Stefano Aloe

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo (Capitolo 1.)

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo . Gli esordi della slavistica italiana nei libri, nelle riviste e nell'epistolario di un pioniere (1865-1913) . Studi slavi e baltici. Dipartimento di linguistica. Università degli Studi di Pisa, N. 1 - 2000 Nuova Serie, Collana di studi e strumenti didattici diretta da Giuseppe Dell'Agata, Pietro U. Dini, Stefano Garzonio, Pisa: Tipografia Editrice Pisana, 2000.

CAPITOLO I

PRIMI RAPPORTI CON I RUSSI

Angelo De Gubernatis nacque a Torino nel 1840. Studente dotato e ambizioso, cominciò giovanissimo a scrivere drammi e poesie, mettendosi in luce negli anni dell'università a tal punto da venire considerato enfant prodige della cultura italiana. Già nel 1857 esordì come critico teatrale; nel 1859 fondò il suo primo giornale, «La letteratura civile», dalla vita effimera. Negli stessi anni venne rappresentato a Torino con discreto successo un suo dramma; la messa in scena era opera del famoso attore Ernesto Rossi, che incoraggiò i primi passi del giovane drammaturgo. A Rossi De Gubernatis resterà legato da lunga amicizia, anche dopo aver messo da parte le proprie velleità d'autore teatrale. [1] Primo laureato dell'Italia unita, con una tesi che attaccava il potere temporale della Chiesa, De Gubernatis si guadagnò l'interesse e la protezione di importanti uomini politici torinesi dell'area liberale, che in quegli anni manteneva un impostazione fortemente anticlericale (era ancora aperta la questione romana). Strette relazioni con i vertici della politica italiana rimasero costanti per tutta la vita di De Gubernatis, e sebbene fossero quasi sempre da lui minimizzate come legami puramente personali, spesso si tradussero in importanti appoggi, che gli consentirono di considerarsi una sorta di ambasciatore della cultura italiana nel mondo (oltre a garantirgli una rapida e brillante carriera universitaria e, nel 1881, il conferimento del titolo comitale da parte del re).

Nel 1861 De Gubernatis fonda un'altra rivista dalla vita breve, «L'Italia letteraria», che confluisce nel 1862 nelle «Veglie letterarie» di Firenze. Un grande salto di qualità nella sua carriera è poi rappresentato dall'anno trascorso a Berlino con una borsa di studio ottenuta nel 1862. De Gubernatis ha così l'occasione di entrare in contatto con il mondo accademico tedesco e, più in generale, con la cultura europea; segue il corso di sanscrito di Albrecht Weber e quello di grammatica comparata di Franz Bopp. Gli studi berlinesi di De Gubernatis furono brillanti e gli valsero la stima dei due illustri professori, in particolare di Weber, con cui i rapporti rimasero anche in seguito abbastanza intensi. Ma Berlino è importante anche perché è là che il giovane De Gubernatis fa per la prima volta conoscenza con dei russi. Fra i suoi colleghi di corso si trovano due futuri noti studiosi, Aleksandr Afanas'evi č Potebnja [2] e Ivan Pavlovi č Minaev: [3]

    Mi ero, intanto, esercitato a leggere il sanscrito con uno studente russo, più avanzato di me, il signor Potebnia, che divenne in breve professore nell'Università di Kharkoff, al quale, in compenso, io faceva leggere la Divina Commedia [...]. Nella classe del Weber, il russo Potebnia si era rivelato primo; io doveva dunque raggiungerlo. Nel secondo semestre, un altro valoroso russo, il Minajeff, che aveva studiato in Russia il sanscrito per qualche anno, mostrava d'essere già andato molto innanzi. [4]

I contatti con Potebnja si interruppero non appena lasciata Berlino; con Minaev De Gubernatis si rivide probabilmente nel 1869, a Mosca. Si conservano infatti due sue lettere a Minaev, in cui gli comunica di essere in Russia e di avere il desiderio di rivedere il collega di corso "après six années de séparation". [5]

Un tipo di contatto con i russi dalle conseguenze ben maggiori, in qualche modo "fatali", Berlino lo offre all'arrivo di centinaia di studenti polacchi e russi, esuli dopo i moti del '63:

    Abitavano, accanto a me, altri studenti, e fra questi, quattro Alsaziani, che divennero presto amici miei; essi poi attrassero nel loro giro molti giovani studenti russi che i moti del 1863 avevano cacciato da Pietroburgo. [6]

Frequentando queste compagnie, l'inquieto De Gubernatis si appassionò agli ideali repubblicani degli amici alsaziani, e poi ancor di più a quell'ondata libertaria proveniente dalla Russia cui Turgenev diede il nome di "nichilismo". Vale la pena di riportare un lungo passo dell'autobiografia:

    In mezzo a questi nostri fremiti antinapoleonici, scoppiarono i torbidi di Varsavia [...]; bisognava allora preparare una federazione slava contro la Russia e perciò studiare la lingua de' nuovi insorti. Dall'Università di Pietroburgo erano già scappati a Berlino forse un centinaio di studenti, tra i quali il Vescovatoff, [7] il principe Mescersky [8] e tanti altri [...]. I Russi versarono poi sopra le nostre teste infiammabili tutta un'onda di fuoco; ci appassionammo subito per i proscritti, alcuni de' quali davano segni di grande vigore. Quando poi lessi il romanzo di Turghénieff I padri e i figli , in quel Bazaroff e ne' suoi compagni mi parve di riconoscere parecchi di que' cari pazzi di Berlino. Alcuni non erano venuti soli; le loro amiche, giovani colte e intelligenti, che amavano la vita libera, li avevano seguiti; si rispettavano più le amiche che le mogli; anzi, vere e proprie mogli tra loro non si vedevano; erano compagne di studio eroiche, disposte a sacrificarsi per il giovine di cui seguivano le idee e di cui amavano il carattere [...]. Per la prima volta, allora, io sentii pronunciare la parola "nichilismo"; que' giovani Russi odiavano e spregiavano ogni potere costituito, ogni autorità, e tutte le false convenienze sociali; ammettevano ogni maniera di libertà; e pure, nelle loro relazioni sessuali, mantenevano una certa decenza; la donna non volea più essere nè compatita nè adorata; essa entrava con l'uomo in società; metteva un contributo di energie sue proprie accanto a quelle dell'uomo; l'uomo e la donna si amavano, senza dirselo, senza dimostrarselo, con una devozione reciproca e spontanea; questa devozione poteva andare fino all'estremo sacrificio; ma l'amore dovea risparmiarsi ogni tenerezza dimostrativa. Vi era in quegli amori liberi de' giovani e delle giovani russe qualche cosa di austero. Più che gente innamorata e felice, parevano compagni di sventura legati da un dovere doloroso e procedenti insieme, inesorabilmente, ad una meta inevitabile [...]; l'uno di essi, il principe Mescerski, si pose a danzare innanzi a me il ballo piccolo-russo e il Vescovatoff mi sollevò sopra le sue spalle, portandomi quasi in trionfo simbolico. Allora io ne risi; dopo quasi due anni, in Firenze, io mi dovea trovar davvero sollevato sopra due spalle di gigante, dal terrore dello tzar, da Michele Bakúnin, che mi portò via, insieme con la mia fortuna. [9]

Da questa pagina trapelano due temi cari a De Gubernatis: il nichilismo e l'ammirazione per le donne russe; l'una cosa si intreccerà con l'altra già nel 1865, determinando lo scarto fondamentale nella vita di De Gubernatis. E se, a suo dire, le donne russe fecero la sua fortuna, il nichilismo per poco non gli rovinò la carriera.

La descrizione ammirata di questi giovani radicali russi sembra riecheggiare il Che fare? di Černyševskij ; poiché verosimilmente De Gubernatis non lesse il romanzo, si può ben credere che tutto ciò egli lo abbia sperimentato di persona nell'atmosfera particolarissima di quella Berlino studentesca e rivoluzionaria, e che sia lasciato letteralmente "assorbire" da quei rifugiati; sin da questo episodio si delinea la sua attrazione per i russi e la sua indubbia capacità di penetrare intimamente nella vita, nelle questioni e nei dibattiti che agitavano la loro intelligencija . A partire da questo momento, un legame profondo lo vincola ad essa, e Berlino è il terreno di preparazione per la sua conoscenza, ricca di conseguenze, con Bakunin.

Verso la fine del 1863 De Gubernatis rientra in Italia, chiamato ad occupare la cattedra di lingue ariane al Regio Istituto di Studi Superiori di Firenze in qualità di professore straordinario. Il posto è di prestigio, soprattutto considerata la giovane età del prescelto. A Firenze egli ha la possibilità di frequentare alcuni salotti "democratici": quello di Francesco Dall'Ongaro e quello dell'ungherese Ferenc Pulszky; ma gli ardori rivoluzionari accesisi in lui a Berlino non sembrarono trovare sufficiente risposta fino alla sera del 31 gennaio del 1865, quando in casa Pulszky De Gubernatis rimase fulminato dall'eloquenza e dal fascino di Michail Bakunin:

    Entrando quella sera in casa Pulszky, vidi, in un salotto, dieci o dodici persone attente, sospese alla parola di un grigio personaggio da leggenda; una figura tra quella di Gambrinus e quella di Falstaff; una specie di orco gigantesco, innanzi al quale Francesco Pulszky avea fatto portare una enorme coppa di thé, visto che le piccole tazze egli le vuotava, l'una dopo l'altra, in un sorso [...]. Egli era un bel parlatore; avea fatto i suoi studi nelle Università tedesche; conosceva profondamente le dottrine di Hegel e di Schelling, di Fichte e di Schopenhauer; e ne discorreva con una facilità, abbondanza e sicurezza meravigliose, come chi sa bene le cose e le può giudicare dall'alto. Aveva piccoli occhi di scoiattolo, ma essi guardavano in modo penetrante; la parola gli spumeggiava infuocata sulle labbra, ora soave, ora tonante, facilmente concitata ed impetuosa. Attratto dal fascino di quella testa leonina, da quella dottrina così larga e che abbracciava tanto mondo, io mi fermai diritto in piedi, a capo della tavola, in faccia a lui, che, da quel punto, mi fissò come il basilisco, e non mi lasciò più. [10]

Per tutto il resto della vita, De Gubernatis sentì come il dovere di giustificarsi, sottolineando l'ingenuità e l'idealismo con cui partecipò alla società segreta del celebre anarchico e considerandola un errore di gioventù, un'infatuazione presto superata, dando ad ogni pié sospinto plateali dimostrazioni della propria moderazione e avversando duramente ogni forma di radicalismo; [11] contro il nichilismo scrisse assai spesso, tanto negli articoli che nelle lettere personali, e sulla sua conoscenza con Bakunin ha lasciato pagine molto interessanti, ma non del tutto attendibili, nella propria autobiografia: il tono di quest'ultima è palpabilmente tendenzioso e, in mancanza di riscontro da altre fonti, certi particolari non sono verificabili. [12] Unica fonte alternativa alla versione di De Gubernatis si trova nelle lettere di Bakunin stesso; quelle indirizzate al giovane "confratello" torinese si trovano alla BNF e sono state pubblicate da E.Conti. [13] Secondo Marzaduri, "il rivoluzionario russo non aveva mai preso troppo sul serio questo giovanotto vanitoso e inquieto", [14] mentre da Fibra la situazione apparirebbe ben diversa:

