Giuseppe Pierazzi

Il pensiero e l'azione di Mazzini e Tommaseo nei confronti dei popoli balcanici (1830-1874)

 

Tra i patrioti del Risorgimento Giuseppe Mazzini e Niccolò Tommaseo hanno un posto di primo piano. Avversi alla dinastia dei Savoia e a qualsiasi altro regime che limitasse la sovranità popolare, essi erano fieramente repubblicani e decisamente contrari al potere temporale del papa. Tra i due esistevano, peraltro, tali divergenze di pensiero e di temperamento da non permettere loro un'azione comune. Il primo sperò per tutta la vita in un moto rivoluzionario che scuotesse dalle fondamenta l'ordinamento italiano e internazionale e ne permettesse il radicale rinnovo. Il secondo, Dalmata di origine, pensò piuttosto che il risorgimento doveva avvenire attraverso una lenta e costante maturazione dei popoli, i quali, presa coscienza di sé e dei propri diritti, per forza di cose avrebbero acquistato libertà e indipendenza. I due si incontrarono una volta soltanto, nel ‘34 a Ginevra, poco dopo il fallimento della spedizione di Savoia, e non si intesero. Il cattolico Tommaseo, che vagheggiava una restaurazione dell'autorità spirituale del papato, non poteva andare d'accordo col Mazzini credente nel progresso dell'Umanità, libera da ogni sovrastruttura imposta dalla tradizione e dalla religione.

Più tardi, nel ‘48, essi trovarono un linguaggio comune nel condannare le classi dirigenti italiane che, rinchiuse nei propri egoismi e nelle proprie dispute municipali, si disinteressavano dei popoli dell'Europa centro-orientale anelanti alla libertà. Tornmaseo e Mazzini erano concordi, in quei frangenti, nel sottolineare la necessità, per gli Italiani, di non rimanere isolati ma di collegarsi in alleanza con le altre nazionalità, soprattutto quelle slave, soggette all'Austria. L'idea di una comunanza di interessi tra i popoli delle penisole italiana e balcanica maturò nel loro pensiero già negli anni trenta, grazie anche all'influsso degli emigranti polacchi coi quali ambedue erano in contatto. I Polacchi, tanto quelli dell'ala aristocratica quanto i democratici, sostenevano l'opportunità di un fronte comune dei popoli soggetti nella lotta contro il dispotismo. Dispotismo che non si identificava solo con l'Austria e la Turchia, imperi cadenti di cui non ra difficile prevedere in un futuro più o meno vicino la scomparsa, ma piuttosto nella giovane e vigorosa Russia. L'impero zarista, secondo molti circoli occidentali, mirava ad impossessarsi dei Balcani come prima tappa sulla via della conquista dell'Europa intera. Bisognava correre ai ripari costruendo un baluardo di popoli liberi e collegati tra di loro che dall'Adriatico si estendesse fino al Baltico. L'Italia e le altre naziòni dell'Europa occidentale avevano ogni interesse a favorire l'emancipersi delle popolazioni dell'Europa centro-orientale, che avrebbero garantito in tal modo la loro stessa sicurezza. Al di là della fiducìa tutta romantica nella fratellanza dei popoli, è questo il principale calcolo politico che fa guardare Mazzini e Tommaseo con simpatia ai movimenti nazionali delle genti balcaniche. L'agitatore genovese lo esprime in maniera molto chiara già al tempo della Giovine Europa quando parla di una Confederazione orientale e danubiana che avrebbo dovuto sorgere sulle rovine dell'impero turco e di quello austriaco. Tommaseo, all'inizio degli anni quaranta, profetizza al pari nelle Scintille ed in altri scritti, pur invitando alla pazienza e alla cautela, l'inevitabile risorgimento dei popoli balcanici.

