopo tanti anni di proficua collaborazione col principe Cuza, si trovò all’improvviso a dover trattare con degli esponenti politici che rappresentavano le forze sociali e politiche che avevano posto fine proprio al governo di costui. Inoltre l’opinione pubblica serba non vedeva certo di buon occhio i recenti avvenimenti romeni. Il 19 febbraio 1866, il rappresentante di Bucarest a Belgrado aveva fatto sapere al suo governo che in Serbia

“le prince Couza est considéré comme une espèce de martyr. Le journal Vidov Dane attaque la Roumanie”[26].

Quel progetto di alleanza serbo-romena ha suscitato una serie di problematiche rispetto alla sua autenticità e alla sua data. Innanzitutto l’unica copia di cui si è a conoscenza è quella contenuta in un rapporto del console greco a Bucarest, Ghionis, dell’agosto del 1866, indirizzato al rappresentante greco a Costantinopoli Delyannis. In esso Ghionis riferiva che il riassunto di questo trattato, siglato nel maggio, gli era stato fatto avere, a patto di osservare la più stretta discrezione e riservatezza, da un alto funzionario del ministero degli Esteri di Bucarest, col quale egli era in stretti rapporti[27]. Lo storico Leften Stavrianos ha riportato una traduzione di questo testo in lingua inglese[28] effettuata su quella francese fatta da S. Th. Lascaris nel 1926 dall’originale greco contenuto nel rapporto di Ghionis[29]. Inoltre è probabile che la data indicata dal console greco a Bucarest, maggio 1866, non sia corretta. Il nome del plenipotenziario romeno nel trattato, infatti, nelle varie traduzioni effettuate, è N. Valanesco, che correttamente dovrebbe essere Nicolae Rosetti Bălănescu, ministro degli Esteri dall’agosto 1863 all’ottobre 1865. Nel maggio 1866 non era Bălănescu, bensì Petru Mavrogheni il responsabile degli Esteri romeno[30]. La data esatta dunque dovrebbe essere maggio 1865 e non 1866[31]. Dunque si tratterebbe di un progetto avviato ai tempi di Cuza. Ipotesi questa che riceverebbe anche un’ulteriore conferma dalle parole del console italiano a Belgrado Stefano Scovasso, il quale, nell’aprile del 1866, riferiva:

“par quelques mots échappés à Garachanine je me suis persuadé qu’il existait vraiment une alliance entre le Prince Couza et le Prince Michel: alliance qui comme V.E. le sait, n’a jamais été avouée par Garachanine”[32].

Comunque stessero le cose è importante notare che questo trattato, sebbene non sia stato ratificato, né mai eseguito, costituisce un ulteriore e significativo passo in avanti nella cooperazione tra la Serbia e la Romania, nonché un precedente di grande interesse del trattato serbo-romeno del gennaio 1868. In sostanza il testo del 1865 prevedeva un’alleanza difensiva e offensiva dei due Paesi contro la Turchia e si componeva di sette articoli, nei quali si prendeva in esame l’eventualità di una guerra contro l’Impero ottomano e si regolamentavano i molteplici aspetti di essa. Particolarmente interessante risulta essere l’articolo quattro nel quale era previsto, in caso di sconfitta, di richiedere la protezione della Russia.

Come già osservato, l’acuirsi della crisi di Creta nell’estate del 1866 spinse i governi dei Paesi balcanici ad aumentare le iniziative e i contatti allo scopo di giungere ad un’ampia coalizione antiottomana. Il governo greco avviò delle trattative con quello romeno e riprese quelle già avviate nel 1861 con i serbi, i quali conclusero nel settembre del 1866 un’intesa con il Montenegro e nel gennaio del 1867 un primo accordo di cooperazione con i comitati rivoluzionari bulgari[33].

