Rosanna Morabito

Sul ruolo dello slavo ecclesiastico nella formazione della lingua letteraria serba del XVIII secolo

 

Dibattuto* da più di un secolo, il ruolo dello slavo ecclesiastico nella storia linguistica e culturale delle diverse aree della Slavia Orthodoxa rimane ancora in primo piano nelle riflessioni degli studiosi.

L'ultimo contributo offerto a questo dibattito dal compianto N. I. Tolstoj è apparso nel 1995 con il titolo “Slavia Orthodoxa i Slavia latina. Obščee i različnoe v literaturno—jazykovoj situacii (opyt predvaritel'noj ocenki )“.(1)

Al centro dei miei interessi in questa sede è la storia dello slavo ecclesiastico di area serba vista alla luce di alcuni principi generali che regolano il sistema scrittorio slavo ecclesiastico. L'appartenenza della civiltà spirituale e scrittoria serba alla comunità sovranazionale slava ortodossa, e quindi alla “comunità linguistica slava ecclesiastica”, è correntemente accettata fino al XVII secolo, vale a dire per i secoli in cui la letteratura serba antica si è sviluppata sulla base di varianti locali dello slavo ecclesiastico. Di conseguenza, concentrerò le mie osservazioni sul periodo immediatamente successivo, il XVIII secolo, considerato tradizionalmente una fase di grande caos linguistico, in cui la tradizione locale dello slavo ecclesiastico sarebbe stata come snaturata da un processo di russificazione della vita religiosa e culturale promosso dalla chiesa. L'adozione dello slavo ecclesiastico russo da parte dei serbi sarebbe avvenuta proprio nel momento in cui la prassi scrittoria stava manifestando una decisa apertura all'elemento linguistico locale. Secondo la visione storiografica più recente,(2) lo slavo ecclesiastico russo, proprio perché estraneo a scrittori e lettori, avrebbe catalizzato l'inserimento di elementi linguistici locali nei testi letterari, per facilitarne la comprensione, dando così luogo ad una lingua ‘ibrida', lo slavenosrpski. Questo insieme caotico e quasi casuale di elementi linguistici geneticamente diversi avrebbe comunque permesso l'affermazione del serbo letterario.

Alcune precisazioni sono necessarie. La mia attenzione è concentrata sulla funzione dello slavo ecclesiastico, ossia di uno strumento linguistico altamente convenzionale e specificamente letterario,(3) in un periodo per il quale si nega sì che sopravvivesse l'antico sistema scrittorio medievale, ma per il quale non si può certo affermare che già funzionasse una nuova lingua letteraria nazionale in senso moderno. Per brevità, mi limiterò qui a considerazioni generali, di natura storico-culturale e non linguistica o dialettologica.(4) Tengo a sottolineare che, prendendo atto della appartenenza dei serbi, come degli altri popoli della Slavia ortodossa, ad una comunità culturale e linguistica più ampia, sovranazionale, non intendo certo diminuire l'importanza delle singole storie letterarie locali classificabili come ‘serba antica', ‘russa antica', ecc. Questa complementarità delle prospettive “orizzontali” e verticali” è del resto sottolineata dagli studiosi della Slavia ortodossa.

1. Finora il Settecento ha attratto l'attenzione degli slavisti soprattutto in quanto ‘preistoria' della lingua e della letteratura serba moderna, nazionale e popolare. Questa epoca, tuttavia, si presta ad essere analizzata sul piano storico-culturale, linguistico e letterario anche come fase tarda della cultura serba antica.

Dopo la trasmigrazione nell'Impero asburgico, ancora per molti decenni la vita spirituale dei serbi continua a svolgersi essenzialmente nell'ambito della grande comunità sovranazionale slava ortodossa. La storia della lingua letteraria del tempo, a sua volta, è parte integrante della storia della comunità linguistica slava ecclesiastica, identificata dalla comune adozione del medium sovranazionale che oggi chiamiamo slavo ecclesiastico. Questo termine moderno è chiaramente convenzionale:(5) l'aggettivo non identifica soltanto la funzione ecclesiastica della lingua scritta, ma è riferito alla prassi scrittoria che era espressione della cultura slava ecclesiastica, propria cioè di “una intera società cristiana che accettava la guida della chiesa in pressoché ogni aspetto della vita culturale”.(6)

Lo slavo ecclesiastico era uno strumento linguistico (scrittorio) altamente ‘artificiale', convenzionale, applicato “secondo le regole di un'arte verbale codificata con criteri dipendenti non dalla variabilità dell'uso parlato, ma dalla volontà degli scritori di restar fedeli a stabili modelli di espressione consacrati dalla tradizione religiosa”.(7)

Un medesimo sistema culturale, espresso da una medesima convenzione scrittoria, ha accomunato le popolazioni slave ortodosse per secoli, fino alla soglia dell'età moderna, ossia fino all'affermazione delle lingue letterarie nazionali. Le piccole comunità di religiosi letterati disseminate nella vasta area dai Balcani alle terre russe condividevano una concezione sacrale della scrittura, giacché la lingua scritta era anzitutto lingua sacra, lingua di verità. Non il rispetto di precise norme grammaticali,(8) ma la pratica imitazione dei testi liturgici governava la prassi scrittoria. La norma linguistica veicolata dai testi liturgici aveva accettabilità pan-slava ortodossa e i testi basati su di essa poterono circolare per secoli nelle diverse regioni della comunità slava ortodossa, subendo solo un limitato adattamento all'uso locale.

Nell'ambito della funzione liturgica, lo slavo ecclesiastico si presentava quindi come un sistema chiuso, poco innovativo, all'interno del quale gli usi locali si distinguevano solo per un ristretto numero di tratti fonetici.(9)

Al di fuori della funzione liturgica, la pratica scrittoria si sviluppò in modo più articolato: lo slavo ecclesiastico(10) si presenta qui come un sistema aperto, nel quale l'uso scrittorio tramandato nei testi ecclesiastici svolgeva una funzione modellante nell'ambito di una prassi scrittoria aperta alle interferenze dell'uso linguistico locale. Il maggiore o minore apporto dell'uso locale era determinato da diversi fattori: la preparazione dello scriba, il tipo e la funzione del testo e il tipo di pubblico cui esso era destinato. L'apertura del sistema scrittorio a componenti linguistiche diverse(11) dava luogo ad un ampio spettro di realizzazioni linguistiche, corrispondenti a differenti livelli espressivi, che andavano da una massima aderenza ai modelli sacri ad una massima vicinanza all'uso locale. Alcuni testi o alcune parti di testo potevano, per soddisfare determinate esigenze espressive, assumere una forte coloritura vernacolare: tuttavia, questo solo fatto non ci permette di parlare di una ‘manifestazione del volgare'. Finché l'elemento linguistico locale non si presenta, né viene percepito dagli scribi, come autonomo, cioè come sistema scrittorio a sé stante, ma resta invece subordinato alla funzione modellante della lingua scritta di tradizione ecclesiastica, parleremo di un uso del vernacolo in funzione di differenziazione stilistica all'interno del sistema slavo ecclesiastico.

