Nikša Stipčević

Tommaseo e la Serbia

 

Durante la vita dello scrittore, la popolarità di Tommaseo nella repubblica delle lettere serbe non sostiene il paragone con quella di due altri protagonisti del Risorgimento italiano, Mazzini e Garibaldi. La messe degli scritti su Mazzini e Garibaldi appare cospicua in confronto con gli accenni all'opera di Tommaseo. Le idee politiche di Mazzini e di Garibaldi coincidevano in alcuni punti con le ideologie dei liberali serbi, il loro attivismo rivoluzionario veniva assunto da canone del moto nazionale tra i serbi. Tommaseo non godeva di una simile notorietà politica negli ambienti intellettuali del Principato e delle provincie austriache, dopo austro-ungariche, dove il moto di unificazione nazionale si faceva sempre più intenso.

Però, alcuni tra i più insigni letterati dell'Ottocento serbo intrattenevano relazioni con Tommaseo; tra gli altri Vuk Stefanović Karadžić, il grande riformatore della lingua letteraria e raccoglitore della poesia popolare, ed il massimo poeta Petar Petrović Njegoš. Jakov Ignjatović negli anni Quaranta dell'Ottocento traduceva le Iskrice di Tommaseo in ungherese[1] Matteo (Matija) Ban, letterato di larga fama nell'Ottocento e di esigua fortuna negli anni avvenire, ebbe relazioni con Tommaseo e l'alone dell'onnisapienza di Tommaseo rischiarava in alcuni momenti la facile penna di Ban. Delle loro relazioni diremo in seguito.

Ma non ci siamo proposti di esaminare tutti i rapporti dei letterati serbi con Tommaseo, discorso ancora da affrontare, benché i punti di contatto siano stati già individuati e analizzati.[2] Vorremmo passare in rassegna quegli accenni al Tommaseo nei quali lo scrittore venne trattato come scrittore serbo.