    E, per una quindicina di giorni, l'Olimpo rivoluzionario mi concesse i supremi onori. Michele Bakúnin mi rappresentava ai fratelli come il più grande tra i cittadini italiani, quasi uomo predestinato; egli collocò pertanto, imitato da altri fratelli, nel suo albo, il mio ritratto tra quelli di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi. [15]

Il quadro fornito da De Gubernatis induce a credere che egli esageri alquanto il proprio ruolo, oppure, se è tutto vero, che Bakunin lo abbia abilmente adulato facendo presa sulla sua vanità e sulla foga irriflessiva che lo contraddistingueva. Di fatto, l'appartenenza di De Gubernatis alla "Società" fu per lo meno di durata assai breve (e breve fu la vita della "Società" stessa); in così poco tempo è difficile che gli venissero effettivamente assegnati compiti rilevanti. Tutto avvenne in maniera fulminea: circuìto da Bakunin nel salotto di Pulszky, dopo qualche giorno De Gubernatis aderì alla "Società" e programmò una serie di iniziative personali, fra le quali un corso popolare gratuito di storia fiorentina e, la più clamorosa, le dimissioni dalla cattedra di lingue ariane, pubblicate solennemente sul numero del 12 febbraio 1865 della «Civiltà italiana», il settimanale che egli stesso aveva fondato nel gennaio dello stesso anno.

Tanta pubblicità non doveva rientrare nei piani di Bakunin, che aveva organizzato la propria società come segreta e aveva appena trovato degli agganci con la massoneria locale. D'altra parte, ben presto l'ambiente fiorentino si rivelò poco propizio per il rivoluzionario russo che se ne andò in tutta fretta a Napoli, città che gli sarebbe stata suggerita proprio da De Gubernatis come luogo ideale per la propaganda delle sue idee. [16] Stando invece alla versione di Fibra , dopo un infocato discorso di De Gubernatis ai "confratelli", che egli accusava di essere nient'altro che degli avidi di potere e dei parassiti, dei disgregatori incapaci di costruire alcunché di positivo, «la Società del Bakúnin, come per incanto, si sciolse». [17]

Ma non è chiaro quando e in che modo De Gubernatis si sia allontanato da Bakunin; evidentemente ciò è avvenuto per gradi, per quanto rapidamente, e ad ispirare il cambiamento deve aver contribuito la conoscenza di alcuni familiari di Bakunin, gente di idee radicalmente diverse da quelle del fondatore dell'anarchismo. Ma su questa conoscenza tornerò fra breve. Rimane il fatto che, dopo un paio di mesi di attività sovversive di portata piuttosto modesta, la "Società" si scioglie, Bakunin va a Napoli e si esaurisce di fatto il periodo "rivoluzionario" della vita di De Gubernatis. In Fibra è riportata una curiosa descrizione della vita quotidiana di Bakunin e dei suoi seguaci a Firenze:

    Vi erano, tra noi, profughi russi e polacchi, senza risorse; si dicevano tutti compromessi in Russia ed in Polonia, dove non avrebbero potuto rientrare; erano tutti dei piccoli Bazaroff, che si stringevano intorno a Bakúnin, quasi pigmei intorno ad un gigante. La casa di Bakúnin, in via de' Pucci, era aperta a tutti; alla sua tavola mangiava chi voleva; così egli si sedeva, non invitato, alla tavola degli altri [...]. Nelle idee comunistiche di Michele Bakúnin non entrava nè il mio, nè il tuo; e questa teoria si estendeva dalle cose fino alle donne. [18]

Per descrivere Bakunin, De Gubernatis ricorre a Turgenev: da giovane Bakunin è rappresentato dal romanziere nel personaggio di Rudin («un giovane elegante, alto, dai lineamenti irregolari, ma dall'occhio azzurro espressivo, intelligente; egli parla bene, e fa pompa della sua eloquenza; ma i suoi fatti non s'accordano quasi mai con le parole...»). [19] Il Bakunin maturo è invece modello di Bazarov e "prototipo reale del nichilista russo". [20] Da notare che in questo modo Bazarov viene relegato a un ruolo completamente negativo, viziato dal suo modello reale, che a sua volta viene messo nella peggiore luce: sperperatore di patrimoni, immorale, impenitente ingannatore, per poi finire la propria vita come un borghese qualsiasi, in un villino della Svizzera. [21] Delle idee di Bakunin De Gubernatis tutto sommato non parla, troppo preso dalla figura esteriore, la cui descrizione è comunque curiosa e interessante.

Durante il soggiorno napoletano di Bakunin, i due rimasero in corrispondenza e si incontrarono alla fine di maggio, in occasione delle nozze di De Gubernatis con sua cugina Sof'ja Bezobrazova, su cui ritornerò fra poco. Ma tanto l'ex pupillo italiano, quanto i cugini e fratelli di Bakunin, radunati a Firenze tra il 1865 e il 1866, dovettero vedere con sollievo il suo allontanamento, soprattutto a causa di una brutta caratteristica che contraddistingueva il grande anarchico, quella di esigere ad ogni pié sospinto aiuti economici dalla famiglia. E che la famiglia, ora coalizzata con il giovane "Angelo" da poco adottato, desiderasse un po' di riposo dalle peripezie di Bakunin, lo si percepisce chiaramente da una lettera che questi scrisse da Napoli a De Gubernatis nel febbraio 1866, a distanza cioè di un anno dalle vicende della "Società segreta" di Firenze: indirizzandosi all'intera famiglia, Bakunin lanciava così il suo rimprovero sarcastico: "Chers amis et cousins — j'espère que Vous m'avez conservé le droit de Vous donner ces noms, malgré l'habitude du silence qui s'est établie entre nous...". [22] Ma il silenzio era ormai fitto, e la presenza latente di Bakunin sempre più imbarazzante per De Gubernatis e famiglia. I loro rapporti si troncarono definitivamente in una maniera abbastanza curiosa: De Gubernatis venne a sapere che la polizia progettava una perquisizione in casa di Bakunin (sospettato di stampare denaro falso) e rese un grande servizio all'ex-fratello, avvertendolo per tempo; Bakunin riuscì a fuggire da Napoli e riparò in Svizzera. Scrive De Gubernatis che "credetti mio dovere di avvertirlo perché si salvasse con la fuga; ma, nel tempo stesso, lo redarguii fieramente per quel nuovo delitto." [23] Dalla Svizzera, Bakunin ringraziò, ma rispose beffardamente al tono moralistico della lettera di De Gubernatis. In questo modo si interruppero definitivamente le loro relazioni.

Attraverso Michail Bakunin, De Gubernatis era venuto dunque a conoscere, all'inizio del 1865 diversi membri delle famiglie imparentate dei Bakuniny e dei Bezobrazovy:

    Verso il fine di febbraio, era arrivato a Firenze un vero e proprio fratello autentico di Michele Bakúnin, con la sua signora.

    I Bakúnin erano, come i Besobrásoff, nobili antichi proprietarii del distretto di Tarzok, nel governo di Twer; una grande famiglia patriarcale che abitava la sua terra di Premúhine. [24]

Alcuni di loro erano venuti a trovare il turbolento parente a Firenze proprio nel momento in cui più intimi si erano fatti i suoi legami con De Gubernatis. Arrivarono il fratello Pavel Bakunin ("un filosofo originale, investigatore minuto e profondo") [25] con la moglie Natal'ja Korsakova, sorella del governatore di Siberia; la cugina Sof'ja Pavlovna Bezobrazova con la madre Elizaveta Pavlovna Poltorackaja, che

    nella sua gioventù aveva conosciuto, nella casa di suo zio Alénine, tutti i più illustri poeti e letterati e tutte le teste calde del tempo, da Pushkin a Gogol; e il celebre favolista Kriloff le avea fatto dono delle sue favole, e trascrittane una nel suo albo di ragazza. [26]

Presentato da Bakunin, De Gubernatis veniva a contatto con alcuni tipici rappresentanti della nobiltà e dell' intelligencija russa, e ne rimase visibilmente affascinato. In quanto a Pavel e Natal'ja Bakuniny, presero in simpatia il giovane italiano al punto da volerlo presentare alla cugina Sof'ja con lo scopo di maritarla! De Gubernatis spiega la cosa col fatto che Sof'ja era, tra le cugine, l'unica rimasta nubile ed era ormai non più giovanissima ("alquanto più anziana di me"). [27] Inoltre, i Bakuniny-Bezobrazovy erano grandi amanti dell'Italia; tra l'altro, una A. (Anna o Aleksandra) Bésobrasoff era autrice della seconda traduzione italiana dell' Onegin di Puškin (Nizza, 1858): [28]

    Avevano tutti per l'Italia un affetto entusiastico: uno de' fratelli, Alessandro, [29] era stato con Garibaldi ad Aspromonte; il fratello Alessio e le loro cugine Tatiana Lwoff e Sofia Besobrásoff, dopo avere visitata l'Italia, ne parlavano con amore come di un paese d'incanto; la sorella di Sofia Besobrásoff s'era sposata con un gentiluomo siciliano e stava allora a Firenze. [30] Sofia Besobrásoff era venuta a Firenze a passare l'inverno con la sua vecchia e rispettabile madre. Essa amava e coltivava la musica e la pittura; aveva avuto ottimi maestri a Pietroburgo per la musica classica: a Napoli, ebbe la fortuna di prendere alcune lezioni da Filippo Palizzi, e continuava in Firenze a disegnare sotto la direzione del pittore Triunfi. [31]

L'idea del matrimonio, apertamente proposto dai coniugi Bakuniny e caldeggiato da Michail, trovò disponibile De Gubernatis, che vide in Sof'ja Bezobrazova tutte quelle caratteristiche tipiche della donna russa (della nobiltà) del tempo: una vasta cultura, la passione per le arti, la capacità di discutere da pari con gli uomini su qualsiasi argomento, letterario, scientifico o politico che fosse. Insomma, il tipo di donna che popola i romanzi di Turgenev e Gončarov . Sof'ja Pavlovna era nata a Kiev nel 1834, aveva ricevuto un'educazione estremamente raffinata ed in particolare aveva sviluppato una forte propensione per le arti: oltre a dipingere, suonava egregiamente il pianoforte, amava e interpretava la musica di Chopin e quella di Liszt, ma anche quella di un pianista e compositore polacco oggi dimenticato, W ładysław Tarnowski, grande amico di De Gubernatis. Come vedremo, si cimentò in diverse occasione nella traduzione letteraria, volgendo in italiano opere dal russo e dall'ucraino. Indubbiamente, Sof'ja Pavlovna contribuì in maniera determinante ad arricchire le conoscenze del marito sulla cultura russa, nonché le sue letture.