Questa visione dello slavo ecclesiastico - vale la pena di ripeterlo - non ‘espropria' i popoli slavi ortodossi di una letteratura antica nella loro lingua. Per secoli, infatti, lo slavo ecclesiastico fu sentito da essi come la propria lingua letteraria.

Parlando dello slavo ecclesiastico, finora ho usato solo i termini sistema e conven:ione scrittoria , perché fosse ben chiaro che non si tratta di una lingua unitaria e compatta, di una lingua letteraria nell'accezione moderna del termine.

Le filologie nazionali dei paesi slavi, sorte nel secolo scorso, risentono ancora del pensiero risorgimentale, che identificava la lingua con il popolo-nazione. Questa idea ottocentesca ha ricevuto nuovo vigore dopo la Seconda guerra mondiale, anche grazie alla politica comunista che la ha ‘risemantizzata', accentuando la componente ‘popolare'.

E' ben nota la visione dell'evoluzione linguistica settecentesca in termini di lotta tra l'elemento linguistico tradizionale, estraneo al popolo serbo, e le energie linguistiche autoctone, la cosiddetta ‘lingua popolare'. Questo approccio caratterizza anche le altre storiografie nazionali slave: “negli studi slavi il rapporto fra slavo ecclesiastico e componenti linguistiche locali è tuttora visto in termini di conflitto e di mutuo rigetto”.(12)

A ben vedere, lo slavo ecclesiastico non era affatto una lingua ‘estranea' contrapposta alla lingua locale. Al di fuori della funzione liturgica, lo slavo ecclesiastico ammetteva infatti il ricorso ad espressioni della ‘lingua popolare', come livello espressivo del sistema. L'uso scrittorio che derivava dal ricorso al vernacolo veniva sentito dagli scrittori come un livello espressivo basso del sistema slavo ecclesiastico, di accettabilità esclusivamente locale.

Il rapporto tra lingua della tradizione e uso locale non si configura, quindi, come un'interazione tra lingue letterarie diverse: non esistendo ancora le lingue nazionali, conviene parlare di un sistema scrittorio convenzionale comprendente uno spettro di realizzazioni linguistiche ai cui poli si collocano, da una parte, lo slavo liturgico (il livello espressivo più alto del sistema, in quanto lingua sacra) e, dall'altra, una lingua scritta basata sull'uso popolare (il livello più basso, di accettabilità esclusivamente locale).

I livelli più alti del sistema godevano di grande prestigio e di accettabilità pan-slava ortodossa e di conseguenza i testi redatti in una lingua vicina ai modelli scrittori poterono circolare nelle diverse regioni per lungo tempo senza bisogno di traduzione.

In altre parole, il rapporto tra i diversi elementi che compongono il sistema va letto con criteri funzionali e non genetici. All'interno della norma dotta potevano introdursi forme locali, che una volta entrate nell'uso comune e sentite accettabili nell'intera comunità slava- ortodossa, erano funzionalmente slave ecclesiastiche.

2. A lungo si è sostenuto che la sostituzione della variante serba dello slavo ecclesiastico con la variante russa avrebbe interrotto e deviato il naturale processo di affermazione delle energie linguistiche locali. Per conseguenza, al periodo dominato dallo slavo ecclesiastico russo e dal cosiddetto slavenosrpski fu affidato un posto marginale nella storia della lingua letteraria e della letteratura.

Per primo N.I. Tolstoj affermò la necessità di tenere nel giusto conto le concezioni linguistiche dominanti fra i serbi nel periodo prenazionale, concezioni che derivavano dalla coscienza dell'appartenenza ad una comunità religiosa culturale e linguistica sovranazionale,(13) da lui inizialmente denominata “mondo slavo-greco” ( grekoslasjanskij mir ) e corrispondente grossomodo alla Slavia ortodossa di Picchio. Importante è anche l'affermazione che l'uso della variante russa dello slavo ecclesiastico in luogo della variante serba non generò una concorrenza tra norme diverse, in quanto non modificò il ruolo funzionale dello slavo ecclesiastico, che continuò a dominare il sistema fungendo da elemento coesivo e modellante degli altri tipi di lingua.(14)

Sebbene questa visione abbia avuto una certa diffusione negli ultimi decenni, non si è ancora avuta una riconsiderazione globale del Settecento serbo alla luce di una organica concezione della storia della lingua letteraria nell'età premoderna. Anche chi, come A. Mladenović, ammette che le differenze tra lo slavo ecclesiastico serbo e quello russo erano di carattere ‘redazionale' e riconosce al modello linguistico russo una funzione positiva, in realtà attribuisce valore ai testi dell'epoca nella misura in cui essi presentano l'elemento linguistico locale.

Ovviamente non intendo riscrivere qui la storia della lingua letteraria serba del Settecento, ma solo mostrarla sotto una luce differente da quella della storiografia corrente, sottolineando nella varietà della prassi scrittoria la sua continuità tanto con le tradizioni serbe quanto e ancor più con quelle slave ortodosse.

Diverse regioni della comunità slava ortodossa si trovano ad essere in determinate epoche centri di irradiazione culturale per l'intera comunità, custodi della tradizione slava ecclesiastica e garanti della sua autenticità. L'elaborazione culturale compiuta nella Bulgaria del Trecento nell'ambito delle correnti esicaste, ad esempio, portò all'affermazione in tutta la comunità slava ecclesiastica di una norma scrittoria che si era inteso ‘restaurare', cioè restituire alla purezza originaria, tramite il processo di ‘ispravlenie knig'. (15) Questo processo, che portò in area slavo-orientale forme chiaramente slavo-meridionali, è noto come ‘seconda influenza slava meridionale'; tuttavia, non sembra appropriato definire come influenza questo ‘trasferimento di norme' da una zona all'altra della stessa comunità linguistica e culturale, giacché non si trattava dell'accoglimento di un modello linguistico ‘straniero', ma di una ‘restaurazione' dello slavo ecclesiastico.(16)

Dopo il trasferimento nell'Impero asburgico. la chiesa serba si trova costretta a riorganizzare la vita spirituale e culturale anche per mettere il popolo in condizioni di resistere alla pressione del nuovo ambiente, cattolico, più evoluto culturalmente e sociopoliticamente più forte. La chiesa ricorre quindi alla secolare tradizione slava ortodossa, garante dell'identità etnico-religiosa del popolo serbo, di cui la Russia di Pietro e di Feofan, in piena espansione politica e culturale, continuava ad essere depositaria, nonostante l'abolizione del Patriarcato e la creazione del S. Sinodo. Tramite i libri importati da Mosca e l'attività dei maestri russi e ruteni, i serbi d'Ungheria assorbono i modelli culturali e scrittori allora in voga nell'Impero russo.(17) Quei modelli, però, pur avendo le proprie radici e la propria validità funzionale nella tradizione medievale slava ortodossa, avevano già subito una certa evoluzione grazie al processo di osmosi tra cultura ortodossa e cultura latino-polacca che si svolgeva nelle terre rutene da più di un secolo e che assumeva nuovi tratti nell'impero di Pietro.