Contatti in direzione di una collaborazione in chiave antiturca proseguirono anche tra Belgrado e Bucarest. Nel febbraio del 1867 l’agente romeno in Serbia riferiva al suo governo che il primo ministro Garašanin gli aveva parlato degli stretti legami che dovevano esistere tra le popolazioni cristiane d’Oriente e del dovere che la Romania aveva di non separare i propri interessi da quelli di tutte queste popolazioni[34]. In tale contesto è da collocare il progetto di trattato quadripartito tra Serbia, Romania, Grecia e Montenegro che si conserva negli archivi romeni. Questo testo rappresenta, sul versante delle relazioni tra Belgrado e Bucarest, la base del successivo trattato del gennaio 1868. Esso prevedeva amicizia e alleanza tra i quattro Paesi, la tutela dei rispettivi interessi nazionali, l’impegno ad agire di concerto nel campo della politica estera e lo sviluppo delle relazioni commerciali[35]. Di questo progetto parlarono anche il principe Carol e Mihajlo Obrenović nell’aprile del 1867 durante la visita ufficiale che quest’ultimo fece in Romania[36].

Alla luce della conclusione del trattato tra la Serbia e la Grecia nell’agosto del 1867[37] da un lato e di quello con la Romania nel gennaio del 1868 dall’altro, nonché in virtù di una comparazione testuale di questi tre documenti, si può confermare l’ipotesi che il progetto di alleanza a quattro servì da base per le trattative che condussero alla conclusione dei successivi due trattati separati dei mesi seguenti. Inoltre, durante questa visita, Mihajlo espresse la convinzione che sia la Serbia che la Romania avevano il medesimo interesse a disfarsi della sovranità ottomana e che a questo scopo dovevano stringere un’alleanza[38]. Del resto fu chiaro anche al rappresentante italiano a Bucarest Susinno che la visita del principe di Serbia non fu soltanto di semplice cortesia[39]. Anche se in questa occasione non si giunse alla stipula di un trattato, essa senza dubbio ne accelerò i tempi della conclusione.

Durante tutta la metà del 1867 e per buona parte dell’anno successivo, negli ambienti diplomatici si parlò spesso di un ipotetico progetto di alleanza tra la Serbia e la Romania. Alla fine di giugno del 1867 il console generale italiano a Belgrado Scovasso comunicava al ministro degli Esteri Di Campello che nel programma del principe di Serbia vi era anche la conclusione di un’alleanza offensiva e difensiva con la Romania e la Grecia[40]. Qualche tempo dopo, nel settembre dello stesso anno, il console italiano a Bucarest, Susinno, riferiva che il ministro degli Esteri romeno gli aveva fatto sapere che il governo serbo era intenzionato a concludere immediatamente un’alleanza con la Romania[41]. Tuttavia è assai probabile che, pur essendoci, da parte di Belgrado, l’intenzione di giungere alla conclusione di un atto formale di alleanza, non ci sia stata tutta questa determinazione di cui parla il rappresentante italiano a Bucarest. Ciò sostanzialmente per un motivo: come è stato già notato in precedenza, il responsabile della politica estera del principato serbo, Garašanin, era estremamente cauto e, soprattutto, ancora non nutriva piena fiducia nelle intenzioni e nelle capacità del nuovo regime romeno. Il console Scovasso riferiva che il primo ministro serbo si era espresso pressappoco nei seguenti termini con l’agente romeno a proposito dell’alleanza tra i due Paesi:

“Vous le voyez nous sommes tous favorables aux Roumains, non seulement nous reconnaissons depuis longtemps la nécessité de nous unir dans une alliance offensive et défensive, nous la désirons de tous nos voeux mais avec qui pouvons nous traiter? Le Prince Charles n’a pas de volonté, n’a pas d’initiative et lasse tout faire à ses Ministres, mais le Ministres sont ephémères, ils se succèdent avec une rapidité déplorable. Votre Gouvernement n’est pas solide”[42].

Probabilmente Garašanin non era stato così drastico nelle sue espressioni ma sostanzialmente il suo pensiero risulta piuttosto chiaro ed è confermato dal complesso del suo operato politico alla guida del governo serbo. Le trattative e i contatti furono dunque numerosi durante l’autunno del 1867 e divenne pressoché certo che i due Paesi stessero sul punto di giungere al coronamento di tanti anni di importante collaborazione attraverso un’alleanza formale. Così riferiva Susinno a Firenze nell’ottobre di quell’anno:

L’Agent de Roumanie porte à Belgrade les bases d’un traité avec la Serbie. D’après ce qu’on m’a dit on se bornerait pour le moment à une alliance pure et simple pour garantir les droits et la sécurité des deux pays. Le mots offensive et défensive seraient même laissés de côté afin de ne pas éveiller des préoccupations intempestives en Europe. Il serait entendu, mais sans le stipuler, dès à présent que la Roumanie laisse à la Serbie libertè d’action à l’egard de la Bulgarie[43].