Il primo a includere Tommaseo in un'analisi articolata della letteratura serba fu Stojan Novaković (1842-1915), il futuro statista, valente filologo e storico, che nel 1871 annovera Tommaseo con le sue Iskrice tra gli scrittori serbi.[3] Le Iskrice sono, per il Novaković, «una catechesi di lingua, amor patrio e amor per la nazione, che a suo tempo si lesse moltissimo». La fama di Tommaseo, scrittore «illirico» ed esegeta della poesia popolare serbo-croata, fece inserire il nome di Tommaseo nel Pomenik di Milan Đ Milićević (1831-19O8),[4] dizionario biografico che acquistò fortuna presso il pubblico letterario della fine dell'Ottocento. Milićević rileva il fatto che «la nostra letteratura ha del Tomašić soltanto 33 scintille, le quali lo fanno meritevole di nostra memoria e ricordanza».[5] Ma il vero punto di partenza a questo «momento serbo» nella fortuna dell'opera del dalmata fu contrassegnato dalla preparazione della quinta edizione delle Iskrice, incominciata nel 1897 per la «Srpska književna zadruga» («Comunità letteraria serba»), la società letteraria, promossa nel 1892, vivente tutt'oggi. Ma ancora nel 1892, presentando al pubblico il piano editoriale ed enumerando gli scrittori le cui opere avrebbero dovuto essere pubblicate, il consiglio direttivo della «Srpska književna zadruga» menzionò il nome di Niccolò Tommaseo.[6] Il piano editoriale ed il proposito di includere Tommaseo tra gli autori della letteratura serba si dovevano a un nutrito gruppo di uomini di cultura e letterati, tra cui spiccavano le personalità del nominato Stojan Novaković, presidente della società, Jovan Jovanović Zmaj, poeta e vicepresidente della società, e Ljubomir Jovanović, segretario. Sarà utile notare che le ascendenze culturali di Stojan Novaković e di Jovan Jovanović Zmaj risalivano alla «Ujedinjena omladina srpska» («La Gioventù serba unita» - «Giovine Serbia»), associazione di forte ispirazione mazziniana e risorgimentale.[7] Jovan Jovanović-Zmaj fu il poeta nella cui opera fu sempre presente l'istanza politica, quella che lo condusse a scrivere una commovente poesia per la morte del Mazzini (1872). L'enunciata idea di pubblicare nelle edizioni della nuova società l'operetta del Tommaseo, nel quadro editoriale dedicato alla letteratura serba, tardava però a realizzarsi. L'occasione sj presentò quando nel 1897 Danilo Petranović, sebenicense, cultore di patrie lettere ed ammiratore del Tommaseo, inoltrò al consiglio direttivo della società la proposta di pubblicare le Iskrice. Petranović aveva rinvenuto nella biblioteca della Comunità serbo-ortodossa di Sebenico il volume delle Iskrice annotate dalla mano del Tommaseo. L'autenticità della scrittura venne attestata da due altri fernenti sacerdoti del culto tommaseiano — Paolo Mazzoleni e Vincenzo Miagostovich.[8] L'intento di Petranović era suffragato da motivi polemici, da rivendicazioni di origine non soltanto nazionale, ma anche nazionalistica, motivi in contrasto con le tesi già esposte da Ivan Milčetić,[9] il quale voleva addurre prove di una croaticità' di Tommaseo. Petranović, al contrario, voleva documentate una ‘serbicità' di Tommaseo, basandosi pure sulle note simpatie del Tommaseo verso il popolo serbo. Tommaseo in questo caso veniva strumentalizzato da due giovani nazionalismi venuti in urto, a quei tempi, anche in altri campi della cultura. La proposta di Petranović venne filtrata dall'accorta coscienza storica del gruppo direttivo della «Srpska književna zadruga», la quale affidò allo scrittore Simo Matavulj (1852-1908), novelliere e romanziere, membro dell'Accademia serba delle scienze, di origine dalmata e di orizzonti culturali mediterranei, il compito di risistemare la prefazione alle Iskrice, scritta già dal Petranović.'[10] Nella prefazione redatta da Matavulj, e forse interamente riscritta, benché sempre firmata da Petranović, non trasparve l'intento polemico di Petranović, e il libro venne licenziato alle stampe.[11] Benché il gruppo direttivo della «Srpska književna zadruga» non avesse sposato le tesi di Petranović, nella coscienza letteraria della fine del secolo s'insediò l'idea di un Tommaseo scrittore appartenente alla letteratura serba. E l'idea ebbe lunga vita. Dando ragione del lavoro editoriale effettuato nell'anno 1898 all'assemblea annuale della Società il consiglio direttivo della «Srpska književna zadruga» così giudicò le Iskrice:

Le Iskrice appartengono ad uno scrittore, il quale, benché non influenzato direttamente da Vuk Karadžić, fu prodotto, si può dire, di un ampio moto europeo della prima metà del nostro secolo. Tommaseo, che la vita aveva alienato dalla nazione, scrive l'unico suo libro in materna lingua serbica, del tutto in conformità allo spirito dei principi di Vuk Karadžić. Questo libro, che Tommaseo volle vedere stampato in lettere cirilliche, e invano (perché, non completo, pubblicato nella ‘Podunavka' del 1844), appare per la prima volta accessibile, per l'alfabeto, alla grande maggioranza dei lettori serbi. Il libro riveste un duplice interesse: storico, perché ci è, da una parte, esempio originale di quella letteratura italiana del primo Ottocento che preparò sì potentemente l'unione nazionale italiana; dall'altra, esso ebbe, nei paesi occidentali del nostro popolo, per trent'anni interi, grandissima influenza sul ceto colto della nazione. E suscita pure interesse nei contemporanei, ché appartiene a quegli scritti, sia pure di piccola mole, i quali debbono restare eredità durevole delle generazioni avvenire. [12]

In queste parole possiamo intravedere i moventi della quinta edizione delle Iskrice, la sua ragione culturale.