Gli ammonimenti del Tommaseo, sulla necessità di non bruciare le tappe, sono rivolti a coloro che tra il ‘42 e il ‘44 preparavano un'azione rivoluzionaria nei Balcani. Si trattava di studenti e ufficiali croati e dalmati che per ragioni di servizio o di studio si trovavano nel Lombardo-Veneto. Essi erano in contatto con l'organizzazione segreta dei fratelli Bandiera e per loro mezzo anche con Mazzini. Il loro capo era Albert Nugent, figlio del maresciallo austriaco, che faceva da intermediario tra i gruppi rivoluzionari formatisi in Italia e i leader del movimento illirico in Croazia. Il piano prevedeva un'insurrezione che, per quanto riguarda i Balcani, avrebbe avuto il suo focolaio in Bosnia dove si contava sull'appoggio di alcuni frati francescani. La meta da raggiungere è fissata con chiarezza in una lettera di Emilio Bandiera a Mazzini: far risorgere la Polonia, dividere la Russia in due, unire la Valacchia, la Serbia, la Bulgaria, la Croazia, l'Erzegovina, il Montenero e la Dalmazia, costituire nell'Europa centrale un forte stato con l'Ungherìa, la Moldavia e la Bessarabia. L'azione abortì nel ‘44 per la scoperta del complotto dei Bandiera e per il fallimento della loro spedizione in Calabria. L'insuccesso non scoraggiò Mazzini che continuava a considerare, ancora alla vigilia del ‘48, i popoli balcanici, in particolare i Greci e gli Slavi meridionali, come elementi maturi alla rivoluzione. La società People's International League, organizzata a Londra nel ‘47 dal Genovese e dai suoi amici inglesi, voleva essere un centro motore di tutti i diversi movimenti insurrezionali presenti in Europa e prestava particolare attenzione alla situazione balcanica.

Diversa fu la reazione del Tommaseo al fallimento dei fratelli Bandiera. La sua sfiducia nelle azioni armate uscì rinsaldata da quell'amara esperienza. Egli pensò piuttosto all'opportunità di resistenza entro l'ambito delle leggi vigenti. Ancora nel marzo del ‘48, quando il popolo di Venezia, insorto contro gli Austriaci, lo liberò dalla prigione, nella quale era stato gettato appunto per un tentativo di opposizione legale, egli fu scettico sulle reali possibilità di successo del movimento rivoluzionario. Seonsigliò pertanto ai suoi Dalmati di seguire l'esempio del Lombardo- Veneto e solo verso la fine del '48, da inviato del governo provvisorio di Venezia a Parigi, si ricredette sull'efficacia finale della lotta contro gli Asburgo. A fargli cambiare idea furono gli esponenti delle varie nazionalità balcaniche che allora si trovavano nella capitale francese: accanto al croato Andria Torkvat Brlić c'erano gli emissari serbi Marinović e Herkalović. A questi vanno aggiunti i rappresentanti di Kossuth, con Teleki in testa, e i numerosi emigranti polacchi. In quell'ambiente trovò favorevole accoglienza la tesi del principe Adamo Czartoryski, secondo il quale sarebbe stato possibile riconciliare Croati, Serbi e Rumeni con gli Ungheresi. Tommaseo si lasciò influenzare dall'entusiasmo generale e appoggiò — anche dopo il suo ritorno a Venezia — l'azione diplomatica del principe Czartoryski, che lavorava, d'accordo con il governo torinese, per pacificare le popolazioni balcaniche soggette a Budapest con il governo magiaro e unirle nella lotta contro gli Absburgo.

Il crollo della rivoluzione in Ungheria e in Italia riconfermò il Tommaseo — ritiratosi a Corfù — nella sua convinzione dell'inutilità di azioni armate. Al contrario Mazzini fu certo che l'Alleanza dei re aveva vinto perchè i popoli s'erano trovati durante il biennio rivoluzionario disuniti e discordi. Più che mai, dunque, bisognava pensare ad un centro coordinatore che legasse i singoli movimenti rivoluzionari in un saldo insieme. Nacque così, nel 1850, a Londra, il Comitato Centrale della Democrazia Europea il cui programma fu firmato oltre che dal Mazzini, dal francese Ledru-Rollin, dal tedesco Ruge, dal polacco Darasz e dal rumeno Bratianu. In particolare per quanto riguarda i popoli balcanici venne ripresa l'idea mazziniana di una confederazione orientale che Nicolae Balcescu significativamente denominò Stati Uniti del Danubio. Mazzini, convinto della bontà del progetto, cercò di fare da mediatore tra Kossuth e i popoli balcanici soggetti alla corona cli S. Stefano, nella certezza che solo un accordo tra i nemici di ieri avrebbe potuto suscitare un valido movimento insurrezionale in un futuro che egli pensava prossimo. Cercò, inoltre, di allacciare contatti diretti con gli Slavi meridionali e chiese a questo proposito l'aiuto del Tommaseo. Il Dalmata rifiutò il suo appoggio motivando tale risposta negativa con l'affermazione che il metodo cospirativo non si addiceva agli Slavi, “gente semplice, ma tanto più difficile ad essere intesa a chi non è semplice”. A suo avviso, se qualcuno era chiamato a farsi guida dei popoli dell'Europa orientale, questi erano gli Inglesi i quali — così afferma in un importante memorandum inviato prima di lasciare Corfù al governatore britannico delle Isole Jonie — avrebbero fatto bene ad appoggiarne le aspirazioni nazionali per contrastare in quello scacchiere l'avanzata della Russia.