Sulla donna russa, di cui Sof'ja Bezobrazova era il prototipo più vicino, De Gubernatis scrisse con rispetto e ammirazione in più occasioni, e in particolare le dedicò un bell'articolo sulla «Nuova Antologia» nel 1878. [32] Oltre a Sof'ja Pavolovna, diverse altre donne russe guadagnarono l'amicizia e l'intimità di De Gubernatis, il quale si rivelò a sua volta capace di instaurare con loro rapporti molto aperti e confidenziali, di accettarle come interlocutrici paritarie a tutti i livelli, senza pregiudizi, e seppe anche accogliere con ardore certe idee del femminismo di allora, come la rivendicazione del diritto della donna ad una formazione culturale pari a quella maschile: tutte cose per niente pacifiche in quegli anni, specie in Italia. Furono donne, come si mostrerà in seguito, le principali collaboratrici nell'opera di divulgazione della cultura russa intrapresa da De Gubernatis: queste donne gli furono consigliere, traduttrici, informatrici, saggiste, intermediarie e ispiratrici. Naturalmente, la prima e la principale fu Sof'ja Bezobrazova, con la quale egli trovò una profonda affinità. Così, si giunse rapidamente al matrimonio, preparato in un'atmosfera di tristezza e preoccupazione per il futuro assai incerto che si apriva dopo la rovinosa parentesi bakuniniana. Le stesse nozze comportarono qualche difficoltà di ordine religioso-burocratico: i fidanzati optarono per sposarsi in seno alla chiesa ortodossa e dovettero aspettare il nulla-osta degli organi ecclesiastici russi. [33] Infine, ogni difficoltà viene superata:

    Il 28 maggio si celebravano le nostre nozze nella cappella russa ch'era allora a Napoli, col rito slavo-greco. La cerimonia stessa mi destò un vivo interesse, poiché stavo già allora raccogliendo materiali di folk-lore indo-europeo, specialmente per gli usi nuziali. [34]

Che De Gubernatis, che allora si professava non credente, si sia sposato con il rito ortodosso, non rivestirebbe di per se' grande importanza; possiamo però leggerlo come un atto simbolico del suo ingresso a pieno diritto nella cultura russa, non in qualità di osservatore occasionale ed esterno, ma come persona legata indissolubilmente ad essa. Affascinato dalle cose russe, De Gubernatis diede l'avvio alla sua opera di diffusione e popolarizzazione di una cultura ancora in buona misura sconosciuta in Italia e poco popolare anche nella vicina Francia, dove un simile lavoro di divulgazione era iniziato con difficoltà negli anni '40, portato avanti dalla «Revue des deux mondes», ma osteggiato da pregiudizi di natura politica. [35] Prima del termine degli anni '60, De Gubernatis si rende autore di una serie di primati: primo in Italia pubblica notizie su Gogol', Turgenev, Lev Tolstoj, Dostoevskij e altri scrittori russi. Essendosi momentaneamente rovinato la carriera universitaria con il suo inutile e goffo "gesto eroico" (le dimissioni da professore di lingue ariane), egli si dedicò quasi per intero al giornalismo, aiutato intellettualmente e finanziariamente dalla moglie, con i soldi della quale ancora nel 1865 aveva acquistato una tipografia a Firenze. L'attività della «Civiltà italiana», fondata il primo gennaio del '65, venne trasferita nella nuova tipografia, che però in breve tempo si rivelò un fallimento. Già nel 1866 De Gubernatis fu dapprima costretto a cedere il suo giornale, che si fuse con una nuova rivista, «L'Ateneo», e poi dovette vendere la stessa tipografia, con una perdita consistente di denaro. Ma durante il periodo di pubblicazione della «Civiltà italiana» comparvero i suoi primi interessanti contributi alla divulgazione della cultura russa. Innanzi tutto, apparve la prima, brillante traduzione dal russo di Sof'ja De Gubernatis, quella del Demon di Lermontov. [36] La traduzione è in prosa, scelta assai caldeggiata da De Gubernatis, in quanto meglio del verso italiano, era una prosa "poetica" la soluzione più efficace per riflettere la "spontaneità" del verso russo. Questo problema era avvertito nitidamente da Sof'ja ed Angelo De Gubernatis, che anche in altre occasioni avrebbero compiuto la stessa scelta. Nella prefazione ad una miscellanea di poesie russe tradotte da Domenico Ciampoli e Eugène Wenceslas Foulques nel 1881, De Gubernatis scrive che la lingua poetica italiana "è per ”vaghezza d'ornamenti“ molto lontana dalla semplicità e sincerità che sono le qualità essenziali dei poeti russi". [37]

Il punto di vista di De Gubernatis sulla traduzione poetica era emerso già nel 1866, sulle pagine del «Politecnico»: [38] prendendo spunto dall'analisi di una nuova traduzione in versi delle poesie di Heine, era giunto alla conclusione che le traduzioni in prosa sono più fedeli all'originale e che, "come il numero e l'accento poetico non costituiscono il poeta, così, senza di essi, un vero poeta può venire tradotto d'una in altra favella". [39] Gli unici poeti a rimetterci nel caso della traduzione in prosa sono "quegli artifiziali misuratori di stanze, di strofe, di sonetti [...], tutti que' belatori di versi classici [...], tutta quella razza d'inetti frascheggianti immortali che invade le scolastiche nostre antologie [...]. Vogliamo sembrare Romani e non ci accorgiamo di riuscire le caricature imbellettate de' padri nostri". [40] De Gubernatis spera in una giovane generazione di poeti capaci di ridare vita alla lingua, mentre,

    trattandosi di voltare in italiano un poeta straniero, il quale, in ordinate strofe, ha già proporzionato acconciamente l'opera sua, la metrica non solo non è più necessaria, ma, opponendo al traduttore nuove difficoltà, le quali non sono le medesime sopra le quali trionfò l'autore, nell'impeto creativo, rende impossibile, anco nello sciolto, ogni esatta corrispondenza fra il testo e la versione. [41]

De Gubernatis confida nella ricchezza della lingua italiana, che permette una prosa molto melodica. È evidente che dietro queste idee c'è una buona conoscenza della poesia europea e delle lingue: De Gubernatis, discreto poliglotta e fornito di una cultura molto ampia, era in grado di comprendere il grande effetto prodotto dal romanticismo su quasi tutte le lingue letterarie europee, cioè la loro aderenza alle lingue popolari nazionali; questo mancava quasi del tutto nella letteratura italiana. Anche se non conosceva ancora il russo, la frequentazione dei russi e soprattutto l'influsso della moglie gli erano sufficienti per avere un'idea abbastanza precisa anche della poesia russa. È superfluo aggiungere che la tesi sostenuta nell'articolo citato era del tutto coerente con la traduzione del Demon di Lermontov apparsa l'anno precedente. In altre occasioni, De Gubernatis si cimentò anche in traduzioni in versi, ma sempre privilegiò la resa precisa dell'originale, senza ricercatezze superflue e senza l'autocompiacimento di molti traduttori suoi contemporanei. Un altro segno, in negativo, del suo interesse di quegli anni per la traduzione poetica è la rovente polemica con Vittorio Imbriani sulle pagine della «Rivista bolognese»; [42] Imbriani vi attaccò De Gubernatis per una sua a quanto pare poco felice traduzione da Goethe, pubblicata nel 1868 sulla medesima rivista.

Quella del Demon è la seconda traduzione italiana da Lermontov, del quale si era già parlato in precedenza alcune volte (per esempio nell'articolo di Tenca sul «Crepuscolo»). [43] De Gubernatis, che accompagnò alla traduzione "un breve proemio sulla poesia del dolore e sul poeta", [44] ritornerà in più occasioni su Lermontov, mostrando di conoscerlo e amarlo anche più dello stesso Puškin , che invece fu dal lui abbastanza trascurato, forse perché già assai più noto. Tornando alla traduzione, Sof'ja De Gubernatis conosceva perfettamente l'italiano e anche se è possibile che il marito le correggesse il lavoro, il merito va attribuito per intero a lei. Sof'ja padroneggiava anche il francese, quel francese degli aristocratici russi che De Gubernatis descriveva così:

    Le parole sono scelte, ma ritornano con molta frequenza, e dànno perciò, ne' nostri giorni, un colore speciale e sui generis al francese parlato dai Russi, presso i quali sono divenute espressioni ovvie certe maniere eleganti, le quali un odierno scrittore parigino si lambiccherebbe forse il cervello per ritrovare. [45]

Oltre alla traduzione del Demon , apparve sulla «Civiltà italiana» un altro importante contributo russo: il primo articolo italiano di Aleksandr Nikolaevi č Veselovskij, La Griselda del Boccaccio e la novella russa . [46] Veselovskij viveva in quel periodo a Firenze, dove nel 1865 conobbe De Gubernatis. Fra i due sorse un'amicizia abbastanza intensa, dovuta al comune interesse per gli studi mitologici (erano all'epoca entrambi seguaci della mitologia comparatistica di Max Müller) e per il folklore. De Gubernatis aiutò Veselovskij nelle sue ricerche in Italia e lo ospitò più volte in casa propria. Quando però Veselovskij assunse un atteggiamento critico verso la teoria di Müller, l'amicizia si guastò violentemente (sul caso della loro rottura tornerò più avanti).

Si conservano soltanto poche lettere della corrispondenza di Veselovskij e De Gubernatis, ed essendo di contenuto personale, non dicono molto sulle loro convergenze e divergenze intellettuali. In una lettera da Pietroburgo, senza data ma probabilmente del 1871, Veselovskij raccomanda la signora Pypina, "moglie di uno tra i principali collaboratori della Rivista Europea, e perciò confratello nostro". [47] In un'altra lettera, scritta da Genova, Pegli, il 15 agosto [1872], si trova un'informazione più interessante: "Sono curioso di sapere se la vostra mitologia sia già uscita? Vorrei darne un rendiconto in qualche periodico russo, sia nel Viestnik". [48] Veselovskij si riferisce alla Zoological Mythology , il monumentale lavoro di mitologia comparata sul quale De Gubernatis aveva riposto tutte le proprie speranze di studioso; proprio il "rendiconto" a cui Veselovskij allude, che fu effettivamente pubblicato sul «Vestnik Evropy» nel 1873, provocherà la rottura della loro amicizia. [49] Poiché la questione s'intreccia con le vicende della collaborazione di De Gubernatis al «Vestnik Evropy», ne tratterò nel prossimo capitolo, dedicato a tale collaborazione. Altre due lettere, scritte da De Gubernatis a Veselovskij e conservate a Pietroburgo [50] sono ancora più povere di notizie. La seconda, datata 1888, è una richiesta piuttosto "neutrale" di mandare i titoli delle proprie pubblicazioni per il Dictionnaire des écrivains du jour , una delle opere enciclopediche di De Gubernatis.