L'adozione dello slavo ecclesiastico russo avvenne nella convinzione di correggere la lingua slava, comune a serbi e russi, sulla base della variante considerata corretta, il ruskoslovenski , dotato di strumenti normativi del massimo prestigio. Non si dovrà dunque parlare di una “influenza” russa sulla lingua letteraria serba, ma di un trasferimento delle norme slave ecclesiastiche di Russia in area serba che non mutò i rapporti funzionali tra i diversi livelli espressivi del sistema scrittorio.

La presenza dell'elemento linguistico russo, come è noto, si osserva già nei testi serbi del XVII secolo. Anche allora non era percepita (e non va valutata) come ‘straniera'. I. Grickat definisce “pseudorussismi” i tratti fonetici russi presenti nello slavo ecclesiastico serbo già prima dell'arrivo dei maestri russi, trattandosi di usi grafici ormai integrati nello slavo ecclesiastico e non percepiti come varianti di importazione slavo-orientale.(18)

L'accoglimento di elementi linguistici tratti da modelli di prestigio all'interno di un comune sistema scrittorio non può essere considerato come un fenomeno di ‘influenza': quegli elementi risultano funzionalmente slavi ecclesiastici, qualunque sia la loro origine regionale.

Tramite l'importazione massiccia dì libri ruteno—russi e l'attività dei maestri, ai serbi non giunse solo il patrimonio ecclesiastico tradizionale, ma giunsero anche gli elementi di laicizzazione e di apertura alle correnti europee, che avevano avuto un nuovo impulso con Pietro. Dal punto di vista della lingua letteraria, il modello scrittorio russo del tempo era articolato al proprio interno in diversi usi stilistici, corrispondenti ad una vasta gamma di livelli espressivi, che rispondeva alla complessità delle nuove tematiche e dei nuovi compiti posti alla attività scrittoria. Nell'accogliere il modello culturale e scrittorio russo, i serbi ne esaltavano il valore tradizionale e pan-slavo ortodosso, ma ne recepivano anche, progressivamente, gli stimoli alla formazione di un sistema letterario e di una lingua letteraria moderni.

Una buona parte della storiografia, basando lo studio della storia della lingua letteraria nel Settecento su criteri genetici anziché funzionali, non è giunta a cogliere la continuità della prassi scrittoria serba. All'adozione del modello russo si attribuisce, come abbiamo visto, un significato di rottura con la tradizione, mentre essa, al contrario, era sentita come un ritorno alla lingua della tradizione. L'articolazione in diversi livelli espressivi del modello scrittorio russo adottato dai serbi contribuì a creare una situazione linguistica estremante varia, spesso definita come caotica e ‘priva di norme': la ‘lingua mista' detta slavenosrpski , che si presenta come una commistione di elementi linguistici geneticamente diversi a tutti i livelli, fonetico lessicale morfologico e sintattico.

3. La commistione di elementi linguistici geneticamente diversi, in realtà, era sempre stata presente nell'uso scrittorio serbo (come nell'intera comunità linguistica slava ecclesiastica) in determinati contesti comunicativi, senza che mutassero i rapporti funzionali tra gli elementi che componevano lo spettro delle diverse possibili realizzazioni linguistiche. In altri termini, l'introduzione di elementi locali, geneticamente russi o serbi, in un testo slavo ecclesiastico non significava un passaggio a - o una mescolanza con - un'altra lingua.

All'epoca in esame, gli elementi russi erano semplicemente accolti nel l'involucro linguistico slavo ecclesiastico con accettabilità piena in area serba (slavecclesiasticismi funzionali), mentre quelli serbi segnavano un cambiamento di livello espressivo, all'interno dello stesso sistema slavo ecclesiastico: non uso del ‘volgare' inteso come sistema autonomo, ma ricorso al livello basso dello slavo ecclesiastico.

Che la pratica della commistione linguistica fosse presente prima della seconda metà del secolo è dimostrato da diversi testi nati negli anni Trenta-Quaranta, vale a dire durante o poco dopo il periodo di attività dei maestri russi e ruteni.(19) Come è stato già notato,(20) gli stessi libri russi che fecero da modello ai serbi, per esempio l'abecedario di F. Prokopovič ( Pervoe učenie otrokom” ), presentavano una mescolanza di forme pan-slave ecclesiastiche e locali russe e poterono perciò fungere da modello funzionale per l'introduzione nella lingua scritta di elementi serbi popolari.(21)

Per cogliere appieno il significato della commistione linguistica evidente nei testi serbi settecenteschi, è utile tornare a considerare la pratica scrittoria nelle terre ortodosse slavo-orientali nel XVII e XVIII secolo, oggetto, in questi ultimi anni, di molte interessanti ricerche.

Tra la fine del XVI e il XVII secolo, nelle terre rutene si era avuto un grande processo di codificazione dello slavo ecclesiastico, continuato poi nella Moscovia in mutate condizioni politico-culturali, che aveva sostituito la concezione sacrale della scrittura con quella ‘grammaticale', in senso empirico-funzionale. La grammatica di Smotryc'kyj nell'edizione russa del 1721 costituì la prima, e per lungo tempo la sola, grammatica a disposizione dei serbi. La politica di Pietro il Grande aveva avuto rilevanti conseguenze per l'affermazione di un modo di scrivere più vicino all'uso locale russo. I serbi recepirono il modello russo nel suo complesso: accanto ai libri liturgici giungevano dalle terre slavo-orientali non solo opere religiose, polemiche o moralistico-didattiche, ma anche testi laici, storici o tecnici, e con il tempo anche generi letterari del tutto nuovi per i serbi, come il romanzo. Nel contempo, i maestri russi insegnavano ai serbi non solo la variante russa dello slavo ecclesiastico, ma anche i primi rudimenti del latino e della retorica.

Secondo M. L. Remneva,(22) che ha studiato la variabilità della norma linguistica letteraria slava ecclesiastica, la grammatica di Smotryc'kyj nelle sue diverse edizioni va considerata un'importante testimonianza del fatto che “važnoj osobennost'ju normy literaturnogo jazyka XVII v. javljaetsja na1ičie grammatičeskich variantnych okončanij”.(23) Quel primo tentativo di grammatica normativa fissò, cioè, la variabilità del sistema dei casi dei sostantivi, dandone una codificazione esemplare, senza però fornire indicazioni sul valore espressivo delle varianti, che apparivano, quindi, equivalenti.