Alla vigilia e durante la guerra di Crimea Mazzini sperò molto in una rivoluzione in Bosnia e in quella greca scoppiata nel ‘54 in Tessalonia. A suo dire, l'insurrezione italiana, quella ungherese e quella polacca avrebbero dovuto tener dietro alla azione coraggiosa dei Greci, anche per convincere il governo francese e inglese a cercar appoggi nella lotta contro la Russia, piuttosto che presso la decrepita Turchia e la decadente Austria, presso i popoli andanti alla libertà. Tutti i suoi sforzi compiuti in questa direzione furono però votati all'insuccesso. Egli dovette assistere impotente alle varie fasi della guerra di Crimea e allo svolgersi della Conferenza di Parigi le cui decisioni riguardanti i popoli balcanici lo riempirono di sdegno. A suo avviso in quella zona l'unica soluzione durevole sarebbe stata una Svizzera Orientale che avrebbe unito i popoli balcanici in ampia confederazione.

Favorevole a tale progetto si dichiarò, a cavallo tra il ‘59 e il ‘60, anche il Tommaseo che, tornato in Italia, appoggiò, derogando ai suoi principi, l'azione rivoluzionaria di Eugen Kvaternik. Quest'avvocato croato pensò di approfittare della guerra franco-piemontese con l'Austria per far insorgere anche la Croazia e ristabilirne l'indipendenza. Tommaseo non condivideva le idee di Kvaternik sulla grande Croazia estesa dall'Albania all'Isonzo, pensava però che il movimento croato avrebbe potuto esser inserito in un più vasto piano d'azione comprendente tutta l'area balcanico-danubiana. Egli appoggiò pertanto l'azione propagandistica di Kvaternik e si preoccupò di metterlo in contatto coll'emigrazione ungherese. Al generale Türr, esponente del partito di Kossuth in Italia, manifestò in alcune lettere la sua idea di una confederazione “nella quale abbiano pari dìritto, e vita distinta, i popoli ungherese, il valacco, il croato, e, non confuso con esso, il dalmatico”. Ma questo sarebbe stato, nei coti del Tommaseo, solo il nucleo di una più vasta compagine di popoli dell'Europa centro-orientale che avrebbe potuto liberare la Polonia e ristabilire l'integrità della Grecia. Tale unione di stati “prenderebbe luogo cospicuo tra i quattro grandi potentati europei, l'uno dei quali sarebbe composto delle schiatte di sangue e di tradizioni latine… l'altro delle stirpi alemanne, l'ultimo della russa…”

La spedizione di Garibaldi in Sicilia, se interruppe l'azione di Tommaseo e di Kvaternik, diede nuovo slancio ai movimenti rivoluzionari nei Balcani. I popoli della penisola furono come elettrizzati dalle notizie di successi garibaldini. L'attività segreta ricevette ovunque nuovo impulso nell'attesa di un prossimo arrivo dell'Eroe. A partire dall'autunno 1860 negli ambienti garibaldini effettivamente si parlava di una possibile spedizione nei Balcani allo scopo di suscitarvi una rivolta generale contro Vienna e contro Istanbul. Nelle due capitali si prendevano molto sul serio tali progetti tanto che le coste mediterranee dei Balcani furono a lungo pattugliate dalle navi da guerra austriache, turche e russe, pronte ad impedire lo sbarco di Garibaldi. Nel periodo che va dal ‘60 al ‘66 la penisola balcanica fu teatro di un viavai di agenti ed emissari inviati ora dal governo italiano, ora dal re Vittorio Emanuele, ora da Garibaldi o da Mazzini, che incitavano i popoli alla rivolta. Da parte italiana sì sperava di risuscitare la questione d'Oriente per risolvere nella sua scia anche il problema del Veneto. Se il fine era comune, i mezzi col quale si pensava di attuano erano diversi. Il governo italiano e in modo particolare Vittorio Emanuele, che non si faceva scrupoli di condurre una politica personale, erano convinti che la rivoluzione avrebbe dovuto scoppiare prima al di là dell'Adriatico. Solo a quel punto l'Italia avrebbe preso le armi contro l'Austria. Diversa era la tesi di Mazzini: era missione dell'Italia farsi promotrice e guida dei movimenti di liberazione nazionale, toccava dunque all'Italia dare per prima il segnale della nivolta. Su questi diversi progetti si accese una lunga polemica che rese vano ogni tentativo di azione concreta. Più volte, comunque, nel lasso di tempo che va dalla spedizione dei Mille alla guerra italo-prussiana contro l'Austria, la partenza di Garibaldi per i Balcani sembrava imminente. Specialmente alla vigilia e durante la rivoluzione polacca del ‘63, ‘64 Mazzini fece ogni sforzo per organizzare in quell'area una vasta rete rivoluzionaria. Con l'aiuto di Herzen, Ogarëv e Bakunin e degli emigranti polacchi, tra i quali spicca il Bulewski, egli allacciò rapporti coi liberali serbi, con i Montenegrini e i Bosniaci, con i Bulgari, con i Greci e con i Rumeni. Alla fine del ‘62 egli era sicuro di poter suscitare, come scrisse ad un'amica inglese “a second, enlarged edition of 1848” che avrebbe messo in fiamme, attraverso l'organizzazione segreta “Zemlja i Volja”, pure la Russia.