La «Civiltà italiana» ospitò fra i suoi collaboratori diversi nomi illustri, come Giosué Carducci, Graziadio Ascoli, Francesco Dall'Ongaro ed Emilio Teza, gli ultimi tre buoni conoscitori di temi slavi (in particolare nell'ambito della linguistica); vi collaborò anche il poeta e scultore polacco Teofil Lenartowicz (1822-1893), noto alla slavistica italiana per aver tenuto a Bologna nel 1879-80 un corso di letterature slave, uno dei primi in Italia, la cui impostazione era però marcatamente nazionalistica, cosicché la letteratura russa ne risultava molto sminuita (ovviamente, il ruolo principale fra le letterature slave era assegnato a quella polacca). [51] Lenartowicz, che viveva a Firenze e godeva in Italia di una discreta fama di poeta, [52] era in stretto contatto con De Gubernatis; fra le altre cose, lo testimoniano le sue 11 lettere conservate alla BNF. [53] Negli anni '70 Lenartowicz era ospite frequente del salotto dei De Gubernatis, al quale di solito facevano visita tutti i russi e i polacchi di passaggio da Firenze. Spesso collaborò ai giornali di De Gubernatis e lo aiutò per la sezione polacca del Dizionario biografico degli scrittori contemporanei . In una delle sue lettere, Lenartowicz ringrazia De Gubernatis per avergli prestato un tomo di Prestuplenie i nakazanie , "pregandolo caldamente di prestarmi un altro volume di quel romanzo interessante". [54] In un'altra lettera, pure senza data, Lenartowicz scrive nel suo italiano ancora incerto:

    la mando gli parecchie stampi d'un poema di Mickiewicz illustrato da un bravo artista polacco. Quel poema è una descrizione d'una delle guerre degli antichi Lituani contro la razza Teutonica di Cavalieri di Malta...Il nostro poeta vi fece, il più conosciuto e lodato per quest'opera. [55]

Conclusa l'esperienza della «Civiltà italiana», De Gubernatis viene a trovarsi in serie difficoltà economiche, aggravate dall'autoesclusione dalla cattedra al Regio Istituto di Studi Superiori e rese assai pesanti dal fallimento della tipografia, nella quale erano state investite tutte le risorse della moglie Sof'ja. Si tratta quindi di un periodo di grandi incertezze, a cui il giovane studioso cerca di far fronte con un'alacre attività pubblicistica e con un delicato retro-front sul terreno politico che ottiene ben presto il risultato sperato: il ministro della Pubblica Istruzione, Michele Coppino, già professore di De Gubernatis all'università di Torino, "perdona" il suo allievo prediletto e alla fine del 1865, con l'apertura del nuovo anno accademico, gli concede la possibilità di tenere un corso libero di sanscrito nello stesso istituto che egli aveva abbandonato in febbraio. A questo punto, le difficoltà sono almeno in parte compensate dalla ripresa dell'attività accademica e dalla riammissione nella comunità scientifica. Il 1866 è un anno di collaborazioni a varie riviste, fra cui «Il Borghini», «La perseveranza» e «Il politecnico».

Particolarmente interessante la serie di articoli pubblicati su quest'ultimo: De Gubernatis vi si occupa di letterature straniere; oltre al già ricordato articolo sulla traduzione poetica, appare nell'arco di cinque numeri un saggio dal titolo Il romanzo contemporaneo , diviso in 9 parti, in ciascuna delle quali viene analizzato un romanzo straniero. Di queste 9 parti, ben due sono dedicate a romanzi russi, ovvero a Mertvye duši e ad Otcy i deti . [56] Si tratta dei primi articoli apparsi in Italia dedicati a Gogol' e Turgenev, il primo conosciuto in Francia solo grazie a Mallarmé, il secondo invece già relativamente popolare in tutta Europa.

Nell'articolo sulle Anime morte , De Gubernatis si mostra ben documentato e dettagliatamente a conoscenza del libro. Visto che non era ancora in grado di leggere in russo (lingua che comincerà ad apprendere nell'estate del 1869) è verosimile che avesse a disposizione una delle due traduzioni francesi apparse fino a quel momento (quella di Eugène Moreau per l'editore Harvard, del 1858, e quella di Ernest Charrière pubblicata nel 1859 da Hachette; la prima traduzione italiana risale invece al 1883); altrimenti, si può ipotizzare che il contenuto del libro gli fosse stato riassunto dalla moglie. Non è nemmeno da escludere che la paternità dell'articolo vada a qualche russo della cerchia familiare, ipotesi perfettamente plausibile soprattutto se si considera il difficile momento dei De Gubernatis e la necessità di far fronte ai debiti. È infine possibile, anzi è sommamente probabile, che De Gubernatis si fosse limitato a raccogliere notizie indirette, facendo proprie le conclusioni di altri. Comunque, l'articolo presenta un ritratto molto interessante e dettagliato di Gogol', a partire dal famoso aneddoto sulla malinconia di Puškin alla lettura delle Anime morte . Paragonata la comicità di Gogol' a quella di Aristofane, Rabelais, Cervantes, Jean Paul e Sterne, si sottolinea come il libro diede scandalo in Russia, paese non abituato alla satira:

    Mentre Pushkin e Lermontof cantavano le belle antiche e i prodi cavalieri [...]; mentre i pittori russi cadevano in ginocchio ai piedi della Madonna di Raffaello [...]; mentre l'imperator Niccolò prometteva di riformare la sua tirannide [...], un piccolo, un giovine, un povero impiegato, un autorello drammatico fischiato, un oscuro appendicista, covava nella sua anima melancolica, il più tremendo assalto alla fatua grandezza della sua patria, e con un riso sgangherato innanzi alla sua maestà si proponeva di farla ridicola a se' stessa. [57]

Al di là della bizzarra definizione di Puškin e Lermontov e della dubbia notizia sulla volontà riformatrice di Nicola I, il passo sembra echeggiare opinioni diffuse in Russia su Gogol' e sulla sua opera. De Gubernatis fa propria l'interpretazione sociale delle Anime morte quando scrive che Gogol', amante dell'Europa, disprezza i russi in quanto popolo senza storia e ne deride «la società di tiranni imbecilli, di servi astuti e vili, e di industri approfittatori fra tiranni e schiavi». [58] Sembra quasi rifarsi alle opinioni negative sul Gogol' dei Passi scelti dalla corrispondenza con gli amici quando scrive con biasimo che

    poco immaginoso e però poco atto ad inventare tipi eccezionali, si attaccò spietatamente al volgo, ne levò una ventina di figure, come se fossero maschere, e costringendole a ridicole smorfie [...], le rese di una tremenda evidenza, e sopra la loro nuova effigie interpretò tutta la Russia. [59]

In ogni caso, Gogol' è il più "ardito" fra i romanzieri realisti contemporanei, anche se "è lecito domandarsi se il suo reale sia sempre vero", viste le sue frequenti inverosimiglianze. [60] Infatti, il lettore crede nel realismo dei caratteri perché sono «verissimi i gesti, le pose, gli accenti particolari de' personaggi; simile al fotografo, Gogol coglie dell'individuo il momento, e di rado rivela l'anima sua interiore». [61] De Gubernatis esprime dunque dei legittimi dubbi sul realismo gogoliano e conclude l'articolo osservando che «quanto più immoderato è il riso al quale egli espone una smorfia indecente, tanto più il cuore gli sanguina», [62] così come è ambiguo il suo rapporto con Čič ikov, che sarebbe insopportabile al suo autore.

Anche sulla conoscenza diretta di Padri e figli da parte di De Gubernatis sono leciti dei dubbi, ma l'articolo è senza dubbio opera sua, vista la maniera con cui l'accento va a cadere più sul nichilismo che sul romanzo e sull'autore. Più che altro si tratta di una sorta di sfogo di De Gubernatis contro le idee da poco abbandonate ed ora aborrite, e comincia con una sorprendente condanna di Pietro il Grande e dell'europeizzazione della cultura russa:

    Dopo aver giurato sopra il Vangelo la giovine Russia imparò a giurare sopra Hegel; ma Hegel è morto e trionfa, in sua vece, nel mondo germanico, Luigi Büchner [...]. Pietro il Grande, volendo far civile la sua Russia, non fece che imbastardirla. Meglio se restava selvaggia, con le sue virtù native [...]; alla rivoluzione sociale che oggi si compie sopra l'immenso suo suolo ci sarebbe arrivata per se' sola, senza bisogno degli enciclopedisti, e dei comunisti francesi. [63]

In un certo modo, la colpa di Pietro il Grande è quella di avere originato Bakunin! Fra le conseguenze dello "stranierismo", secondo De Gubernatis, "i poeti russi imitavano Byron e morivano di morte violenta...", [64] con evidente riferimento a Puškin e Lermontov. De Gubernatis saluta quindi l'inversione di tendenza, lo sviluppo di una cultura nazionale russa e anti-europea, e cita il pittore Ivanov, creatore di una scuola "anti-classicista e anti-manierista". [65] In letteratura, uno degli artefici dell'emancipazione è Turgenev. Turgenev non è nato romanziere, ma bozzettista: non riesce a seguire una trama, trasportato dall'ispirazione a comporre tanti piccoli quadri. Per il De Gubernatis del 1866, Turgenev è soltanto uno scrittore "elegantissimo, ingegnoso e delicatamente passionato". [66] L'interesse del critico va alla figura di Bazarov, personaggio del tutto negativo: parassita, scettico e ipocrita. Evidentemente, De Gubernatis lo identificava già con Bakunin. In questo suo primo saggio turgeneviano, egli ancora non tiene in considerazione il tardivo mutamento di Bazarov, come invece farà più a freddo in altre occasioni. [67] Anche l'opinione globale su Turgenev è meno approfondita che nei successivi lavori, in cui mostrerà di apprezzare molto di più l'arte del romanziere russo.