Alcuni anni dopo, Marko Zar (Car, in serbo) (1859-1953) le cui prime prove letterarie risalgono agli anni Ottanta dell'Ottocento, scrive un articolo sotto il titolo Niccolo Tommaseo di fronte al popolo serbo [13] nel quale illumina ed esamina le dichiarazioni del Tommaseo sul popolo serbo, sulla poesia «illirica» e sulla lingua che Tommaseo con assidua pertinacia andava imparando.[14] Marko Car ristampò, con alcune modificazioni il saggio nel libro Le mie simpatie. [15] Conoscitore dell'opera tommaseiana, italianeggiante di spirito e di cultura, Car non esprime giudizi dai quali si possa desumere che lo scrittore voglia collocare Tommaseo nella letteratura serba.

Riprende il nome di Tommaseo Jovan Grčić (1855-1941) nella sua, oggi quasi dimenticata, Storia della letteratura serba, [16] collocandolo nella cerchia degli scrittori «illirici» in Dalmazia. Nelle Letture aggiunte alla Storia, Grčić riporta la prefazione alle Iskrice e le Scintille IX e NV.[17]

La consacrazione di Tommaseo come scrittore serbo fu fatta da Jovan Skerlić (1877-1914), fecondissimo critico e storico letterario, che esercitò in una parte della cultura serba la funzione di egemone letterario e spirituale. Nella seconda edizione, non scolastica, della sua Storia della letteratura serba moderna, [18] opera di ampio respiro e di giudizio perentorio, Skerlić include definitivamente le Iskrice e il loro autore nella letteratura serba:[19]

Come Mihailo Vitković, serbo di nascita ed ungherese di cultura, appartiene alla letteratura serba ed alla magiara, così pure Niccolò Tommaseo, serbo di nascita ed italiano di cultura, appartiene all'una e all'altra letteratura. Ambedue si impegnarono in maggior misura ed acquistarono rinomanza considerevole nelle letterature straniere, e con opera di minore e piuttosto esiguo rilievo contribuirono alle lettere della loro lingua materna.[20]

Dando una succinta biografia della movimentata vita di Tommaseo, ed accentuando il desiderio dello scrittore di incivilire l'amata popolazione dalmata, Skerlić prosegue: «Tommaseo è uno scrittore eloquentissimo, e d'uno stile elevato ed aulico. L'ispirazione lirica in Tommaseo è molto forte ed in alcuni punti lo scrittore raggiunge le altezze dell'eloquenza biblica e crea nel lettore profonda impressione».[21] Skerlić menziona inoltre le traduzioni della poesia popolare serba e lo scritto Dei canti del popolo serbo e dalmata e sottolinea l'identità di pensiero tra Vuk Karadžić e Tommaseo, sostenendo che Tommaseo aveva elaborato in modo profondamente coerente la dottrina romantica sulle relazioni tra la poesia popolare e la letteratura scritta. Nello studio La gioventù e la sua letteratura; studi sul romanticismo nazionale e letterario presso i serbi [22] Skerlić aveva per primo indirizzato la ricerca sui rapporti intercorsi tra l'associazione della «Giovine Serbia» («Ujedinjena omladina srpska») e le associazioni mazziniane, intravvedendo, con occhio critico particolarmente acuto, non del tutto esplicitamente a causa delle ancora poco approfondite ricerche, l'affinità dei due moti romantici, l'italiano e quello serbo: l'idea romantica collegata alle fortissime spinte di liberazione nazionale, l'istanza letteraria confondentesi con quella politica. Se in Italia «nell'Ottocento, anche nei poeti apparentemente più distratti, la poesia ha sempre un attaglio preciso con la vita strettamente attuale, da intendersi appunto come politica, impegno, più o meno cosciente, della propria sensibilità storica alle esigenze vive del momento»,[23] in Serbia si verificò un fenomeno simile per quasi tutto l'Ottocento. A Skerlić l'eminente ideologo dell'idea unitaria presso gli Slavi meridionali, alle soglie del Novecento, quando il fermento dello jugoslavismo unitario si andava propagando per diffusione capillare in Serbia ed in Austria-Ungheria, parve paradigmatica la situazione risorgimentale italiana. E non fu solo a invocarne l'esempio. E colse i nessi di rassomiglianza, quantunque in una situazione storica del tutto diversa fosse anacronistico stabilire nessi di riferimento tra le due epoche. Benedetto Croce aveva forse ragione (nella sua epoca!) quando diceva che dopo il 1870 il principio di nazionalità «passò fra le utopie, sicché o non se ne parlava più tra le persone serie, o se ne sorrideva, talora con malinconia come di un ingenuo sogno giovanile svanito, tal'altra beffardamente come di una idea puerile».[24] Ma nei paesi jugoslavi quest'idea era ancora vigente e permeava del suo vigoroso affiato anche quelle anime che erano informate, in altre regioni dell'essere, da correnti intellettuali del tutto estranee al romantico principio di nazionalità. Questo principio, non realizzato ancora nell'area dei Balcani, incideva, in senso positivo come in quello negativo, sugli animi dei promotori dell'unificazione jugoslava. E faceva loro commettere degli errori di valutazione; e contribuì in qualche caso a fuorviare il nostro Skerlić.