Molto interessante è questa notazione del diplomatico italiano in merito ad una contesa, che meriterebbe uno studio più approfondito, tra Belgrado e Bucarest già a quella data, rispetto alla regione bulgara, nei confronti della quale entrambi i principati avevano delle mire espansionistiche[44]. Come se non bastasse, a rendere di nuovo incerto, sebbene solo momentaneamente, il cammino dei due governi verso la conclusione di un trattato di alleanza, fu un evento di capitale importanza per la storia politica della Serbia: la rimozione, nel novembre del 1867, di Ilija Garašanin dai suoi incarichi di presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, a causa delle profonde divergenze di vedute tra questi e il principe[45]. Il 26 novembre il console Scovasso riferiva che Mihajlo aveva risposto all’agente romeno incaricato delle trattative dell’alleanza che, in merito alle aperture fatte da Carol su tale questione, egli desiderava fortemente giungere alla conclusione del trattato, ma che altresì si riservava di dargli una risposta definitiva soltanto all’arrivo di Jovan Ristić, che avrebbe preso il posto di Garašanin alla guida del governo[46]. Lungi dal rappresentare un ostacolo permanente per la conclusione dell’alleanza, l’allontanamento di Garašanin ne favorì invece la realizzazione.

A Bucarest, il 20 gennaio/ 1 febbraio del 1868, Radu Ionescu (rappresentante romeno a Belgrado) e Kosta Magazinović (rappresentante serbo a Bucarest) siglarono il trattato di alleanza tra la Serbia e la Romania[47]. Dalle memorie del principe Carol si apprende che il 13/25 gennaio Magazinović fu il primo ad essere ricevuto in udienza dal sovrano per parlare di un trattato di amicizia tra i due Paesi che Ionescu aveva portato da Belgrado[48].

Tuttavia, come nel caso del progetto proposto nel maggio 1865, anche su questo trattato ci sono state delle dispute, soprattutto perché per anni ne è circolata una versione apocrifa pubblicata per la prima volta nel 1892, nota come la “versione Engelhardt” (dal nome di colui che la pubblicò)[49]. Leften Stavrianos ha considerato questo testo abbastanza fedele all’originale e di esso ha dato la traduzione in lingua inglese[50]. Dopo accurate indagini negli archivi romeni, è stato scoperto dagli studiosi un testo di soli quattro articoli che coincide con quello che si conserva negli archivi jugoslavi. Da un’attenta lettura di questo documento è possibile concludere che il trattato del 1868 prevedeva semplicemente amicizia reciproca e cooperazione economica[51]. Sarebbe questa dunque la versione più attendibile e non quella di Engelhardt che consta di undici articoli e rivela un disegno che va oltre la semplice amicizia. In essa infatti, era previsto il confronto militare con la Turchia e l’allargamento territoriale di entrambi gli Stati (articolo 8): alla Romania sarebbero spettate le isole che formano il delta del Danubio e la parte orientale della Bulgaria (probabilmente la Dobrugia) e alla Serbia sarebbero andate Bosnia, Erzegovina e Bulgaria[52].

L’ipotesi che l’intesa serbo-romena non andasse al di là di quei quattro articoli che contemplavano semplicemente amicizia (articoli 1 e 2) e cooperazione economica (articolo 3, mentre il quarto riguardava gli strumenti di ratifica) sarebbe supportata dalla considerazione che il governo di Bucarest nutriva poco interesse per il sistema d’alleanze concepito da Serbia e Grecia. In esso, infatti, tutti gli sforzi erano indirizzati alla liberazione della cosiddetta Turchia europea: l’unico territorio di quest’area a cui i romeni erano interessati era la parte nord-orientale della Bulgaria, sulla quale i serbi non avevano intenzione di cedere. Inoltre ciò che veramente la Romania voleva era l’acquisizione di tutte le province dell’Impero d’Austria abitate da propri connazionali, soprattutto la Transilvania. Ciò, come osservato, esulava dallo schema concepito da Serbia e Grecia che era finalizzato all’espansione a spese interamente dell’Impero ottomano. Ciò che convinse il governo di Bucarest a fare causa comune con i vicini serbi fu l’opportunità di vedere completato il proprio processo di indipendenza affrancandosi definitivamente dalla condizione di Stato vassallo della Porta[53].