L'elemento più interessante di questo articolo risiede nell'atteggiamento in qualche misura slavofilo del giovane studioso. In questi anni la sua visione della Russia appare ancora in formazione. Più avanti vedremo come il suo atteggiamento verso lo slavofilismo rimarrà sempre un po' ambiguo, e come a momenti egli darà l'impressione di simpatizzare per le tesi del panslavismo. Inoltre, fra il 1868 e il 1869 De Gubernatis si proponeva di scrivere un libro sulla Russia. L'unica notizia relativa a questo proposito è in una delle prime lettere indirizzategli dalla cognata Elizaveta Dmitrievna Bezobrazova, datata 5/17 settembre 1869. Scrive la Bezobrazova:

    Je crois que vous avez raison d'avoir renoncé à votre livre sur la Russie, si vous tenez à ce qu'on en dirait ici; si Sophie n'était pas Russe, vous seriez plus livre, mais vous déclarer ouvertement contre la patrie de votre femme, l'accabler comme vous le dites, de votre ironie si perçant à chaque ligne, ce serait peut-être vous montrer moins généreux et moins délicat que vous ne l'êtes réellement. [68]

C'è da credere che a convincerlo ad abbandonare il progetto sia stata proprio la Bezobrazova, che De Gubernatis aveva conosciuto a Firenze nel 1868; questa donna esercitò sempre la massima influenza su di lui. Il libro avrebbe dovuto essere, a quanto pare, un pamphlet contro la Russia, ovvero contro il suo ordinamento politico e sociale. Nella visione di De Gubernatis, la causa principale della nascita in Russia dell'odiato nichilismo era la stessa autocrazia. In una sua "Rassegna delle letterature straniere" pubblicata nel 1881 sulla «Nuova Antologia», nel difendere l'amico Mychajlo Drahomanov, rivoluzionario ucraino, dall'accusa di appoggiare gli attentati, egli scriveva che «gli assassini il governo russo se li è preparati ed educati con le sue continue vessazioni e persecuzioni». [69]

De Gubernatis rinunciò dunque al suo pamphlet , ma proprio nel settembre del 1869, di ritorno dalla Russia, scrisse per la «Rivista contemporanea» delle succinte riflessioni di viaggio che sintetizzavano quella stessa visione negativa della Russia. [70]

Lo scritto consiste in un confronto fra Italia e Russia, a tutto vantaggio della prima; De Gubernatis risente ancora dei pregiudizi tipici in Italia sul paese degli zar, dipingendolo a tinte esageratamente fosche attraverso immagini che erano luoghi comuni della pubblicistica dell'epoca e che il lettore europeo era abituato a riconoscere (prima fra tutte quella della Russia come gigante dall'incedere lento e minaccioso). Solo poco tempo più tardi egli comincerà a leggere più lucidamente e con maggiore senso critico la complessità storica e culturale della Russia, a distinguerne gli aspetti positivi e negativi e ad enfatizzarne quelli positivi, mostrandone così volti fino ad allora sconosciuti all'opinione pubblica italiana. Ma già in questo "schizzo" sono presenti riflessioni interessanti che, al di là dello scontato quadro desolante del paese senza libertà, vanno oltre i luoghi comuni. Il confronto fra Italia e Russia si gioca essenzialmente sulla contrapposizione fra le libertà democratiche italiane e il dispotismo autoritario russo:

    Qui è poco lo spazio e molto il popolo, là poco il popolo e molto lo spazio; qui si conta per teste, là per masse; qui regniamo tutti, là regna uno solo; qui studiamo tutti, plebe e non plebe, per lo stato; là lo stato suda soltanto per chi lo rappresenta.

    Il molto spazio serve alla Russia, come al gigante il gran corpo; non è tutto nervo e sangue in quel colosso, ma l'esser colosso gli giova per estender facilmente le braccia intorno a se', quando vuole allargarsi e per reprimere ogni moto interno, ritirando a se' le braccia, quando vuol soffocare ciò che gli si ribella. [71]

Un'idea che rimarrà sempre cara a De Gubernatis è quella della forza d'inerzia, inesorabile ma passiva, della Russia e, più in generale, degli slavi. Qui De Gubernatis la descrive efficacemente: quella della Russia è per l'appunto "forza d'inerzia, forza di resistenza, forza fatale, ma compatta e vulnerabile forse nelle parti, ma non nel tutto". [72] Tuttavia, "chi paragonò il russo a certe razze asiatiche, condannate all'immobilità, mostrò di aver poca conoscenza o di quello o di queste". [73]

La società russa è oggetto di una dura critica che non risparmia alcuna classe: i contadini, da poco liberati dalla servitù della gleba, vivono comunque sottomessi e si organizzano in comuni pseudocomunistiche che secondo De Gubernatis ne peggiorano l'esistenza; i mercanti sono una classe arrogante e senza scrupoli che spadroneggia ovunque; la nobiltà manca di ideali ed è stata impoverita dall'abolizione della servitù; lo stesso zar è presentato come un autocrate mascherato da riformista, che si finge benefattore dei contadini e colma di onorificenze la nobiltà, mentre allo stesso tempo

    i pochi nobili amatori sinceri di libertà, che osano dubitare della sincerità e generosità delle intenzioni imperiali, sono privati dei loro diritti civili e forzati a tacere; i ribelli vengono spediti in Siberia, e intanto, perché non paia che tutto questo sappia d'impero testareccio, si gradisce volontieri che il signor Katkoff, dal suo trono di Mosca, prenunzi e raccomandi un mese prima quelle riforme liberali che all'imperatore piacerà d'introdurre, e inneggi all'imperatore quando vengano introdotte, e usi, solo ed assoluto, di una sconfinata libertà di stampa, in nome della cara e diletta patria russa. Così un gran pascolo, un solo gregge e un solo pastore; e le pecore matte, che non mancano neppur laggiù, castigate con la verga. [74]

Tornando all'articolo sui Padri e figli , possiamo ipotizzare che anche l'atteggiamento negativo verso Pietro il Grande facesse parte del progettato pamphlet , insieme alla denuncia della relazione causa-effetto fra dispotismo e nichilismo. Nel 1878 De Gubernatis si riferì a Pietro il Grande in maniera molto più neutrale; [75] l'asprezza verso lo zar riformatore venne probabilmente meno con l'adesione di De Gubernatis al campo liberale e occidentalista russo, proprio all'inizio degli anni '70.

Nel 1867 De Gubernatis fondò la «Rivista orientale», nell'intento di dare un organo specialistico agli orientalisti italiani. Ma anche quest'impresa fu abbandonata dopo un solo anno di faticosa esistenza e con un pesante passivo. [76] In compenso, l'attività della rivista valse a rilegittimare De Gubernatis come studioso; raggiunsero lo scopo i suoi sforzi, iniziati alla fine del '65, di riavvicinamento agli amici più influenti, primo fra tutti l'orientalista Michele Amari, ministro dell'Istruzione, con i quali dopo l'imbarazzante caso del 1865 (le dimissioni dalla cattedra) i rapporti si erano assai raffreddati. Nel 1867 De Gubernatis ottenne prima una cattedra di letteratura indiana, e poi, da novembre, la qualifica di professore straordinario di sanscrito. Questo reinserimento scientifico e sociale ebbe immediate e benefiche conseguenze anche per la sua situazione economica; ben presto egli potè acquistare una villetta a Santo Stefano di Calcinaia, nella campagna toscana, dove, fra le altre cose, si dedicò a raccogliere fiabe popolari del luogo, che pubblicò nel 1868; [77] le Novelline di Santo Stefano sono forse la prima raccolta del genere apparsa in Italia. Inoltre, non appena gli fu possibile, De Gubernatis si fece costruire a Firenze un villino in stile eclettico, a cui diede il nome sanscrito Vidyâ , cioè "Sapienza", in riferimento al nome della moglie, Sofia . Situato sull'odierno Viale Gramsci (allora Viale Principe Eugenio), all'angolo di via della Mattonaia, il villino Vidyâ esiste tuttora e non è privo di un certo significato storico, dal momento che vi furono ospiti decine e decine di protagonisti della cultura dell'epoca, da Ferenc Liszt a Ernest Renan, da Giosuè Carducci a Emilio Castelar.

Alla fine degli anni '60 la «Rivista contemporanea» di Torino aveva cominciato a trattare temi slavi, in particolare polacchi. [78] Quando nel gennaio 1869 De Gubernatis ne assunse la direzione, penetrò nel giornale anche la cultura russa. Egli lavorò alla rivista soltanto fino al novembre dello stesso anno, ma in così breve periodo riuscì a far pubblicare diversi articoli di notevole importanza per la storia della russistica italiana. Si tratta soprattutto del suo primo tentativo di divulgare sistematicamente la letteratura russa, servendosi tra l'altro di un corrispondente russo, pratica che diverrà costante nella sua attività redazionale. Così, già nel numero di gennaio apparve per la prima volta in Italia un articolo dedicato a Lev Tolstoj e, cosa ancora più notevole, a Vojna i mir , che in Russia si stava contemporaneamente pubblicando in fascicoli, dopo che i primi capitoli erano apparsi a puntate sul «Russkij vestnik». [79] Per la prima volta l'attualità culturale russa trovava un'eco in Italia, dove fino ad allora si conoscevano "in tempo reale" soltanto gli avvenimenti storico-politici più eclatanti. L'articolo ha effettivamente una forma cronachistica, il risalto maggiore, più che ad un'analisi letteraria del romanzo, è dato al suo straordinario successo, e all'impazienza con cui in Russia si attendevano le successive puntate; l'opinione di M.A...ff, l'autore dell'articolo, sul romanzo è positiva, ma egli, prudentemente, evita di sbilanciarsi troppo:

    un giudizio assoluto sarebbe prematuro, finché l'opera non sia tutta compiuta; convien quindi rimettere a pubblicazione finita [...]. Ma è lecito fin d'ora il dire che questo lavoro del conte Talstoy rimarrà come uno de' libri più attraenti del nostro tempo e farà sempre onore alle lettere russe. [80]

All'articolo di M.A...ff si accompagnava la traduzione anonima (verosimilmente curata da Sof'ja De Gubernatis) di alcuni brevi passi del romanzo, incastonati in un rapido riassunto della trama. [81] Si tratta della prima traduzione in assoluto da Guerra e pace ; la prima traduzione francese tarderà parecchi anni, [82] mentre la prima traduzione integrale italiana, indiretta, è del 1891, con prefazione di Melchior de Vogüé, e segue la grande "scoperta" di Tolstoj in Francia.