L'autorità di Skerlić, e del gruppo intellettuale organico (in senso gramsciano) a cui apparteneva, ha influenzato molti filoni culturali. Ed il suo reciso e deciso giudizio sull'appartenenza di una parte dell'opera tommaseiana alla letteratura serba aveva permesso anche alla redazione della «Biblioteca degli scrittori serbi» («Biblioteka srpskih pisaca»), presieduta da Vladimir Ćorović (1885-1941), noto storico e professore universitario, di includere le Iskrice di Tommaseo nella serie.[25] L'opera fu pubblicata nel 1929. Fu il punto di chiusura della stagione piuttosto lunga di presenza del Tommaseo nella storiografia della letteratura serba. Il curatore dell'edizione Vasa Stajić (1878-1947), letterato e storico di Novi Sad, premise al testo delle Iskrice un'introduzione sotto il titolo Niccolò Tommaseo come letterato serbo. [26] Già il titolo è esplicito; nel testo si illustrano, con larghe citazioni, le idee del Tommaseo sugli slavi, «illirici», serbi, ed il complesso delle idee tommaseiane slavo-dalmate, non sempre ricuperate dallo stesso Tommaseo nel corso dello svolgersi del suo caustico pensiero.

Le pregiudiziali della lingua e della razza, come caratteristiche formanti e determinanti la nazione, operarono efficacemente nel far considerare Tommaseo, con le sue Iskrice, come scrittore serbo (in altra sede - croato). Quest'idea sulla lingua, persistentemente presente nell'Ottocento, diventò un senso comune che faceva capolino ogniqualvolta il principio di nazionalità veniva assunto a chiarire complicati fatti storici. Il fatto che Tommaseo avesse scritto le Iskrice in serbo-croato era decisivo per quelli che volevano dichiararlo serbo o croato. La filologia e l'indagine storica non avevano ancora mostrato quale difficile gestazione ebbero le Iskrice. L'indagine di Mate Zorić, già citata, serve oggi a confutare i pregiudizi che avevano creato il mito di un Tommaseo scrittore serbo o croato. Si dimenticava di considerare in proposito la moda romantica e risorgimentale di scrivere in altre lingue, e di prendere in esame la tendenza di Tommaseo a scrivere in greco o in francese. Personalità letterarie di molto minor rilievo, protagonisti pure del Risorgimento italiano, fecero tentativi simili, e ci riuscirono. Un corrispondente del Tommaseo, Marcantonio Canini, figura interessantissima, disgraziatamente dimenticata e sottovalutata, scrisse opuscoli in greco moderno ed in rumeno. E se ne vantava. Anche con Tommaseo. Negli stessi testi del medesimo Tommaseo si possono trovare dei passi dove tratta del proprio bramato plurilinguismo. A prova, ne citiamo uno, dal Dizionario estetico (ed. Reina, del 1852, p. xii): «Io, dall'origine e da' casi posto in sul confine di genti diverse, appresi a non disprezzare nessuna, e così nessuna ammirare servamente. Nato tra Italia e Grecia, dimorato in diverse e non somiglianti nè amiche regioni d'Italia; per qualch'anno in terra francese ed in terra greca; amai le due lingue d'Italia e i suoi vani dialetti; la francese, la greca, la serbica, amai d'amore non dotto ma docile, e riverente al senno divino il qual si nasconde più mirabile nelle lingue de' popoli semplici che nelle favelle de' culti. E, bene o male, le scrissi, pur per prova d'affetto fraterno alle quattro nazioni, e per consolare nelle diverse loro glorie il pensiero».