Sebbene il trattato fosse segreto, le voci in merito alla sua conclusione furono numerose nei mesi successivi. Nel marzo del 1868, ad esempio, il ministro italiano a Costantinopoli, Bertinatti, riferendo delle trattative in corso nella capitale ottomana tra la Sublime Porta e i rappresentanti del Montenegro a seguito delle diverse rivolte avvenute nel corso degli ultimi anni in questo principato, rendeva noto che

“la Porta sembrava disposta a venire ad un accomodamento col Montenegro, mediante uno scambio di territorio, ma ritiensi che la notizia giunta di un trattato d’alleanza che sarebbe stato conchiuso in questi ultimi tempi tra la Serbia e la Rumenia, abbia fatto all’ultimo momento recedere il Governo Ottomano dai suoi propositi di conciliazione ed abbia cagionato la rottura dei negoziati”[54].

Anche nelle capitali europee la notizia del trattato si diffuse con rapidità. L’incaricato d’affari italiano a Londra, Maffei, nel suo rapporto del 6 aprile riferiva al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Menabrea che, durante una conversazione che aveva avuto con l’ambasciatore della Prussia conte Bernstorff, si era reso conto che questi non sapeva nulla dell’alleanza conclusa tra la Serbia e la Romania e che era rimasto incredulo quando ne venne a conoscenza (notizia, riferisce Maffei, che era stata comunicata dall’ambasciatore francese al Foreign Office)[55]. Verso la fine di marzo poi, il generale Ignat’ev, ambasciatore russo a Costantinopoli, trovandosi a Baziaş, era stato invitato sia dal governo serbo che da quello romeno a visitare i loro rispettivi Paesi. Poiché le Grandi potenze sospettavano l’esistenza di un trattato di alleanza serbo-romeno, la visita non ebbe luogo, dal momento che il generale la ritenne inopportuna in quel momento[56]. Pochi giorni dopo, il 4/16 aprile, il rappresentante romeno a Costantinopoli, Golescu, inviò al principe Carol un rapporto confidenziale nel quale si riferiva delle conversazioni avute con alcuni esponenti politici ottomani i quali gli avevano espresso la loro disapprovazione nei confronti di talune azioni intraprese dalla Romania e la preoccupazione in merito all’esistenza di un trattato di alleanza tra i due Paesi. Golescu, che aveva ricevuto istruzioni che gli prescrivevano di negare l’esistenza di un’alleanza, riferiva altresì che la posizione del rappresentante serbo, invece, era negare l’esistenza di un trattato politico che potesse essere “inquietante” per i vicini. In altri termini i serbi non negavano l’esistenza di un accordo, che aveva solo un carattere d’intesa commerciale, amministrativa ed era teso alla sviluppo pacifico dei due Paesi, ma ne negavano la natura offensiva[57].

Come è possibile osservare da questi pochi esempi, la notizia dell’alleanza circolava insistentemente in tutta Europa, ma i termini esatti di essa non erano noti. Con tutta probabilità fu proprio da questo momento che iniziarono le congetture relative al contenuto, alla datazione e all’esistenza stessa di questo accordo, che sono terminate solo quando sono state ritrovate le copie del testo di quattro articoli sia negli archivi romeni che in quelli jugoslavi. L’incertezza che c’era in quegli anni su questo episodio è ben sintetizzata dalle parole del rappresentante italiano a Londra, Maffei, che vale la pena di riportare. Egli riferiva che l’ambasciatore francese in Inghilterra, La Tour d’Auvergne, gli aveva ribadito di “credere fermamente all’esistenza di un trattato offensivo e difensivo tra la Serbia e la Moldo-Valacchia, in vista di certe eventualità. Ciò non toglie […] che possono aver conchiuso una convenzione per semplici ragioni di facilitazioni internazionali, ma non porre in dubbio, dalle informazioni che aveva, l’esistenza di un segreto accordo o patto politico fra di loro, accordo al quale taluni pure persistono a credere la Grecia si sia associata, quantunque essa, e a quanto pare sinceramente, lo neghi. Ecco i due diversi modi in cui la questione viene rappresentata, – scriveva Maffei – e forse, fra la discrepanza di tali asserzioni, una via di mezzo può essere quella che più s’approssima alla verità, poiché che qualche cosa di fondato in esse vi sia, pare positivo”[58].