Nella seconda metà del Seicento, l'alternanza di slavo ecclesiastico e russo nei testi, si diffuse e cominciò ad assumere in alcuni testi una funzione di marcatura stilistica.

V. M. Živov(24) studia la storia tarda dello slavo ecclesiastico (XVII-XVIII secc.), seppure sempre dal punto di vista russo, e in particolare il fenomeno delle varianti ibride (gibridnye varianty ) dello slavo ecclesiastico, nate dalla commistione dello slavo ecclesiastico con elementi linguistici locali. Nella composizione di testi originali, l'intenzione di scrivere in lingua dotta si realizzava con l'inserimento dei ‘tratti di letterarietà' ( priznaki knižnosti ), ossia di un numero limitato di elementi linguistici tra quelli che distinguevano lo slavo ecclesiastico dalla lingua locale, percepiti per l'appunto come ‘marche di letterarietà'. Il resto degli elementi linguistici compariva ora nella forma slava ecclesiastica ora in quella popolare russa: la scelta delle varianti ( variativnost' ) dipendeva da numerosi fattori, quali la preparazione dello scrittore, il tipo di testo, e così via. Si formavano così le ‘varianti ibride', anch'esse basate non su una codificazione grammaticale, ma sulla tradizione letteraria, e rappresentanti una forma semplificata dello slavo ecclesiastico. Dalle varianti ibride, tramite l'eliminazione dei ‘tratti di letterarietà', sarebbe nata la lingua letteraria moderna.(25)

E' importante sottolineare che la commistione di elementi geneticamente diversi viene considerata una caratteristica tradizionale dello slavo ecclesiastico, riscontrabile nell'intera comunità slava ortodossa. In sostanza, lo slavo ecclesiastico potrebbe essere definito ‘ibrido' di per sé, considerando che le sue varianti nascono dall'interferenza delle parlate locali e che la composizione di nuovi testi era governata dall'insieme delle competenze linguistiche dello scrittore.

4. Quanto ai serbi, tuttavia, lo strumento scrittorio chiamato slavenosrpski non sembra mostrare la regolarità di tratti linguistici individuata da Živov nei testi ‘ibridi' ucraino—russi(26).

L'accoglimento del modello scrittorio russo, già diversificato nella prassi letteraria, avvenne nel l'ambito del comune sistema slavo ecclesiastico e secondo le dinamiche interne al sistema. I rapporti funzionali tra gli elementi componenti il sistema non cambiarono per la sostituzione di alcuni di essi con altri funzionalmente equivalenti. Il nuovo ambiente culturale, però, poneva nuove esigenze e la graduale scolarizzazione permise un significativo ampliamento del sistema culturale, cui l'uso scrittorio dovette adeguarsi. L'elemento locale russo e più in generale slavo—orientale, variamente rappresentato nei testi religiosi popolari e nei testi laici dotti e popolari provenienti dalle terre russe, venne accolto in modo selettivo dai serbi. La lingua delle opere dotte slavo-orientali veniva sentita come parte accettabile dello slavo ecclesiastico: la lingua delle opere popolari, invece, era considerata variante locale russa non accettabile, che era necessario adattare all'uso slavo ecclesiastico o all'uso ‘popolare' serbo, a seconda del tipo di testo e del tipo di pubblico destinatario.

A proposito della prassi scrittoria definita slavenosrpski , quindi, sarà più opportuno, parlare non di una lingua, ma di usi scrittori all'interno del sistema slavo ecclesiastico in evoluzione, di sperimentazioni che seguivano i modelli russi, più o meno tradizionali, per la creazione di nuovi tipi di testi rispondenti a nuove esigenze culturali. L'evoluzione del sistema letterario in senso moderno, con lo sviluppo della poesia, del romanzo, della pubblicistica, del teatro, condurrà alla dissoluzione del modello scrittorio tradizionale, slavo ecclesiastico.(27)

Tanto la continuità nella concezione e nella pratica della lingua letteraria quanto la nuova articolazione del l'uso scrittorio, mutuata dai modelli russi, sono a mio parere chiaramente rilevabili nella produzione serba settecentesca a partire dal periodo successivo alla affermazione dello slavo ecclesiastico ruteno-russo almeno fino agli anni Ottanta, quando fu avviato tra i serbi il dibattito sulla lingua letteraria secondo moduli moderni. In quel periodo, secondo i sostenitori della ‘estraneità' della tradizione slava orientale, sarebbe nato l'ibrido slavenosrpski ,(25) una sorta di 'reazione' linguistica generata dall'assimilazione del modello scrittorio russo compiutasi negli anni Quaranta, reazione rappresentata per eccellenza nell'opera di Z. Orfelin.

Non potendo qui entrare nel merito della prassi scrittoria dei diversi autori serbi settecenteschi, dirò almeno qualche parola sull'opera di Orfelin, senza dubbio uno degli antesignani del grande rivolgimento culturale che avrebbe portato all'inserimento della cultura serba nel panorama europeo.

La chiesa, che continuava a gestire monopolisticamente la cultura, aveva aperto le porte ai libri russi, che avrebbero dovuto preservare la purezza religiosa e linguistica dei serbi di Ungheria. I modelli culturali russi del tempo, però, avevano una portata che andava ben oltre le intenzioni delle gerarchie ortodosse serbe, poiché erano anche veicolo di correnti ideali di stampo illuministico che mettevano in discussione la tradizione ecclesiastica. Nel contesto culturale dei serbi di Ungheria della seconda metà del Settecento, le istanze più progressiste che potessero essere recepite erano quelle che animavano i testi russi dell'età petrina, in particolare le opere di Feofan Prokopovič, che fu un costante punto di riferimento nell'attività di Orfelin.(29)

Pur condividendo l'orientamento verso la cultura russa sostenuto dalla chiesa, Orfelin si muoveva in una direzione ben diversa da quella seguita nelle scuole russe o russificate: egli puntava ad una sempre maggiore secolarizzazione dei contenuti della letteratura, animato da un forte interesse per l'emancipazione culturale del popolo, contro l'arretratezza dell'alto clero che mirava a conservare i propri privilegi.(30) Alla ricchezza delle realizzazioni culturali di Orfelin corrisponde la varietà delle sue realizzazioni linguistiche: il sistema linguistico tradizionale viene sfruttato al massimo delle sue potenzialità, così da rispondere alle nuove esigenze comunicative ed espressive, con una ricerca linguistica che sfocerà nello sviluppo di una concezione nuova, moderna, della lingua letteraria.