Tommaseo inoltre aveva una qualità particolare, che oltrepassava i limiti della moda romantica. La sua facoltà di maneggiare la lingua, come materia da forgiare e da sperimentare, è stata messa in luce recentemente dai critici contemporanei, provveduti di strumenti critici che ci hanno reso sensibili in maggior misura anche al travaglio linguistico di Tommaseo. Ed il travaglio suo si fa palese in ogni frase, quasi in ogni minuta del suo copioso epistolario. Aveva Tommaseo quella sensibilità linguistica caratteristica, ed anche questo ci viene insegnato dalla nuova scienza del linguaggio, ad ambienti bilingue, nei quali il valore del significante viene percepito con acuto senso dei distinti linguistici. La rilevata sensibilità linguistica di Tommaseo venne sentita (in senso negativo, però) anche da Cattaneo nel lontano 1840 quando nella ancor oggi chiarificatoria recensione a Fede e Bellezza affermava: «Questa profonda e quasi fatale preoccupazione della lingua assedia poi lo scrivente in tutto il corso della sua fatica, e gli tarpa i voli dell'immaginazione, e gli congela i fervori dell'affetto, e gli disfiora ogni freschezza e naturalezza di modi».[27] Lo «spinaio di voci ruvide e strane e pazze», rammentato da Cattaneo a proposito di Fede e Bellezza, ci richiama l'attenzione su un Tommaseo fabricator verborum armonizatorum di dantesca memoria. E Tommaseo aveva davvero un'attitudine quasi dantesca nei confronti del linguaggio, lo possiamo vedere lontano seguace di quell'estetica «materiologica» da Rosario Assunto recentemente, e felicemente, evocata. La creazione di parole armonizzate era costante impegno del Tommaseo, tanto in italiano, quanto in altre lingue da lui sperimentate. L'armonia la voleva cogliere anche nelle frasi serbo-croate delle sue Iskrice, e ne voleva trovar ragione nello studio Sul numero e in tanti altri scritti suoi. Il vero motivo dell'uso delle altre lingue nell'arte dello scrivere di Tommaseo bisogna cercarlo nel nucleo stesso della sua poetica.

Non bisogna però obliare il grandissimo contributo, dato da Tommaseo proprio con le Iskrice, a creare il sentimento della dignità nazionale presso i serbi nella Slavia prequarantottesca. L'esempio delle Iskrice, proprio con quel tono profetico sentito da Skerlić, giovò immensamente alla strada aperta da Vuk Karadžić.

La presenza di Tommaseo nella storiografia nazionale serba oggi può apparirci strana. Ma aveva, però, le sue ragioni storiche ben concrete. Ed oggi ci risulta come parte di una stagione culturale che pure deve inserirsi nella storia del pensiero e dell'opera di Tommaseo.