In definitiva, come è già stato osservato, la conclusione di un atto di alleanza formale tra la Serbia e la Romania nel 1868 sancì il riconoscimento delle relazioni amichevoli e dei proficui rapporti di collaborazione che si erano instaurati già da diversi anni tra questi due principati. Tuttavia non fu facile per due Paesi piccoli, giovani, non pienamente indipendenti e sovrani, avviare un’organica politica di cooperazione e un programma d’azione comune e di ampio respiro. Ciò fu sostanzialmente dovuto al fatto che le rispettive vicende interne erano simili ma non tali da poter essere tradotte in un vasto disegno comune nel campo della politica estera. Sia la Serbia che la Romania dovevano in primo luogo consolidare le proprie strutture politiche e risolvere le numerose contraddizioni interne di carattere economico e sociale. Tuttavia è estremamente significativo che le élites di governo di questi due principati abbiano pensato, rivelando una sensibilità politica molto profonda, di servirsi dello strumento della cooperazione con gli Stati vicini che si trovavano anch’essi alle prese con problematiche di rilevanza comune, come in primo luogo il permanere della sovranità ottomana. Come è stato visto nelle pagine precedenti, l’instabilità politica interna e, in alcuni casi, la diffidenza reciproca, nonché la difficoltà di mettere in atto le simpatie che venivano reciprocamente dichiarate, non hanno di certo facilitato questo processo di avvicinamento e di cooperazione, ma sia la Serbia che la Romania hanno saputo mettere in atto una politica estera coraggiosa e di orizzonte europeo.

Come quella tra la Serbia e la Romania, l’obiettivo delle intese balcaniche degli anni Sessanta del secolo XIX, espressione delle tendenze verso l’emancipazione nazionale, sociale ed economica di quei Paesi, fu quello di risolvere il problema dell’indipendenza dalla Porta ottomana e dei difficili rapporti con le Grandi potenze facendo affidamento solo sulle forze interne delle popolazioni del Sud-est europeo. Era un’illusione appunto, ma allo stesso tempo un elemento importante della politica estera dei Paesi balcanici, che si ritroverà alla base di tutti i movimenti nazionali di quest’area durante la seconda metà degli anni Sessanta e che troverà piena manifestazione durante la guerra balcanica del 1912.



[1] All’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento la Serbia e i Principati uniti di Moldavia e Valacchia – dal 1866 Romania – erano ancora formalmente sottomessi alla sovranità del sultano sebbene godessero di un’ampia autonomia e avessero un proprio governo. L’autonomia della Serbia fu raggiunta nel 1830 a coronamento di una lunga lotta iniziata nel 1804 e questo status venne confermato dalle Potenze firmatarie del Trattato di Parigi nel 1856. I Principati danubiani, dopo la conclusione del trattato di Adrianopoli del 1829, ottennero la soppressione del regime fanariota e l’eleggibilità al trono solo di principi autoctoni; poi, nel 1859, furono uniti attraverso la doppia elezione del principe Cuza. Dopo il colpo di Stato del 1866 questa unione fu mantenuta e il nuovo Stato prese il nome di Romania

[2] In merito al progetto di un’alleanza a quattro tra Serbia, Grecia, Montenegro e Principati uniti, nel 1861 Garašanin aveva affermato: “nous croyons tous qu’il est extrêmement dangereux et pour le commencement de l’action diplomatique tout-à-fait superflu de faire immédiatement des démarches à Bucarest et à Cettigné et de poser la signature du protocole comme une condition de cette action”: Garašanin al rappresentante serbo a Costantinopoli Jovan Ristić, Belgrado, 28/12/1861-9/1/1862, in Poporul român şi lupta de eliberare a popoarelor din Balcani, Bucureşti, 1986, p. 319; si veda anche David Mackenzie, Ilija Garašanin: Balkan Bismarck, East European Monographs, Boulder, distributed by Columbia University Press, New York, 1985, p. 248

[3] Per maggiori dettagli sulla politica estera della Serbia durante questo periodo si veda Grgur Jakšić – Vojislav J. Vučković, Spoljna politika Srbije za vlade kneza Mihaila: prvi balkanski savez, Istorijski institut, Beograd, 1963