Sotto lo stimolo dei modelli russi, che presentavano una chiara differenziazione linguistica (a volte anche esplicitamente motivata da esigenze di volgarizzazione della cultura, come nel caso dell'abecedario di F. Prokopovič), egli realizzò nella sua opera un articolato sistema di ‘modi di scrivere', è difficile dire se come conseguenza di principi retorici appresi dai manuali russi o per semplice emulazione dei modelli e spontaneo sviluppo della sua personale ricerca stilistica.

Nell'opera di Orfelin troviamo un'ampia varietà di usi linguistici: lo slavo ecclesiastico russo delle opere a carattere religioso, la lingua eterogenea, a volte massicciamente popolare, dei componimenti poetici, dei testi didattici o tecnici, il russo letterario della biografia dì Pietro.

Per la sua rilevanza, è opportuno soffermarsi sullo Slavenosrpski magazin (1768) e in particolare sulla celebre introduzione, generalmente considerata come la prima presa di posizione esplicita a favore dell'adozione del serbo quale lingua letteraria, in contrasto con una prassi scrittoria ben lontana da una coerenza in tal senso. Nell' introduzione, l'autore invita i suoi compatrioti a scrivere, sull'esempio degli altri paesi europei (compresa la Russia), nella “propria” lingua, cioè quella “in cui si parla” (p. 5), aggiungendo che nella rivista presenterà testi scritti nella “sua” lingua e in “russo” (p. 11), adattando “alla maniera serba” quello che pensa possa risultare non chiaro per qualche lettore serbo (p. 16).

Prima di trarre conclusioni, è bene considerare con maggiore cautela le dichiarazioni di Orfelin e la sua prassi scrittoria, in questa e nelle altre sue opere, senza fermarsi a facili giudizi di incoerenza tra posizioni teoriche e realizzazioni pratiche.

L'anno precedente (1767) Orfelin aveva pubblicato un abecedario ( Bukvar ), dedicato allo studio dello slavenski (in realtà uno slavo ecclesiastico russificato), in cui l'autore distingue tra slavenski, rossijski e serbski , definendo esplicitamente quest'ultimo “ (prosti) slog “, ‘stile semplice (p. 34). Nella Vita di Pietro il Grande , Orfelin definisce chiaramente lo slavenski una lingua sovranazionale comune a molti popoli, tra cui serbi e russi (p. 15 dell'introduzione). In realtà, la lingua di quest'opera, definita slavenski , è la lingua dotta dei modelli russi: il livello espressivo alto del sistema retorico russo viene presentato come la lingua letteraria comune a serbi e russi, di accettabilità, diremmo oggi, pan—slava ortodossa. In questa prospettiva, quindi, anche il temine rossijski sta ad indicare uno ‘stile' locale, equivalente al serbski slog rispetto alla lingua letteraria sovranazionale ( slavenski ).

Dalle dichiarazioni di Orfelin e dalla sua pratica linguistica risulta che egli fa riferimento ad un articolato sistema linguistico. La lingua ecclesiastica nella variante russa è considerata la lingua della tradizione slava ortodossa, sacra e immutabile, il modello scrittorio per eccellenza che i popoli slavi ortodossi devono preservare e imitare. La lingua dotta della cultura laica russa è una variante stilistica, ossia un livello espressivo (realizzato con l'introduzione di una serie di elementi linguistici locali), dotato a sua volta di una ricca e autorevole tradizione presso i russi. Anche questo livello espressivo alto svolge una funzione sovranazionale e non si caratterizza, quindi come russo, come dimostrato dalla lingua dell'opera storiografica di Orfelin: esso fa pienamente parte del sistema della lingua letteraria dei serbi in quanto membri della comunità linguistica slava ecclesiastica. L'esigenza di divulgazione del sapere spinge poi Orfelin a ricercare un livello d'espressione più basso, tramite il ricorso a forme d'uso specificamente serbe, che porta alla costituzione di ciò che egli chiama prosti serbski slog. Questo prosti serbski slog è un modo di scrivere che rientra pienamente nel sistema slavo ecclesiastico, da cui trae la sua dignità scrittoria, e non è identificabile con alcuna parlata.

Resta da interpretare il riferimento, nell'introduzione al Magazin , ai libri scritti nella lingua in cui si parla. E' possibile che Orfelin facesse riferimento alla lingua della cultura, parlata dalle classi colte e, presumibilmente, ancora fluida, in via di formazione, in una società che doveva superare una grande arretratezza culturale e ancora non godeva di un efficiente sistema di istruzione. Sembra, altresì, certo che lo scrittore, ben informato sulla cultura russa, fosse a conoscenza del dibattito sulla lingua letteraria(32) che in Russia dai tempi di Tred'iakovskij e Adodurov, includeva tra i suoi termini l'orientamento sul parlato.

La mia interpretazione delle concezioni linguistiche di Orfelin trova un riscontro negli studi compiuti da altri specialisti su testi che compongono il Magazin. (34) Per fare solo un esempio, ricorderò un articolo di M. Boškov e P. Piper,(35) che mette in luce l'atteggiamento di Orfelin verso la lingua dei testi russi. Comparando la biografia russa di T. Prokopovič e la versione che ne dà Orfelin, risulta che le modifiche non sanno nel senso della serbizzazione, ma tendono ad armonizzare la lingua del testo con quella del nuovo contesto in cui compare. Orfelin inserisce la biografia in una sezione della rivista intitolata Izvestija o učenych dělach , e passa dallo stile ‘neutro' (non marcato) dell'originale, al cosiddetto stile ‘alto'. In sostanza, l'adattamento ha significato non una ‘semplificazione' stilistica bensì un innalzamento del livello stilistico rispetto all'originale.

In questo caso, l'intenzione di rendere la lingua comprensibile ai serbi si è realizzata con un avvicinamento allo stile alto del modello scrittorio russo, ossia nella direzione della sua slavoecclesiasticizzazione. Siamo quindi di fronte ad un sistema di livelli linguistici molto articolato. Gli stessi Boškov e Piper, dal momento che le caratteristiche qui osservate si ritrovano anche negli altri testi in prosa del Magazin , ritengono si tratti di un insieme definito di invarianti stilistiche, costituenti il flessibile sistema linguistico letterario dell'opera che si articola tra i due poli dello slavo ecclesiastico russo e del russo, da un lato, e del serbo, dall'altro, con la precisazione che né i due poli estremi, il russo e il serbo, né gli altri ‘tipi di lingua' presenti nei testi in prosa del Magazin compaiono allo stato ‘puro'.