INCONTRO DI BAN COL TOMMASEO

Il giudizio perentorio di Jovan Skerlié aveva relegato Matija Ban nella cerchia delle anime triste di coloro che per lungo tempo vissero senza lode dei posteri letterari.[28] Skerlić trovò e giudicò i versi del Ban «convenzionali o compassati» e i drammi storici del Ban denunciavano, a suo giudizio, «scarsa ispirazione, povera immaginazione, carenza di sentimento, psicologia superficiale» ed egli rilevava il fatto che Ban era morto (nel 1903) del tutto dimenticato. Per decenni gli scritti del Ban venivano consultati soltanto dagli storiografi indaganti l'azione cospirativa e politica dello scrittore, azione che il Ban svolgeva con vera passione politica e perseveranza ostinata. Negli ultimi tempi, però, le indagini si muovono anche verso l'opera letteraria di Matija Ban[29] e il suo indefesso lavoro culturale.[30] Nell'ambito di questo risorto interessamento vorremmo gettare un po' di luce su un breve ma significativo incontro di Ban con Tommaseo.

Lasciando, a causa di un amore non corrisposto, la natia città di Dubrovnik (Ragusa), Matija Ban si rifugiò in Oriente, a Colchi, e poi a Costantinopoli e a Bursa, insegnando lingua italiana nella pittoresca città. A Costantinopoli, dal 1841, si trovava Michał Czajkowski, emissario dell'Hôtel Lambert di Adam Czartoryski. Nei circoli dell'emigrazione polacca a Costantinopoli, Matija Ban ebbe certamente modo di apprendere le idee sulla solidarietà slava, di venire a conoscenza della cospirazione internazionale condotta dall'emigrazione polacca. E Ban non abbandonò mai l'idea di cospirare. Ivo Tartalja aveva messo in evidenza l'identità di vedute tra l'influente emissario di Czartoryski, M. Czajkowski, e Matija Ban circa il disegno di affidare alla Serbia il ruolo di unificatrice della Slavia meridionale.[31] Prima di lasciare Costantinopoli, ventiseienne appena, il Ban aveva maturato una già salda fede politica, da attuare negli anni avvenire. Il 1 agosto 1844, prima di recarsi a Belgrado, scriveva, in italiano, al fratello Giorgio:

È il sentimento della nazionalità slava, corroborato in me da letture che feci, ed esaltato dalle mie meditazioni solitarie di Coichi e Brusa. La Serbia, principato nuovo e libero, in cui si parla la stessa lingua che a Ragusa, è destinata a essere il centro dei Slavi meridionali. Ivi meglio che in qualunque altro luogo si può travagliare per il successo di questa grande idea, ed io voglio consacrarle la mia vita.[32]

La formazione dell'agenzia polacca a Costantinopoli avvenne al tempo dell'esilio in questa città dei «costituzionalisti» («ustavobranitelji») serbi, tra cui Avram Petronijević e Toma Vučić Perišić. Vučić e Petronijević erano pure in contatto con gli emigrati polacchi. Czajkowski cercava di persuadere i capi dei «costituzionalisti» del pericolo rappresentato per la Serbia da Russia ed Austria, tentando di sottrarre la Serbia all'influenza delle due potenze.[33] Si può tener per certo che Matija Ban a quei tempi fosse informato delle intese tra i polacchi e i capi dei «costituzionalisti» e, forse, partecipasse ai loro colloqui. Dopo la deposizione del principe Mihailo Obrenović (1842), consolidato il potere dei «costituzionalisti», regnante il principe Alessandro Karađorđević, Matija Ban nell'agosto del 1844 venne a Belgrado, dove si impegnò subito a trovare adepti per un'azione di liberazione degli Slavi. Nel 1844 si formò la Società segreta democratica panslava, e i suoi membri prestarono il giuramento alla fine dell'anno. Ne facevano parte: Janko Šafarik, František Zah, (emissario di Czartoryski a Belgrado), Stevan Hrkalović, Pavao Čavlović, Toma Kovačević, Miloš Popović, Milan Davidović e Matija Ban.[34] La società si propose l'obiettivo di «estendere l'orizzonte del pensiero nazionale e fare della Serbia il corifeo degli Slavi meridionali».[35] L'attività della società coincideva con le mire di Ilija Garašanin, il più lungimirante dei «costituzionalisti», che, su basi proposte da Czartoryski, elaborava il suo «Načertanije». Con la formazione della società segreta ebbe inizio quell'attività clandestina che sarebbe stata «la protagonista di tutti i movimenti insurrezionali degli anni successivi», come giustamente nota Angelo Tamborra.[36]