Un anno dopo l'apparizione dell'articolo di M.A...ff, venne pubblicata sulla nuova rivista di De Gubernatis, la «Rivista europea», una cronaca letteraria dalla Russia, firmata U., nella quale si recensiva l'uscita dell'ultimo fascicolo di Guerra e pace . [83] L'opinione pubblica russa era rimasta scioccata e delusa dal finale del romanzo. Lo stesso U., sulla cui identità più avanti avanzerò delle ipotesi, critica duramente Tolstoj e stronca l'intero romanzo, che avrebbe tradito le buone premesse da cui era nato: "Volle egli fare un romanzo, od una serie di quadri di costumi"?, si domanda U.; "Lo scopo del libro appare unicamente la dimostrazione di una nuova tesi di filosofia della storia che il Talstoy propone contro i suoi avversari, i cultori della Kulturgeschichte ". [84] Non solo la visione filosofica di Tolstoj è rifiutata da U.; egli giudica un po' sprezzantemente gli stessi ideali etici dello scrittore, che a suo vedere indeboliscono la trama del romanzo: dopo tanto slancio e tanti conflitti, tutto termina "nella prosa di un amor coniugale, tranquillo e senza lampi", mentre nelle ultime cinquanta pagine è difficile seguire Tolstoj nel suo tortuoso "misticismo geometrico". [85] Quest'opinione angusta influenzò De Gubernatis, che ancora nel 1887 si esprimeva in termini non troppo dissimili sull'intera opera di Tolstoj:

    La Guerra e la Pace è un'epopea romantica molto slegata, con tutti i difetti del romanzo storico, e le sue belle qualità [...]; ne' due grandi romanzi di Tolstoi sono descrizioni e osservazioni di una grande bellezza; ma l'insieme del primo libro manca d'armonia, il secondo d'elevatezza; ed entrambi stancano il lettore per una certa prolissità. [86]

Tornando al 1869 e alla «Rivista contemporanea», non si è ancora scoperto chi sia M.A...ff, autore non solo del primo articolo su Tolstoj, ma anche del primo su Dostoevskij. [87] Anche in questo caso, all'articolo, che stabiliva il classico paragone fra i due scrittori, a tutto vantaggio del primo, si accompagnava la traduzione, sempre anonima, di un estratto da Prestuplenie i nakazanie : l'episodio del delitto di Raskol'nikov. [88] Questa volta, il tono di M.A...ff è piuttosto sarcastico e il suo giudizio molto negativo: Dostoevskij è uno scrittore che lo disturba profondamente per gli ambienti infimi in cui ambienta i suoi romanzi e per i suoi personaggi "squilibrati". [89] M.A...ff non crede all'arte di Dostoevskij, che avrebbe raggiunto il successo con Bednye ljudi ("un idillio abbastanza vano") sfruttando la moda degli eroi umili degli anni '40, sotto l'influsso di Byron e George Sand. Superata questa fase, Dostoevskij sarebbe entrato con Zapiski iz mertvogo doma in atmosfere "fetide" che raggiungono il loro apice con Prestuplenie i nakazanie : " Non c'è tregua in quegli orridi sotteranei che l'autore vi fa attraversare [...]; vi strazia, vi leva il respiro"... [90] Persino la purezza di Sonja Marmeladova appare sospetta e inverosimile:

    Senza negare la possibilità di simili casi, è pure permesso considerare tanta purezza di cuore rimasta intatta fra le circostanze d'una simile vita come una delle più grandi eccezioni che si possano incontrare, e questa maniera di concepire conferma l'opinione che mi sono fatta sopra le preferenze dell'autore per quanto sia bizzarro e mostruoso. [91]

Tale fu la prima lettura dell'arte di Dostoevskij proposta in Italia!

M.A...ff è il primo di una serie di anonimi e pseudonimi che costellano le corrispondenze russe dei giornali di De Gubernatis. Avanzo un'ipotesi: M.A...ff potrebbe celare il cognome "Masloff", ovvero in prima analisi Elizaveta Dmitrievna Bezobrazova, nata Maslova, cognata di De Gubernatis. [92] La prima lettera della Bezobrazova conservata alla BNF risale al 18/30 settembre 1868 e rivela che la sua conoscenza e amicizia con De Gubernatis aveva avuto inizio nell'estate di quell'anno, a Firenze. [93] Riferimenti a Tolstoj e Dostoevskij in questa e nelle successive lettere non ce ne sono, ma la Bezobrazova aveva ottimi motivi per mantenere l'anonimato nel caso in cui davvero fosse stata lei l'autrice degli articoli della «Rivista contemporanea»: il suo primo saggio di cui sappiamo con certezza risale alla fine del 1869 e apparve sulla «Rivista europea» sotto lo pseudonimo di Tatiana Svetoff; per il resto della vita questa coltissima signora continuò a pubblicare in tutta Europa svariati articoli e libri, sempre utilizzando pseudonimi. La causa di tale comportamento risiedeva nel fatto che il marito, l'economista Vladimir Bezobrazov, era risolutamente contrario ad ogni forma di attività pubblicistica e letteraria della moglie. Con queste premesse sarebbe possibile ipotizzare che i due saggi di M.A...ff siano stati opera della Bezobrazova. Tuttavia, in tal caso, rimarrebbero forti motivi di perplessità; innanzi tutto, M.A...ff scrive da Mosca e si riferisce ai circoli culturali moscoviti, mentre la Bezobrazova era di Pietroburgo; difficile pensare che ciò fosse una finzione escogitata per coprire la vera identità dell'autore. Inoltre, come si è già detto, manca il benché minimo riscontro epistolare in grado di appoggiare l'identificazione dello pseudonimo con la Bezobrazova. L'equazione M.A...ff/Masloff potrebbe a questo punto valere anche per una seconda ipotesi: M.A...ff potrebbe essere il prosatore Nikolaj Dmitrievi č Maslov (1833-1892), fratello di Elizaveta Dmitrievna, oppure l'anziano Stepan Alekseevi č Maslov (1793-1879), intellettuale moscovita, economista specializzato in agricoltura, ma pur sempre dotato di un'ampia cultura. A suo favore stanno la sua appartenenza alla intelligencija moscovita e il tono degli articoli di M.A...ff, che dà l'impressione di riflettere la visione un po' rigida di una persona anziana. Ma naturalmente è troppo poco per un'attribuzione certa. In ogni caso, un'intelligenza viva ed effervescente come quella di Elizaveta Bezobrazova mal si presta all'attribuzione dei due articoli di M.A...ff, in particolare a quello così ottuso dedicato a Dostoevskij!

Nel secondo articolo di M.A...ff incuriosisce anche un altro aspetto: la bislacca traslitterazione del cognome Dostoevskij: Dasztaievsky ! Nella grande confusione delle trascrizioni ottocentesche, capitava non di rado che il suono ž venisse reso dalla trascrizione sz : forse chi tradusse l'articolo da un originale russo interpretò male la pronuncia del nome? La spiegazione più probabile è più semplice: gli articoli venivano trasmessi in forma manoscritta, e quindi i nomi sconosciuti risultavano spessissimo di difficile lettura per il redattore di un giornale: la cattiva calligrafia dell'autore dell'articolo o la scarsa familiarità del redattore con dei nomi esotici poteva creare, insomma, bizzarrie del tipo Dasztaievsky . Quindi non sembra esserci una logica particolare dietro a questa curiosa trascrizione e a ben vedere non si tratta di un caso così isolato: la confusione e la mancanza di regole davano spesso luogo alle trascrizioni più arbitrarie; anzi, De Gubernatis, molto attento alla questione della trascrizione dei nomi russi, avvertì prima di molti altri l'esigenza di ricercare una norma il più possibile corretta e coerente, senza però poi trovarla. [94] La paternità degli articoli è questione più importante, ma ancora irrisolta; M.A...ff è quasi certamente un russo e ci sono buone possibilità che si tratti di uno dei due Maslovy.

Meno dubbi sorgono sull'autore delle traduzioni: è, verosimilmente, Sof'ja De Gubernatis, forse in collaborazione col marito; comunque non ne abbiamo la prova. Marzaduri cita un passo della «Nuova Antologia» in cui De Gubernatis si attribuisce il merito d'aver fatto conoscere "primo [...] in Europa" Tolstoj e Dostoevskij, "scrivendone e recensendone estratti abbastanza estesi fin dal 1869". [95] Marzaduri deduce che dietro a M.A...ff si celino i De Gubernatis, Sof'ja come traduttrice e Angelo come compilatore degli articoli. In questo caso, però, lo studioso ha dato troppa fede a De Gubernatis, che potrebbe aver semplificato a proprio vantaggio la vicenda di questi articoli, unendo al merito di averli pubblicati quello di averli scritti. La cosa è anche possibile, ma allora perché questo pseudonimo M.A...ff?

La vivace attività russistica della «Rivista contemporanea» coincide in buona parte con la direzione di De Gubernatis; ma anche quando nel novembre 1869 egli lasciò il giornale per fondarne uno proprio, questa attività non cessò del tutto, sebbene venisse a mancare quell'importante elemento innovativo costituito dal corrispondente dalla Russia, che aveva creato un rapporto diretto con le fonti russe. Nel 1869, fra le altre cose, era apparsa una traduzione, ancora una volta anonima, [96] della prima parte del noto libro di Nikolaj Jakovlevič Danilevskij Rossija i Evropa: vzgljad na kul'turnye i političeskie otnošenija slavjanskogo mira k germano-romanskomu, che si cominciava a pubblicare a puntate in quello stesso 1869 sulla rivista «Zarja» . [97]

L'opera di Danilevskij, appena uscita anche in Russia, poteva risultare interessante per il pubblico italiano in virtù del fatto che metteva a confronto la Russia e l'Europa da un punto di vista culturale, storico, filosofico e politico. La posizione di Danilevskij era di stampo radicalmente nazionalista e panslavista, e dal punto di osservazione di De Gubernatis si sarebbe potuta confondere senz'altro con quella più grettamente reazionaria e sciovinista di Michail Katkov. [98] Per esempio, Danilevskij giustificava la repressione dei moti polacchi del '63 e affermava la necessità che la Russia intervenisse nei Balcani a unificare i popoli slavi sotto la propria egida. L'eccezionalità della scelta di pubblicare una tale opera in Italia, dove fino ad allora nulla si era concesso alle ragioni dei russi in politica estera, sta nel fatto che per la prima volta si assumeva un atteggiamento non pregiudiziale, se non addirittura filorusso. Va detto che tra il 1868 e il 1869 De Gubernatis era entrato in contatto con Michail Katkov nella prospettiva di collaborare stabilmente alle «Moskovskie vedomosti». Intermediario era stato il cognato Vladimir Bezobrazov, pare su richiesta dello stesso De Gubernatis, che era in cerca di una rivista russa per la quale scrivere corrispondenze dall'Italia. [99] Tale collaborazione alle «Moskovskie vedomosti» durò lo spazio di pochi mesi, probabilmente non più di tre-quattro; in questo arco di tempo egli produsse almeno sette corrispondenze, parte delle quali "dirottate" su «Sovremennaja letopis'», fatto che si apprende da un paio di lettere della segreteria del giornale moscovita conservate alla BNF. [100] Nella seconda lettera, datata marzo 1869, il segretario di redazione (la firma è illeggibile) elogiava a nome della redazione il lavoro svolto fino a quel momento da De Gubernatis, e poneva delle condizioni per una collaborazione stabile che, tuttavia, per motivi che non mi è stato possibile ricostruire, non era destinata a prodursi:

    Редакция пользуется случаем, чтобы выразить Вам ее искреннюю благодарность за участие в ее издании своими сообщениями, содержанием которых она совершенно довольна; но, получая частые корреспонденции, Редакция иногда бывает поставлена в затруднение найти им места [...]. Редакция просит Вас высилать ей не более одной корреспонденции в неделю; исполнение, конечно, может быть сделано в пользу особенно важных и интересных известий. [101]

La collaborazione alle «Moskovskie vedomosti» non significa necessariamente che De Gubernatis nutrisse simpatie per le idee di Katkov, di cui, anzi, cominciò a parlare malissimo sin dall'articolo apparso sulla «Rivista contemporanea» nell'ottobre 1869 (vedi sopra) e fino alla morte di questi, in occasione della quale De Gubernatis scrisse un duro necrologio. [102] Ma abbiamo già visto come in questi anni De Gubernatis avesse assunto un atteggiamento vagamente slavofilo e antioccidentalista; il progettato libro sulla Russia potrebbe essere una conseguenza di queste idee, ma fu comunque concepito dopo l'osservazione ed il rifiuto delle posizioni di Katkov, maturato nell'estate del 1869. In Italia e Russia , De Gubernatis già definisce Katkov "tzar di Mosca", sebbene su un punto lo difenda: i suoi attacchi contro i tedeschi di Russia non sarebbero dovuti al suo nazionalismo, ma ad una presa di posizione riformista:

    Quando dunque il signor Katkoff, lo tzar di Mosca, come lo chiamano, nella sua Gazzetta si scaglia contro il partito tedesco, non è una protesta di russi contro tedeschi, ma di russi contro un passato feudale, di cui si scongiura il ritorno. [103]

La questione consisteva nel fatto che i tedeschi di Russia, che occupavano molti posti chiave nell'amministrazione dello Stato, avrebbero difeso le tesi più conservatrici e antiliberali, ostacolando in tal modo il cammino delle riforme liberali. Di questo tema si occupò pochi anni dopo anche Elizaveta Bezobrazova sulla «Rivista europea» (vedi cap.II,1).