La Boškov(36) sostiene la dipendenza delle scelte linguistiche di Orfelin nel Magazin dal tipo di testo e dalla sua destinazione: Orfelin mostra un particolare rispetto dello slavo ecclesiastico dei testi religiosi, intervenendo solo per restaurare arcaismi, mentre rivela un atteggiamento molto più libero nei confronti di testi scritti in ‘russo letterario', del quale non adotta pienamente le norme.(37) In questo caso, infatti, egli lascia intatte alcune caratteristiche che nei testi religiosi invece modifica, serbizzandone però altre per aiutare il lettore serbo, come aveva dichiarato nell'introduzione del Magazin. (38) Pur non avendo a disposizione una tradizione linguistica che gli faciliti una simile operazione, Orfelin mostra chiaramente la consapevolezza che i contenuti laici richiedono una volgarizzazione della lingua.(39) Consapevolezza che, a mio parere, è dovuta tanto al suo ideale di divulgazione della cultura e all'influenza dei modelli russi, quanto al fatto che il sistema slavo ecclesiastico ammetteva da sempre il ricorso a elementi linguistici locali al di fuori della funzione sacrale della lingua o, comunque, in tutti quei casi in cui la creatività linguistica non fosse coartata dal desiderio di attenersi a preesistenti formulazioni testuali.

5. Che l'esperimento della prima rivista serba non abbia avuto fortuna nè séguito per circa un quindicennio, si deve quasi certamente al fatto che la cultura serba del tempo era ancora impreparata a recepire iniziative della portata illuministica auspicata da Orfelin. Egli fu un pioniere in quanto portavoce delle esigenze di volgarizzazione della cultura, e il suo invito a scrivere in qualsiasi modo pur di servire la causa del bene comune era all'avanguardia per i tempi e per il contesto culturale. Tuttavia, la sua pratica linguistica non seguì altro che i moduli della tradizione slava ecclesiastica e modelli ritenuti autorevoli perché considerati i frutti migliori di quella tradizione sovranazionale. Egli cercò cli piegare questa tradizione all'espressione di contenuti ed esigenze nuove.

A partire dagli anni Sessanta, nuove e complesse esigenze culturali spingevano gli intellettuali serbi in Ungheria alla ricerca di nuovi modelli culturali e letterari e, di conseguenza, all'ampliamento dello spettro degli usi linguistici. La vivacità e l'impegno intellettuale di Orfelin lo portarono a sondare e realizzare tutte le possibilità di quello spettro, secondo il modello tradizionale cli differenziazione linguistica che da secoli accomunava le popolazioni slave ortodosse e che permetteva la circolazione dei testi da un capo all'altro di quell'area: invariati, o quasi, i testi appartenenti alla sfera sacrale; sottoposti ad adattamento, con un maggiore o minore apporto dell'uso locale, gli altri. Tuttavia, le componenti della sua ‘lingua' erano ormai convenzioni autonome e mal si adattavano ad essere ridotte a livelli stilistici dell'uso letterario. La prassi scrittoria attuata da Orfelin, pur in accordo con il modello slavo ecclesiastico tradizionalmente aperto ad elementi geneticamente diversi, finisce perciò per distruggere il sistema dal suo interno. La cultura serba, avviata al processo di formazione dell'identità nazionale in senso moderno, avrebbe rifiutato quella commistione di elementi sentiti ormai come eterogenei.

Alla fine del secolo, il moltiplicarsi delle esigenze culturali e l'evoluzione del sistema letterario, con l'assunzione di modelli linguistici molto più articolati rispetto al passato, avevano ormai allargato le maglie del sistema slavo ecclesiastico fino al limite del suo dissolvimento.

* Questo testo è stato originariamente scritto per essere inserito in una miscellanea dedicata a Đorđe Trifunović la cui pubblicazione è stata impedita dagli eventi che hanno travolto la Serbia.