[4] Michael Boro Petrovich, A history of modern Serbia, 1804 – 1918, vol. I, Harcourt Brace Jovanovich, New York – London, 1976, pp. 312-313

[5] La storiografia ha parlato dell’anno 1866 come di una sorta di spartiacque nella storia balcanica: cfr. Elio Apih, Questione balcanica, estratto da “Il mondo contemporaneo”, vol. VII: Politica internazionale, La Nuova Italia, Firenze, 1979, p. 274

[6] Si veda la sintesi di Dimitrije Djordjević, Revolutions nationales des peuples balkaniques 1804-1914, Institut d’histoire, Beograd, 1965, pp. 114-119

[7] Alla fine del 1844, nel suo celebre Načertanije, Garašanin aveva affermato che la Francia e l’Inghilterra erano alla testa di uno schieramento di forze che cercavano di opporsi ad un’eventuale spartizione austro-russa dell’Impero ottomano e che le stesse sostenevano la costituzione di Stati cristiani indipendenti, visti come la migliore garanzia per il mantenimento dell’equilibrio in Europa. Per il testo del Načertanije: Dragoslav Stranjaković, Kako je postalo Garašaninovo Načertanije, in “Spomenik”, XCI, 1939, pp. 3-53, oppure le due traduzioni in lingua inglese: Paul N. Hehn, The origins of modern pan-serbism – The 1844 Načertanije of Ilija Garašanin: an analysis and translation, in “East European Quarterly”, IX, n.2, 1975, pp. 153-171, e Dušan T. Bataković, Ilija Garašanin’s Načertanije. A reassessement, in “Balcanica”, XXV, 1, 1994, pp. 157-183

[8] Su queste problematiche: Mircea Maliţa, La diplomatie roumaine. Aperçu historique, Éditions Meridiane, Bucarest, 1970, pp. 72-76; ma soprattutto si veda Dumitru Vitcu, Diplomaţii Unirii, Editura Academiei Republicii Socialiste România, Bucureşti, 1979 e Dan Berindei, Diplomaţia românească modernă: de la începuturi la proclamarea independenţei de stat, 1821-1877, Editura Albatros, Bucureşti, 1995; cfr. inoltre Gheoghe Cristea, Coordonnées de la politique extérieure de la Roumanie sous le règne d’Alexandru Ioan Cuza (1859-1866), in “Revue roumaine d’histoire”, XVIII, 1, 1979, pp. 3-20

[9] Sull’agenzia diplomatica romena a Parigi si veda R. V. Bossy, Agenţia diplomatică a României în Paris şi legăturile politice franco-române sub Cuza Vodă, Fundaţiunea Regele Ferdinand I, Cartea Românească, Bucureşti, 1931; Dan Berindei, Infiinţarea agenţiei Principatelor Unite la Paris (26 august/7 septembrie 1860), in “Studii. Revista de istorie”, 13, 1960, n.6, pp. 99-120; cfr. inoltre Sever Mircea Catalan, La situation internationale des Principautés Unies (1864-1866) considérée selon sa relation avec le déclin du Second Empire, in “Revue roumaine d’histoire”, XXXI, 3-4, 1992, pp. 235-254

[10] C. Căzănişteanu, Über den abschluss eines rumänisch-serbischen bündnisvertrages im siebenten jahrzehnt des 19. jh., in “Revue des études sud-est européennes”, VIII, 1, 1970, pp. 121-131

[11] Constantin G. Giurescu, Tranzitul armelor sîrbeşti prin România sub Cuza Vodă (1862), in “Romanoslavica”, XI, istorie, 1965, pp. 33-65; Veselin Trajkov, Le transfert par territoire roumain d’armes russes destinées à la Serbie (oct.-dec. 1862). Le rôle des Bulgares, in “Études balkaniques”, 1970, XVI, n.2, pp. 90-97

[12] Viorica Moisuc, La Yougoslavie, in L’affirmation des états nationaux indépendants et unitaires du centre et du Sud-est de l’Europe (1821-1923), coordonnateurs: Viorica Moisuc, Ion Calafeteanu, Bucureşti, 1980, p. 106

[13] Cfr. le lettere di Cuza a Mihajlo e di Ion Ghica a Garašanin in R. V. Bossy, Agenţia diplomatica a României în Belgrad şi legăturile politice româno-sârbe sub Cuza Vodă, in “Memoriile secţiuni istorice. Academia Română”, seria III, tomul XV, mem. I, pp. 28-30