Torniamo dunque a Danilevskij. Quale fosse l'atteggiamento di De Gubernatis verso l'articolo dell'ideologo panslavista risulta abbastanza chiaro dalla lunga nota che egli pose in calce al titolo:

    Il brioso e arguto scritto di Danilevski, sebbene ci sembri partire da un punto di vista alquanto esclusivo e, con la tendenza ad isolare intieramente la Russia da ogni altra civiltà, esageri il legittimo sentimento della nazionalità, mostrerà se non altro che i pretesi barbari hanno spirito così pronto e vivace, da potersi voltare, con nostro danno, a deriderci, quando, superbi del nostro passato, lanciamo contro di essi l'imprudente motteggio. E noi non consideriamo poca fortuna questa nostra di pubblicisti, se, messo a contatto col nostro pensiero e la nostra vita il pensiero e la vita de' vari popoli che vivono intorno a noi civilmente costituiti, avremo contribuito ad abbattere alcuna delle barriere, che la ignoranza ha sollevato a disperdere i preziosi elementi della civiltà. Fin qui ci siamo creduti il primo popolo del mondo e [...] abbiamo compassionevolmente guardato la gente nuova che operosa e florida ci cresce intorno; ma la luce che si fa intorno a noi finirà bene con l'aprirci gli occhi. [104]

È dunque un atteggiamento equilibrato e aperto che spinge De Gubernatis a pubblicare un saggio così "esplosivo"; del resto, questa era soltanto la prima parte, la meno virulenta, dell'opera di Danilevskij, che uscì integralmente in volume nel 1871; [105] vi si sviluppava il famoso e fondamentale ragionamento sulla non identità fra l'Europa, intesa come civiltà romano-germanica, e la Russia.

Qualunque fosse la posizione di De Gubernatis verso l'opera di Danilevskij, il fatto di pubblicarla era un segnale della sua ormai raggiunta consapevolezza riguardo all'utilità di stabilire raffronti e legami fra Russia e Italia. De Gubernatis cercava in Russia un giornale attraverso cui divulgare notizie sulla vita culturale del proprio paese, mentre in Italia meditava l'idea di fondarne uno, sul modello della «Revue de deux mondes», che avvicinasse il paese alle culture europee più avanzate, e, fra queste, a quella russa. Non a tutti piacque la pubblicazione del saggio di Danilevskij: Lenartowicz scrisse alla direzione della «Rivista contemporanea» una indignata lettera di protesta, rilevando, non a torto, che la posizione di Danilevskij non era molto condivisa neppure in Russia, e che anzi i pensatori russi di idee più avanzate ed equilibrate, come Herzen, Turgenev e Tolstoj, erano di ben altre opinioni sul ruolo della Russia. [106] Comprensibile l'indignazione di Lenartowicz, soprattutto considerato il fatto che un'opera tanto ferocemente antipolacca in Italia doveva suonare come una novità assoluta. D'altra parte, la replica dell'esule polacco si rivela altrettanto estremista e virulenta: egli si dice d'accordo con Danilevskij sul fatto che "les Russes n'ont point profité de la civilisation européenne", ma nega che essi possiedano una cultura nazionale propria, insinuando la loro dipendenza culturale dai tartari. La visione della storia russa offerta da Lenartowicz è nerissima e non risparmia alcuno degli eroi nazionali russi, da Minin e Po ž arskij a Igor' e Dmitrij Donskoj, che considera niente più che capi di orde barbariche: "Ces héroes russes resteront à jamais des muets barbares dans la galerie de Plutarque, malgré leur bravoure, n'ayant aucun rapport avec l'esprit civilisateur européen"... [107] La lettera di Lenartowicz termina con l'auspicio che "la Russie d'aujourdhui croulera comme sont tombés tant d'autres états Asiatiques qui ont éxisté plus longtemps que l'empire russe". [108] Sarebbe stato interessante avere una replica di De Gubernatis alla lettera dell'amico polacco, ma egli era in quel momento in Russia, cosicché della pubblicazione della lettera si occupò il vicedirettore della rivista, Ferdinando Bosio, senza però entrare nel merito della polemica. D'altra parte, lo stesso De Gubernatis, nel presentare ai lettori lo scritto di Danilevskij, aveva specificato che lo scopo della pubblicazione era che "i nostri concittadini smettessero certi loro volgari pregiudizi sull'essere de' Russi" [109] e abbandonassero la propria ridicola superbia di discendenti dei romani; in una seconda nota, posta a chiusura del fascicolo di giugno, egli si era sentito in obbligo di mantenere le distanze dalle tesi di Danilevskij e aveva avvertito che la posizione del russo era poco condivisa in patria e piuttosto estremista:

    Dobbiamo avvertire che le idee alquanto esclusive del Danilevski vengono divise, in Russia, da un piccolissimo gruppo d'uomini politici, e non sono sufficienti a darci un'idea di quello che pensa la Russia rispetto all'Europa, alla quale anzi essa dimostrò sempre la più viva simpatia, troppa certamente per quella che l'Europa, usa a trattare la Russia come paese di barbari, ne possa meritare da lei. Lo scritto del Danilevski mostra che la Russia pensa; noi aggiungiamo, per nostro conto, e per conto della maggioranza dei Russi, che la Russia fa parte della nostra civiltà, ed ama stare nel consorzio europeo. [110]

Durante il periodo in cui la «Rivista contemporanea» è diretta da De Gubernatis, vi compaiono altri scritti slavi di minore importanza, come per esempio la traduzione anonima, in prosa, di un breve Canto del forzato russo in Siberia , tratto da un'opera di Maksimov (o di Nekrasov?) e pubblicato dal «Kolokol» di Herzen. [111] In generale, De Gubernatis condivideva molto più le idee di Herzen che quelle di Danilevskij.

Nel novembre 1869 cessa la collaborazione di De Gubernatis alla «Rivista contemporanea» e a dicembre nasce la sua «Rivista europea», nella quale il rapporto con la Russia diventa organico e determinante per la linea del giornale. A partire da questo momento assumono ruoli fondamentali alcuni personaggi, legati alla Russia e al mondo slavo, senza i quali De Gubernatis non avrebbe mai potuto concepire un progetto di così ampio respiro.

 