  1. Ricerche slavistiche XLII (1995), pp. 89—102. Servendosi del termine ‘Slavia latina', Tolstoj si riferisce praticamente alla stessa nozione indicata dal termine ‘Slavia romana' (si veda in proposito R. Picchio, “Open Questions in the Study of the ‘Orthodox Slavic' and ‘Roman Slavic' Variants of Slavic Culture”, in Contributi italiani al XII Congresso internazionale degli Slavisti (Cracovia 26 Agosto 3 Settembre 1998. Napoli 1998, pp 1-23). A R. Picchio si deve l'elaborazione delle formule definitorie oggi correnti Slavia ortodossa e Slavia romana , che designano i due macrosistemi in cui si divide il mondo slavo sul piano storico—culturale. La prima menzione della Slavia ortodossa risale al 1958: “‘Prerinascimento esteuropeo' e ‘Rinascita slava ortodossa'”, Ricerche slavistiche VI 1958, pp. 185—199. Per una bibliografia aggiornata al 1985, si veda quella compilata da H. Goldblatt in Colucci, M. — Dell'Agata, G. — Goldblatt H. (a cura di), Studia slavica mediaevalia et humanistica Riccardo Picchio dicata , 2 voll., Roma 1986, voI, I. pp. XXXVII—LIX. Si veda anche la raccolta Letteratura della Slavia ortodossa , Bari 1991. Sulla storia del termine si veda G. Dell'Agata, “Filologia slava e slavistica”, in La slavistica in Italia. Cinquant'anni di studi (1940-1990) , Roma 1994, pp. 11—42, a p. 23. Per una diversa prospettiva, si veda S. Graciotti, “Problemi di terminologia e problemi di idee”, preestratto da Ricerche slavistiche XLV 1998, pp. 1-79 +1-15.
  2. Mi riferisco ai noti studi di A. Mladenović, in parte raccolti in Slavenosrpski jezik. Studije i članci, Novi Sad 1989.
  3. Sulla distinzione tra lingua liturgica e lingua letteraria si veda oltre.
  4. Le mie ricerche sul contesto storico-culturale settecentesco dei serbi di Vojvodina e sulla produzione scrittoria dell'epoca fino agli anni Ottanta sono esposte nella mia tesi di dottorato Problemi di lingua e cultura fra i serbi dell'Impero asburgico dalla fine del XVII secolo all'età di Giuseppe II [Tesi di dottorato in slavistica, Università degli studi di Roma “La Sapienza”, Roma 1996], alla quale rimando per la bibliografia generale e per una dettagliata discussione delle questioni che toccherò in questo articolo.
  5. In realtà, la lingua scritta di tradizione cirillo-metodiana adottata nella Slavia ortodossa veniva definita genericamente ‘slava': dalle origini al XVIII secolo, è diffusa la denominazione slavenskij ( slavenski, slavjanskij , ecc.).
  6. Picchio, o.c., 1991, p. 125.
  7. Ibid., p. 32
  8. Per secoli non si ebbero codifìcazioni normative dello slavo ecclesiastico.
  9. Per chiarezza terminologica, preferiamo non parlare di ‘redazioni' dello slavo ecclesiastico ma di ‘varianti' o ‘tipi' locali (cfr. R. Picchio, “Slave ecclésiastique, slavons et rédactions”, in To honor of R. Jakobson. Essays on the Occasion of his Seventieth Birthday , The Hague-Paris 1967, vol. II, pp. 1527—1544.
  10. Picchio, o.c.. 1991, p. 126 distingue anche nella terminologia slavo liturgico e slavo ortodosso, ma questa distinzione non è entrata nell' uso.
  11. Potevano essere elementi derivati tanto dalla lingua parlata locale quanto da altre varianti regionali dello stesso slavo ecclesiastico: in ogni caso, il loro ‘ruolo' nel sistema era determinato non dalla matrice genetica ma dalla loro funzione stilistico— espressiva.
  12. Picchio, o.c. , 1991, p. 137.
  13. Molti dei contribuiti di Tolstoj degli anni Settanta e Ottanta sono stati ristampati nella raccolta russa del 1988 (lstorija i struktura slavjanskich literaturnych jazykov , Moskva 1988) dalla quale verranno citati. Si veda anche “Literaturnyj jazyk Serbov v XVIII (do 1780)”, in Slavjanskoe i balkanskoe jazykoznanie. lstorija literaturnzch jazykov i pid'mennost , Moskva 1979, pp. 154-197.
  14. Tolstoj riteneva che il fattore essenziale nella scelta linguistica fosse il genere letterario. In un sistema dei generi disegnato come una piramide si aveva un massimo di vicinanza alla lingua dei testi sacri nei generi alti (vicini al vertice della piramide) e un massimo di vicinanza alla lingua parlata nei generi bassi (vicini alla base della piramide): o.c. 1988, pp. 164-173. La qucstione dei generi nelle letterature della Slavia ortodossa è però ancora molto dibattuta (si veda K. Stančev, “Žanr, stil' i modus v srednevekovoj literature pravoslavnych Slavjan. Metodologičeskie i terminologičeskie problemy”, in Contributi italiani al XII Congresso internazionale degli Slavisti ..., oc. , Napoli 1998, pp. 25-60.
  15. Formula introdotta da P.A. Syrku, K istorii ispravlenija knig v Bolgarii v. XIV v. , 2 voll., (reprint) London 1972.
  16. R. Picchio, “‘Prerinascimento esteuropeo' e ‘rinascita slava ortodossa”', Ricerche slavistiche , VI, 1958, pp. 187-199.
  17. R. Morabito, “L'adozione del modello russo fra i serbi d'Ungheria nella prima metà del secolo XVIII”, AION Slavistica , 4, 1996, pp. 51-109.
  18. “Jezička analiza jušnoslovenskih Abagara”, Južnoslovenski Filolog, XLI, 1985, pp. 5-63, p. 60. La Grickat, inoltre, distingue tra ‘mediorussismi' (gli elementi specificamente russi presenti in testi serbi precedenti anche di più di un secolo l'apertura delle scuole russe e dovuti all'influenza dei testi di provenienza slavo-orientale), e ‘neorussismi' (dovuti alla grande ‘influenza' russa del Settecento).
  19. Elementi geneticamente diversi, e quindi slavenosrpski , si trovano in un dizionario tedesco-slavo del 1741, studiato da I. Grickat (“Jedan nemačkoslavenosrpski rečnik - prepis Jovana Rajića iz 1741”. Južnoslovenski filolog, XXIX, 1972-73, pp. 153-188) e V. P. Gutkov (“O poreklu i značaju slavenosrpskog rečnika, prepisanog rukom Jovana Rajića”, Zbornik za filologiju i lingvistiku , XX-2, 1977, pp 21-26). Gudkov osserva che il dizionario, per la sua mescolanza di slavo ecclesiastico, russo e serbo, dovrebbe indurre a modificare la concezione dello ‘slavenosrpski' come lingua ibrida nata per reazione all'affermarsi dello slavo ecclesiasiastico di tipo russo nella seconda metà del Settecento. Questo testo dimostra, infatti, che la mescolanza risale almeno al tempo dei maestri russi, gli anni Venti-Trenta del secolo XVIII.
  20. Gutkov, o. c. , 1977.
  21. La stessa Grickat (“O prevodima Leopoldovih Privilegija”, Južnoslovenski filolog, XLVII, 1991, pp. 45-64) fornisce altri esempi di slavenosrpski ‘precoce', risalenti all'inizio degli anni Trenta.
  22. M. L. Remneva, “Iz istorii cerkovnoslavjanskoj grammatičeskoj normy”, Vestnik MGU, Filologija , 1983-5, pp. 38-4: “Specifika norm cerkovnoslavjanskogo jazyka russkoj redakcii kak literaturnogo jazyka Drevnej Rusi”, in Doklady po problemam jazykoznanija, k Xl Mezdunarodnomu s”ezdu slavistov v Bratislave , Moskva 1993, pp. 3-24. Da questi studi risulta che lo slavo ecclesiastico, pur in assenza di una codificazione nel senso moderno, presenta una regolarità d'uso che permette di distiguere almeno due tipi di ‘norme' slave ecclesiastiche: la prima, rigida e praticamente stabile nel tempo, legata ai testi liturgici: la seconda, ‘più bassa', per i ‘generi letterari' meno legati alla sfera sacrale (la studiosa riprende la visione di N. I. Tolstoj della piramide dei generi letterari), prevede l'utilizzo di elementi della lingua popolare come varianti sinonimiche facoltative. Nel corso del tempo, la norma più bassa, per quanto stabile, subì moditicazioni, come pure il rapporto degli scrittori con la norma stessa, e le varianti cominciarono ad assumere una funzione di differenziazione stilistica.