Nell'atmosfera di fervente nazionalismo e delle cospirazioni di stampo mazziniano l'istanza culturale aveva grandissima importanza, non sempre valutabile a più di cent'anni di distanza. Il «piccolo panslavismo» di impronta jugoslava era molto sensibile ai segni di affermazione del diritto slavo e della cultura slava che venivano dall'Occidente. Si guardava all'Europa «dei popoli» dalla quale si attendevano aiuto, comprensione e conforto. Le notizie sull'affermarsi della cultura slava in Occidente abbondavano nelle pubblicazioni periodiche di quegli anni, come negli anni successivi, e si traducevano opere che spiegavano al mondo occidentale le intricate vicende storiche degli Slavi. Lo stesso Ban aveva tradotto nel 1845 un sunto dell'articolo di Cyprien Robert, pubblicato nella «Revue des Deux Mondes» nel 1844. L'attività di Tommaseo in quegli anni coincideva con il moto di risveglio politico e culturale della Serbia. Non possiamo dubitare che la sentita invocazione delle Iskrice, pubblicate a Zagabria nel 1844, avesse avuto viva eco anche negli arnbienti di Belgrado. In particolar modo la terza scintilla doveva colpire gli animi dei giovani cospiratori della società segreta panslava:

Vorrei mi si rivelasse fino in fondo, Nazione slava, il tuo spirito sconosciuto: vorrei ciascuna parola comprendere della varia tua voce, e teco ragionare come l'uomo ragiona con la sua donna amata. Quanti sono che ben ti conoscono di que' che ti parlano? Quanti misurano giusto le debolezze tue e le tue forze? Pensa, come aiutarti potranno! Se non si vede di dove comincia la piaga e sin dove va, come farne la cura? A ossen'are queste piaghe e curarle, gran cuore richiedesi e grande amore. Trattarle conviene agile mano e leggiera; e, il corpo del Redentore stesso onorare nel corpo malato.

Non è colpa tua, nazione infelice, se nell'ignoranza ti passa la vita; si avverrebbe alle forti e belle tue membra più monda veste; ma colla veste non si muti il sentire; e camicia più pulita non copra anima sudicia.

E anche bene conoscendoti, nazione diletta, non potrei tutto esprimere quel che veggo, nè sentire te interamente. Non potrei, nè son degno, mostrare a tante anime la verità salvatrice. Talora i tuoi mali ripenso, ma non quanto dovrei li compiango. Tutte dinanzi agli occhi non ho le tue piaghe; non m'è dato essere del tuo corpo parte viva. Dammi, o Dio, che tutti gli umani dolori facciano nella mia anima una grande armonia; che i più forti io senta più a fondo, meno i minori; che a questo mare di lagrime le mie si confondano fraternamente.[38]