  1. Nel 1877 Rossi fu in tournée a Pietroburgo, dove venne accolto affettuosamente dalla cerchia intellettuale vicina a De Gubernatis, fra gli altri da P.Boborykin, M.Stasjulevič e F.Buslaev (vedi «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1877, pp.230-234). Per la «N.A.», come per altre riviste dell'800, fornirò regolarmente solo l'indicazione del mese di pubblicazione dei fascicoli citati, in quanto annate e numeri di fascicolo risultano spesso di scarsa utilità, se non di ostacolo, per il reperimento nelle biblioteche.
  2. A.A. Potebnja (1835-1891), slavista, prof. di lingua e lett. russa all'università di Char'kov.
  3. I.P. Minaev (1840-1890), noto orientalista.
  4. Fibra , pp.180-183.
  5. DG, lett. a I.P.Minaev, Noskovo, 23 juin 1869, PD, f.340,2,23.
  6. Fibra , p.184.
  7. Si tratta quasi certamente di Pavel Aleksandrovič Viskovatov (1842-1905), storico della letteratura formatosi in Germania; F.M.Dostoevskij, che lo incontrò a Dresda nel 1867, lo definiva con un'ombra d'ironia "un giovane progressista" (cfr.Ф.М.Достоевский, Полное собрание сочинений , т.28 2 , pp.206-207).
  8. Meščerskij: forse un parente del principe V.P.Meščerskij, direttore del «Graždanin», che però era un campione della reazione.
  9. Fibra , pp.188-189.
  10. ibid. , pp.221-222.
  11. «in quegli anni all'attrazione esercitata dai primi gruppi anarchici e protosocialisti su molti intellettuali non corrisponde [...] un'altrettanto forte consapevolezza politica e ideologica [...]; il che, per un verso, derivava dalla stessa fumosità ideologica [...] di molte organizzazioni o, più spesso, sette, e, per altro verso, dalla facile attribuzione alle nuove dottrine di quei caratteri genericamente umanitari, pacifisti, egualitari, che furono tipici del'orientamento "progressista" di molta cultura dell'epoca». (L. Strappini, op.cit. , p.220).
  12. Per una bibliografia sulla nascita dell'anarchismo in Italia, cfr. M.Marzaduri, op.cit. , p.500.
  13. E.Conti, Alcuni documenti relativi al soggiorno fiorentino di Michele Bakunin (1864-1865) , in «Movimento operaio», 5(1950), 6(1950).
  14. M.Marzaduri, op.cit. , p.500.
  15. Fibra , p.227.
  16. Vedi F.Damiani, Bakunin nell'Italia post-unitaria 1864-1867 , Milano, 1977, pp.70-77.
  17. Fibra , p.239.
  18. ibid. , pp.234-235.
  19. ibid. p.241.
  20. ibid.
  21. Più problematica la figura di Bazarov nell'art. su Turgenev del 1877 («N.A.», "Rass.lett.stran.", mar.1877, pp.661-672); Bazarov «disprezzando ogni cosa, faceva pure antipatica la vita a se' ed agli altri»; ma nel momento in cui s'innamora scopre tardivamente il valore dell'esistenza.
  22. M.Bakunin, le 13 Février 1866, Naples, BNF, cart.DG, 8,10.
  23. Fibra , p.240.
  24. ibid. Premuhine sta per Prjamuchino .
  25. ibid. p.244. Pavel Aleksandrovič Bakunin (1820-1900) era studioso e seguace della filosofia di impronta hegeliana, a cui dedicò due libri.
  26. ibid. p.243.
  27. ibid. , p.245. Sof'ja Bezobrazova era nata nel 1834.
  28. Vedi E.Lo Gatto, Breve introduzione a Puškin , in Alessandro Puškin nel primo centenario della morte , a cura di E. Lo Gatto, Roma, 1937, p.9.
  29. Aleksandr Aleksandrovič Bakunin (1821-1908) fu effettivamente volontario garibaldino.
  30. Aleksandra Bezobrazova, probabile autrice della citata traduzione dell' Onegin , era sposata con il nobile siciliano Rosario Paternò.
  31. Fibra , p.243.
  32. DG, La donna russa , in «N.A.», mar.1878, pp.101-121. L'articolo riporta il testo di una conferenza tenuta a Firenze quello stesso anno.
  33. Tra i materiali conservati alla BNF, figura un pacco di lettere dell'amministratore dei fondi di Sof'ja Bezobrazova, che veniva tenuta aggiornata sulla propria situazione patrimoniale e necessitava spesso di somme considerevoli per far fronte alle spese della futura vita coniugale. In una delle lettere, risalente ai primi mesi del 1865, l'amministratore accenna alla lunga procedura necessaria per ottenere dal Sinodo l'approvazione al matrimonio con Angelo De Gubernatis; nell' iter sono coinvolte anche le rispettive ambasciate (vedi BNF, Cart.DG, 150,1, illeggibili, f.26).
  34. Fibra , p.247. I suoi studi di folklore si tradussero in una serie di libri scientifico-divulgativi sugli usi nuziali, funebri e natalizi indoeuropei (vedi Bibliografia).
  35. Cfr. Потапова, Русско-итальянские..., cit ., p.95; F.de Labriolle, op.cit. , pp.5-7.
  36. Il Demonio. Racconto orientale di Lermontoff, tradotto da Sofia De Gubernatis Besobràsoff, in «Civiltà italiana», 3 sett.1865, pp.125-127, 10 sett., pp.138-140, 17 sett., pp.157-160.
  37. Melodie russe - Russkija melodii , Leipzig, 1881.
  38. DG, Le traduzioni in versi de' poeti stranieri, e il "Buch der Lieder" di Heine, tradotto da Bernardino Zendrini , in «Il politecnico», apr.1866, pp.533-549.
  39. ibid. , p.533.
  40. ibid. , p.534.
  41. ibid. , p.535.
  42. Cfr. L.Strappini, op.cit. , p.219.
  43. La prima traduzione si deve a Ippolito Nievo (Vedi S.Garzonio, Ippolito N'evo perevodčik Lermontova, Problema metričeskogo ekvivalenta , in Russkij stich. Metrika. Ritmika. Rifma. Strofika. V čest' 60-letija Michaila Leonoviča Gasparova , Moskva, 1996, pp. 93-98).
  44. .DG, Il Demonio di Lermontoff , in «Civiltà italiana», 27 ago.1865, p.101.
  45. «N.A.», "Rass.lett.stran.", dic.1876, p.858.
  46. «Civiltà italiana», 5 mar.1865, pp156-157. Veselovskij vanta diversi lavori di italianistica, il più importante dei quali è la pubblicazione dell'anonimo Paradiso degli Alberti (Bologna, 1867).
  47. A.N.Veselovskij, lett. s.d., BNF, cart.DG, 133,49. Il "confratello" è Aleksandr Nikolaevič Pypin (1833-1904), storico letterario ed etnografo, qualche anno più tardi autore con W.D.Spasowicz di una famosa История славянских литератур (Санкт Петербург, 1879-1881, tradotta in francese giа nel 1881); all'epoca era uno dei viceredattori del «V.E.» È probabile che per "Rivista Europea" Veselovskij intenda proprio il «V.E.», visto che non ci sono notizie riguardo ad una collaborazione di Pypin alla rivista fiorentina.
  48. Id . , Genova, Pegli, 15 agosto [s.a.], BNF, cart.cit .
  49. А.Н.Веселовский, Сравнительная мифология и ее метод ( Zoological Mythology by A.De Gubernatis, London, Trübner, 1872. 2 voll.), in «V.E.», 10(1873), pp.637-680.
  50. DG, lettere a A.Veselovskij, 1872, 1888, PD, f.45,3,305.
  51. T.Lenartowicz, Sul carattere della poesia polono-slava , Firenze, 1886. Vedi M.Bersano Begey, L'accademia Adamo Mickiewicz di Bologna e Teofilo Lenartowicz , in «Ricerche slavistiche», IV, 1955-1956, pp.31-46.
  52. Cfr. A.Cronia, Per la storia della slavistica in Italia , Zara, 1933, p.104.
  53. Cart.DG, 75,26.
  54. Lenartowicz, lett. s.d., BNF, cart.cit. È evidentemente la stessa copia che lesse lo stesso De Gubernatis (forse l'unico romanzo di Dostoevskij che egli lesse, e senza apprezzarlo eccessivamente).
  55. Id., Domenica, Firenze, [s.d.]. Lenartowicz allude al poema Konrad Wallenrod .
  56. DG, Il romanzo contemporaneo: Le Anime morte , in «Il politecnico», lug.1866, pp.413-417; Il romanzo contemporaneo: I padri ed i figli , ibid. , ott.1866, pp.489-494.
  57. Le Anime morte, cit ., p.114.
  58. ibid. , p.115.
  59. ibid.
  60. ibid.
  61. ibid, p.116 .
  62. ibid.
  63. I padri ed i figli, cit ., pp.489-490.
  64. ibid. , p.490.
  65. Da notare che anche nell'art. su Gogol' De Gubernatis accenna alla pittura russa, di certo influenzato dalla moglie pittrice.
  66. I padri ed i figli, cit ., p.493.
  67. Vedi p.es. «N.A.», "Rass.lett.stran.", mar.1877, pp.661-682 e sett.1883, pp.327-340.
  68. E.D.Bezobrazova, St.Pétersbourg, 5/17 Septembre 1869, BNF, cart.DG, 12,31.
  69. «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1881, p.172.
  70. DG, Italia e Russia (primo schizzo da alcune note sull'Albo di viaggio) , in «Riv.cont.», ott.1869, pp.31-35.
  71. ibid. , p.31.
  72. ibid.
  73. ibid. , p.32.
  74. ibid. , p.35.
  75. Vedi DG, Il nichilismo , in «N.A.»,lug.1878, pp.5-18.
  76. Vedi la prefazione all'ultimo numero (marzo 1868).
  77. DG, Le Novelline di Santo Stefano di Calcinaia. Con introduzione sulla parentela dei miti con le novelline , Torino, 1868.
  78. Vedi Cronia, La conoscenza, cit. , p.463.
  79. M.A....ff, Il conte Leone Talstoy e il suo romanzo «La pace e la guerra» , in «Riv.cont.», gen.1869, pp.94-99.
  80. ibid. , p.99.
  81. Guerra e pace , Romanzo del conte L.N.Talstoy, in «Riv.cont.», gen.1869, pp.100-109; feb.1869, pp.228-236.
  82. Cfr: Renton, op.cit. , IV, p.60.
  83. U, Nostra corrispondenza da Pietroburgo , in «Riv.eu.», feb.1870, pp.539-540.
  84. ibid. , p.539.
  85. ibid., p.540.
  86. Vedi «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1887, p.151.
  87. M.A...ff, Dasztaievsky e le sue opere , ago.1869, pp.271-277.
  88. Vol.I, cap.VII, ibid. , pp.278-287.
  89. Secondo M.A...ff, Dostoevskij «si tormentava l'ingegno a discoprire fenomeni anormali, mostruosità d'ogni maniera» (M.A...ff, Dasztaievsky..., cit. , p.271).
  90. ibid. , p.277.
  91. ibid. , p.276.
  92. E.D.Bezobrazova (1834-1881) «образованная и даровитая женщина, писавшая почти исключительно на иностранных языках [...]. Хорошо знала экономические теории, интересовалась юридическими науками, социальными вопросами, политикой, много писала о русских литературных новостях и по общественным вопросам» ( Энциклопедический словарь Брокгауз и Ефрон. Биографии , т.1, Москва, 1991, р.790). La Bezobrazova fu corrispondente di varie riviste: «Journal de Saint Pétersbourg», «Journal des Débats», «Nouvelle Revue», «Contemporary Review», «Revue Suisse» e altre.
  93. Vedi E.D. Bezobrazova, St.Pétersbourg, le 18/30 Septembre 1868, BNF, cart.cit.
  94. Cfr. E.De Michelis, Dostoevskij nella cultura italiana , in Dostoevskij nella coscienza d'oggi , Firenze, 1981, pp.163-196.
  95. Cfr. M.Marzaduri, op.cit. , p.508; «N.A.», "Rass.lett.stran.", ago.1887, p.151.
  96. Curata da un "egregio professore lombardo" che Renton identifica con l'Arnaudo (Cfr. B.Renton, op.cit. , V, p.89).
  97. N.Danilewski, La Russia è Europa?, in «Riv.cont.», giugno 1869, pp.351-368.
  98. A detta di Ettore Lo Gatto, che ritradusse l'opera nel 1923, Danilevskij va considerato per quest'opera il fondatore del "nazionalismo biologico" (Cfr. E. Lo Gatto, Storia della letteratura russa , Firenze, 1979 [6.ed.], p.436).
  99. Lo desumo dalla lettera di Vl.Bezobrazov del 14/26 ott. 1868, BNF, cart.DG, 12,34.
  100. Vedi "Gazette de Moscou", sécretaire de rédaction, Janv. 17/29 1869, BNF, cart.DG, 156,1 [Riviste], f.252, dove si attendono altre corrispondenze "et aussi des nouvelles littéraires, scientifiques et artistiques".
  101. Редакция «Московских ведомостей», Марта 21 1869 г. Москва, BNF, cart.DG, 156,1 [Riviste], f.49.
  102. Vedi "Corrispondenza da Pietroburgo", in «Riv.eu.», dic.1869, pp.149-150; DG, Michele Katkoff , in «N.A.», ago.1887, pp.715-719.
  103. DG, Italia e Russia, cit. , p.32. Vedi anche p.35.
  104. Nota della Direzione a Danilevski, op.cit. , pp.351-352.
  105. Н.Я.Данилевский, Россия и Европа: Взгляд на культурные и политические отношения славянского мира к германо-романскому , Санкт Петербург, 1871.
  106. Cfr. T.Lenartowicz, Sur l'article de M. Danilevski «La Russia è Europa?» , in «Riv.cont.», ago.1869, pp.264-267.
  107. ibid. , p.265.
  108. ibid. , p.266.
  109. DG, introduzione a Danilevski, cit., p.351.
  110. La Direzione, Nota all'articolo del Danilewsky: "La Russia è Europa?" , in «Riv.cont.», giu.1869, p.478.
  111. Il c anto del forzato russo in Siberia , in «Riv.cont.», feb.1869, p.237.
На Растку објављено: 2008-06-30
Датум последње измене: 2008-06-29 17:46:52
 

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