  23. Remneva, o. c. , 1983, p. 49.
  24. V.M. Živov, “K voprosu o grečeskoj filologičeskoj tradicii v vostočnoslavjanskoj knižnoj srede”, Sovetskoe slavjanovedenie , IV, 1986, pp. 66-75; “Rol' russkogo cerkovnoslavjanskogo v istorii slavjanskich literaturnych jazykov”, in Aktual'nye problemy slavjanskogo jazykoznanija , Moskva 1988, pp. 49-98: “Smena norm v istorii russkogo literaturnogo jazyka XVIII veka”, Russian linguistics , 12, 1988, pp. 3-47: “Prostota' jazyka i ee realizacii: o jazyke knige ‘Statir' (1683-1684 gg.)”, Zbornik Matice Srpske za filologiju i lingvisniku , XXXIII, 1990, pp. 141-153.
  25. Lo stesso Živov parla dell'influenza che la tradizione ibrida russa ebbe sull'evoluzione della lingua letteraria serba, in particolare sulla formazione dello slavenosrpski (V. M. Živov, “Rol' russkogo cerkosnoslasjanskogo…”, o. c ., 1988, p. 79). Lo studioso accoglie la visione di Mladenović, secondo il quale l'esigenza di una più ampia comprensibilità diede luogo negli anni Sessanta alla formazione dello slavenosrpski , la lingua ibrida dello Slavenosrpski Magazin di Orfelin, dell'opera storica di Jovan Rajić e così via. Il criterio funzionale giustamente affermato da Živov, però, non dovrebbe condurre a parlare di influenza russa sul processo di formazione della lingua letteraria moderna presso i serbi.
  26. Allo stato attuale degli studi, si è giunti ad individuare solo una generica ‘tendenza normativa', nel senso di un crescente orientamento verso la lingua popolare (cfr. Mladenović, o. e ., 1989, pp. 93-112). Auspicabili ulteriori studi linguistico-culturali basati sul criterio funzionale potrebbero chiarire le caratteristiche dell'uso scrittorio oggi per lo più denominato slavenosrpski.
  27. La lingua letteraria serba moderna codificata da Vuk nel primo Ottocento si basa su un esclusivo orientamento sull'uso popolare. Tuttavia, lo stesso Vuk, traducendo il uovo Testamento, non poté evitare di ricorrere alle risorse della tradizione slava ecclesiastica. Per molto tempo ancora la lingua della tradizione continuerà a svolgere una qualche funzione modellante anche quando si sarà affermato il volgare serbo, ed elementi slavi ecclesiastici saranno presenti anche in testi del primo Ottocento in funzione di ‘marche di letterarietà'.
  28. Sullo slavenosrpski , sia come termine storico che come problema storiografico, si veda di nuovo la mia tesi di dottorato, Problemi di lingua e cultura… , o. c. , Roma 1996.
  29. M. Boškov, “Zaharija Orfelin i knjiežvnost ruskog Prosvetiteljstva”, Zbornik za slavistiku , VII, 1974, pp. 9-79.
  30. Si veda S. K. Kostić, ‘Orfelinova Predstavka Mariji Tereziji”. Zbornik Matice srpske za književnost i jezik , XIX-1, 1971, pp. 67-129, XIX-2, 1971, pp. 236-288, XX-I, 1972, pp. 92-153: “Orfelin i terezijanske školske reforme”. Zbornik Matice srpske za književnost i jezik , XXI-2, 1973, pp. 119-235.
  31. Ricordiamo che nel celebre Memorandum di Teodor Janković Mirijevski, del 1782, la Cicli Sprache , considerata la lingua parlata dalle classi colte, risulta molto ricca di slavoecclesiasticismi.
  32. E' noto che Orfelin seguiva da vicino lo sviluppo della letteratura e della cultura russe contemporanee (cfr. M. Boškov, “Zaharija Orfelin i književnost ruskog Prosvetiteljstva”, Zbornik za slavistiku , VII, 1974, pp. 9-79, p. 25). Le stesse Ežemesjačnyja sočinenija, che servirono da modello per il Magazin , sembrano essere la fonte da cui egli attinse le idee a favore dell'assunzione della lingua parlata come lingua della cultura in luogo del latino. La Boškov (“Tip Orfelinova Magazina i ruska periodika”, in Zbornik radova Instituta za strane jezike i književnosti , I, 1979, pp. 223-239, p. 233) rintraccia la probabile fonte di Orfelin in un articolo apparso in quella rivista, ipotizzando un diretto collegamento tra le posizioni di Orfelin e il dibattito che aveva portato nel 1767 all'introduzione della lingua russa all'università di Mosca.
  33. Si veda B. A. Uspenskij, Storia della lingua letteraria russa, dall'antica Rus' a Puškin , Il Mulino, Bologna 1993, p. 156 e segg.
  34. Orfelin realizzò la sua rivista attuando una prassi editoriale che andava dalla ristampa quasi letterale di brani russi all'adattamento libero. V. Gudkov (“Osobennosti vosproizvedenija russkich tekstov v ‘Slaveno—serbskom magazine'”, Vestnik MGU, Filologija , 1-1977, pp. 57—69) rileva che anche nell'ambito di singoli testi, l'adattamento era stato non omogeneo.
  35. “Ogled kontrastivne analize teksta u proučavanju jezika srpske književnosti u XVlll—XIX veku”, Zbornik za filologiju i lingvistiku , XXIV 1, 1981, pp. 55—74.
  36. Boškov, o. e ., 1974, pp. 34-35.
  37. Diverso è il caso dell'opera storiografica su Pietro I, in cui l'uso scrittorio di Orfelin è completamente orientato verso i modelli linguistici russi. A questo proposito, la studiosa ipotizza che la mancanza di una tradizione linguistica nell'espressione di contenuti laici, su cui basarsi per la composizione di una grande opera storica, abbia condotto Orfelin ad adottare totalmente il modello linguistico delle fonti storiche utilizzate.
  38. V. Gudkov ( o. e ., 1977, pp. 67-69) nota che il componimento del Magazin più serbizzato rispetto all'originale russo è rappresentato da Dobrodeteli smokvy , una raccolta di ricette medicamentose popolari, sostenendo che in questo caso il procedimento di trasformazione linguistica attuato da Orfelin si può considerare non solo (io direi non tanto) come traduzione, ma come “zameščenie jazyka knižnogo prostonarodno-razgovornym” (p. 69).
  39. E' interessante il caso della traduzione dello Slovo o osuždenii (1764) di Gedeon Krinovskij, sulla cui attribuzione ad Orfelin, però, non c'è accordo tra gli studiosi. V. Gudkov (“O ‘slavenskom' jazyke Zacharija Orfelina”, Vestnik MGU , III-1973, pp. 46-51 ) considera questo testo un esempio di vera e propria traduzione, “iz rossijskogo na slavjano—serbskij”, come indicato sul frontespizio (p. 51). Gutkov afferma che l'originale era scritto in una lingua particolarmente popolare. D'altra parte, A. Albijanić, che attribuisce l'opera a J. Rajić (“Jezička analiza Rajićevog prevoda ‘Propovedi ili Slova o osuždeniji''', Zbornik za filologiju i lingvistiku , XX— I, 1977, pp. 51-61), sulla base di un'analisi linguistica, giunge alla conclusione che, pur prevalendo nettamente l'elemento linguistico popolare serbo, non si tratta di una vera traduzione, bensì di una serbizzazione sul piano fonetico e morfologico nel rispetto della sintassi slava ecclesiastica russa dell'originale. Io credo che, chiunque abbia fatto la traduzione, fosse proprio la veste linguistica popolare dell'originale, il ‘rossijiskij' , ad ammettere, anzi a richiedere, la trasposizione in un altro ‘slog' , altrettanto locale.

Rosanna Morabito, Sul ruolo dello slavo ecclesiastico nella formazione della lingua letteraria serba del XVIII secolo , “AION Slavistica”, 5, 1997-1998, pp. 355-373.

На Растку објављено: 2008-06-23
Датум последње измене: 2008-06-23 06:42:15
 

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