[14] G. G. Florescu, Agenţiile diplomatice de la Bucureşti şi Belgrad (1863-1866). Contribuţii la studiul relaţilor politice româno-sîrbe, in “Romanoslavica”, XI, istorie, 1965, pp. 125-136

[15] La delegazione serba era guidata dai colonnelli Petrović e Iovanović: “les colonels Pétrovitch et Iovanovitch, envoyés par le Gouvernement de Serbie pour les manœuvres, arriveront à Giurgiu […]. Faites-leur faire réception honorable”: telegramma di Callimachi al primo ministro, 15 settembre 1863, in R. V. Bossy, Agenţia diplomatica a României în Belgrad şi legăturile politice româno-sârbe sub Cuza Vodă, cit., p. 30

[16] Rapporto di Callimachi al ministero degli Esteri del 17/29 dicembre 1863, in Nicolae Iorga, Correspondance diplomatique roumaine sous le roi Charles Ier (1866-1880), Gamber, Paris, 1923, p. 4

[17] Cfr. Nicolae Ciachir, Aspects concernant les relations politiques roumaino-serbes entre 1863-1875 (depuis l’établissement des relations diplomatiques jusqu’à la réouverture du probleme orientale), in “Balcanica”, V, 1974, p. 287

[18] Cfr. la lettera di Cuza a Mihajlo del 4/7/1865 in R. V. Bossy, Agenţia diplomatica a României în Belgrad şi legăturile politice româno-sârbe sub Cuza Vodă, cit., p. 55

[19] Cfr. C. Căzănişteanu, op. cit., pp. 129-131

[20] Si veda Paul Henry, L’abdication du Prince Couza et l’avènement de la dynastie de Hohenzollern au trône de la Roumanie. Documents diplomatiques, F. Alcan, Paris, 1930

[21] A seguito delle agitazioni politiche e sociali dell’estate precedente, nel febbraio del 1866 il principe Cuza era stato costretto ad abdicare ed era stato formato un governo provvisorio presieduto dal liberale moderato Ion Ghica

[22] Brano pubblicato in Nicolae Iorga, op. cit., p. 9

[23] David Mackenzie, op. cit., p. 301

[24] Scovasso a La Marmora, 12/4/1866, in I documenti diplomatici italiani (da adesso DDI), s. I, vol. VI, p. 581

[25] David Mackenzie, op. cit., pp. 301-302

[26] Nicolae Iorga, op. cit., pp. 8-9

[27] S. Th. Lascaris, La première alliance entre la Grèce et la Serbie, estratto da “Le monde slave”, n.9, 1926, p. 15

[28] Leften S. Stavrianos, Balkan Federation. A history of the movement toward Balkan unity in Modern times, Archon Books, Hamden (Connecticut), 1964, pp. 273-274

[29] S. Th. Lascaris, op.cit., pp. 15-16

[30] Sui ministri e i governi della Romania in questi anni si veda Danilo L. Massagrande, I governi dei Paesi balcanici dal secolo XIX al 1944, vol. I, Edizioni Comune di Milano-Amici del Museo del Risorgimento, Milano, 1994, pp. 64-68

[31] Su questa controversia cfr. Leften S. Stavrianos, op. cit., p. 92 che fa riferimento allo studio di G. I. Brătianu, Politica externă a lui Cuza Vodă şi dezvoltarea ideii de unitate naţională, in “Revista istorică romană”, II, 1932, pp. 136-141, nel quale, osserva Stavrianos, si avanza l’ipotesi che questo testo sia stato un mero progetto e mai un vero e proprio trattato

[32] Scovasso a La Marmora, 12/4/1866, in DDI, s. I, vol. VI, p. 582

[33] Per un quadro sintetico su questi e altri episodi (in una prospettiva romena) si veda Lucia Taftă, Les roumains et la lutte pour la libération nationale des peuples balkaniques, in “Revue des études sud-est européennes”, XV, 4, 1977, pp. 695-706; cfr. il testo dell’accordo tra il governo serbo e gli esuli bulgari pubblicato in Georges Y. Devas, La nouvelle Serbie, Berger-Levrault, Paris, 1918, p. 205