I suoi sforzi fallirono tutti anche per l'indecisione di Garibaldi che non sapeva scegliere tra l'alleanza col re e quella col rivoluzionario genovese. E' — caratteristico però dell'inesauribile energia e fede di Mazzini che anche dopo il ‘66, quando venne abbandonato da molti seguaci, non si diede per vinto ma continuò ad incitare i popoli balcanici alla rivolta contro l'Austria e la Turchia. In un infiammato proclama del gennaio ‘69, rivolto da Londra Ai popoli dell'Oriente , egli invita i Montenegrini, i Serbi, i Bulgari e i Rumeni ad aver fede in Italia che diventando repubblicana presto sarebbe risorta a nuova vita e li incita a prepararsi concordi alla lotta vicina: “Sappiatelo voi tutti, popoli dell'Oriente, l'Oriente è vostro! Tendete fraternarnente le mani l'uno all'altro, poichè il tempo della vostra salvezza non è lontano, siate all'altezza del vostro valore e un futuro felice vi sarà premio per le vostre sofferenze e per i vostri acrifici nell'odierno travaglio, nel quale non vi abbandonerà il vostro Mazzini.”

La necessità di un accordo dei popoli balcanici è sempre presente nel pensiero di Mazzini. Nell'estate del ‘69, quando una delegazione bulgara, guidata da Balabanov e da Rajnov, lo visitò a Londra per chiedere il suo consiglio politico, egli non si stancò a ribadire l'urgenza di valide alleanze con i popoli vicini.

Nel ‘71, quando — dopo la sconfitta francese – cominciò a profilarsi sull'orizzonte il pericolo del pangermanismo, la concordia e l'unità dei popoli dell'Europa centrale e balcanica sembrarono a Mazzini più attuali che mai. Solo l'alleanza dell'Italia e della Francia con quei popoli avrebbe potuto conservare l'equilibrio europeo e garantire la pace.

Le conclusioni alle quali arriva nello stesso periodo il Tommaseo sono assai vicine a quelle mazziniane. Più prudente del rivoluzionario genovese egli poggia le sue previsioni politiche sulla realtà oggettiva e si dichiara d'accordo con un corrispondente dalmata sull'opportunità di Conservare l'Austria. “Ma bisogna che Austria sappia stedescarsi, che il suo impero sia come l'antico impero germanico doveva essere, proteggitore di confederazioni viventi da sè; ch'ella cerchi gli ingrandimenti proprii e della civiltà universale nelle terre tenute da' barbari; e i Potentati civili e, che meglio è, le nazioni civili vedranno lei volentieri farsi argine a' russi e a' teutonici allargamenti.” L'Austria, insomma, si allarghi a tutta la Turchia europea, perda il suo carattere tedesco e diventi ago della bilancia continentale, garantendo ad ogni sua nazione libertà ed indisturbato sviluppo.

Erano progetti fatti al tavolino che non tenevano conto della delicata situazione storico-politica dell'Europa orientale. Il pensiero e l'azione di Mazzini e di Tommaseo nei confronti dei popoli balcanici non furono tuttavia sterili. I due patrioti italiani — i migliori conoscitori dei problemi balcanici all'epoca del Risorgimento in Italia — non solo contribuirono a fai conoscere in Occidente la complessa realtà dei Balcani, ma influenzarono anche con i loro scritti e con i loro contatti diretti in maniera notevole lo sviluppo nazionale di popoli così a lungo assenti dalla scena politica europea.

Giuseppe Pierazzi, Il pensiero e l'azione di Mazzini e Tommaseo nei confronti dei popoli balcanici (1830-1874) , “ Revue des études sud-est europeennes”, XIV, 2, Bucarest, 1976, pp. 283-287.

На Растку објављено: 2008-06-28
Датум последње измене: 2008-06-28 12:34:12
 

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