[34] Nicolae Iorga, op. cit., p. 15

[35] Cfr. il testo di questo progetto in Constantin N. Velichi, Les relations roumano-grecques durant la période 1866-1879, in “Revue des études sud-est européennes”, VIII, 3, 1970, pp. 537-538

[36] Ivi, p. 530

[37] Sull’alleanza tra la Serbia e la Grecia, oltre al già citato studio di S. Th. Lascaris, si veda anche Michel Lhéritier, Le traité d’alliance secret entre la Grèce et la Serbie (1867-1868), in “Revue des études napoleoniennes”, XXII-XXIII, sept.-oct. 1924, pp. 133-141

[38] Memoriile regelui Carol I al României, vol. I 1866-1869, a cura di Stelian Neagoe, Editura Machiavelli, Bucureşti, 1994, p. 158

[39] “Il paraît que visite du Prince Michel n’est pas de simple courtoisie”: Susinno al ministro degli Esteri, Bucarest, 14/4/1867, in DDI, s. I, vol. VIII, p. 495

[40] Scovasso a Di Campello, 22/6/1867, in DDI, s. I, vol. IX, p. 15

[41] Susinno a Di Campello, 7/9/1867, ivi, p. 223

[42] Scovasso a Di Campello, 16/9/1867, ivi, p. 256

[43] Susinno a Di Campello, 15/10/1867, ivi, pp. 315-316

[44] Si veda il rapporto di Scovasso in data 22/6/1867 che rende conto della conversazione avuta dal diplomatico italiano con Garašanin e Marinović (presidente del Savet, una sorta di Senato che affiancava il principe e il governo nello svolgimento delle loro funzioni politiche), in merito a questo problema e ad altre questioni, ivi, pp. 14-16

[45] Si veda l’accurata ricostruzione di David Mackenzie, op. cit., pp. 348-370

[46] Cfr. Scovasso a Di Campello, 26/11/1867, in DDI, s. I, vol. IX, pp. 521-522

[47] Per maggiori dettagli si veda N. Ciachir - C. Buşe, Cu privire la tratatul de alianţă româno-sîrb din 1868, in “Revista Arhivelor”, IX, 1, 1966, pp. 189-204, dove (p. 200) è riprodotto il testo del trattato

[48] Memoriile regelui Carol I al României, cit., vol. I, p. 201

[49] Ed. Engelhardt, La confédération balkanique, in “Revue d’histoire diplomatique”, VI, 1892, pp. 36-39: l’autore riferisce (pp. 35-36) di riportare la traduzione da un testo apocrifo giunto in possesso della Porta nel marzo 1868, il quale, probabilmente, rispecchia abbastanza fedelmente l’ipotetico originale

[50] Leften S. Stavrianos, op. cit., p.102 e pp. 286-288 (per la versione inglese del trattato)

[51] E’ di questo parere anche Angelo Tamborra, L’Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (1800-1920), Vallardi, Milano, 1971, p. 207

[52] Leften S. Stavrianos, op. cit., p. 287

[53] E’ questa la tesi sostenuta da Michael Boro Petrovich, op.cit., p. 328

[54] Bertinatti a Menabrea, 23/3/1868, in DDI, s. I, vol. X, p. 224

[55] Maffei a Menabrea, 6/4/1868, ivi, p. 258

[56] Si veda il testo della lettera di Ignat’ev indirizzata al principe di Serbia in N. Ciachir - C. Buşe, Cu privire la tratatul de alianţă româno-sîrb din 1868, cit., p. 203

[57] Si veda il testo del rapporto di Golescu in Poporul român şi lupta de eliberare a popoarelor din Balcani, cit., pp. 396-400

[58] Maffei a Menabrea, 2/5/1868, in DDI, s. I, vol. X, p. 313


Antonio D’Alessandri, Il trattato di alleanza serbo-romeno del 1868. Aspetti e problemi della collaborazione tra Belgrado e Bucarest negli anni Sessanta del secolo XIX, “Quaderni della casa romena di Venezia. Occidente-Oriente. Contatti, influenze, l'image de l'autre”, 2, 2002, a cura di ION BULEI, ŞERBAN MARIN, RUDOLF DINU, pp. 204-220.

На Растку објављено: 2008-07-15
Датум последње измене: 2008-07-15 00:33:01
 

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