Nella lontana Sant'Andrea, cittadina serba nei pressi di Buda, Jakov Ignjatović, che nel 1844 aveva tradotto le Iskrice in ungherese dalla prima edizione di Kukuljević, ebbe poi a notare nelle sue memorie: «Un mondo nuovo mi si aprì. Da queste Iskrice mi si allargò una cerchia nel pensiero e nel cuore. Cominciai a riguardare intorno, a pensare che il Serbo non è solo, isolato, anche se coll'impero di Dusciano, ma che ci sono altre schiatte affini, e tribolate, le quali gli stessi interessi, lo stesso fine hanno. Da quell'istante ritenni Tommaseo un apostolo, un santo».[39] E possiamo essere sicuri che anche Matija Ban nel 1844 lesse le Iskrice di Tommaseo, poiché nella cerchia della Società segreta panslava le Iskrice erano conosciute. MiIo Popović, membro della società, le lesse nel 1844 e le trasmise ad un amico il quale «ne aveva urgentissimo bisogno».[40] Anche il titolo delle Iskrice fece fortuna. Matija Ban già nel 1844 cominciò a scrivere le Iskrice moralne (Scintille morali) avendo l'intenzione di pubblicarle per ammaestramento etico della gioventù. Ma le diede alle stampe soltanto nel 1852, nell'annuario «Dubrovnik».[41] Le Scintille morali del Ban trattano dell'amor patrio, dell'amore per il popolo e per l'umanità (domoljublje, narodoljublje i čovekoljublje), del tradimento, della prudenza (opaznost) e della moderazione (umerenost). Non vi si può riscontrare un'influenza stilistica del Tommaseo, essendo Ban del tutto refrattario all'invadente lirismo del Tommaseo, ma l'intento educativo è simile. Il titolo ovviamente piacque allo scrittore raguseo e nello stesso fascicolo del «Dubrovnik»[42] si possono leggere le sue Iskrice povjestničke (Scintille storiche), [43] bozzetti storici raccontati in chiave moraleggiante, e scelti dalla storia ragusea, polacca, russa, slava in generale. Un'influenza del titolo tommaseiano, mediata tramite gli scritti del Ban, si può riscontrare anche negli scritti di Đorđe Natošević (1821-1887), direttore del liceo serbo a Novi Sad e sovrintendente di tutte le scuole serbe della Vojvodina. Natošević pubblicò nella «Sedmica», supplemento settimanale del «Srbski dnevnik» di Novi Sad,[44] una sequela di Iskrice sulle donne e sul matrimonio.

Tramite Ivan Kukuljević-Sakcinski, col quale mantenne una nutrita corrispondenza.[45] il Tommaseo riceveva il giornale clandestino «Branislav», che si stampava a Belgrado (1844-1845).[46] E probabile che l'esempio del «Branislav» gli avesse dato l'idea di stampare le Iskrice a Belgrado; in una lettera a Kukuljević, essendo esaurita la prima edizione, Tommaseo auspicava che le Iskrice venissero stampate in Serbia,[47] avendo forse in mente le difficoltà incontrate con la censura dalla prima edizione di Zagabria.[48] Ma la desiderata edizione belgradese non poté attuarsi. Ed oggi ci sfuggono le ragioni del fatto. Janko Šafarik, membro del gruppo panslavo, in una lettera al Kukuljević, si lamentava anche del censore di Belgrado, sia pur lodando il principe e il governo.[49]

Matija Ban stabilì un contatto diretto col Tommaseo soltanto nel luglio del 1847. Jovan Gavrilović (1796-1877), caposezione del ministero delle finanze del Principato, ebbe l'incarico di intraprendere un viaggio in Italia «per studiare lo stato dell'agricoltura e del commercio».uo Cogliendo l'occasione del viaggio di Gavriović, Matija Ban scrisse a Tommaseo la seguente lettera:[51]

Signore.

Da lungo tempo io le rendeva nel mio cuore quelli omaggi che al di lei merito rende tutto il mondo letterario, ed in particolare poi ogni cuor dalmato. Godo ora della presentatamisi occasione di poter portare a sua conoscenza tali miei sentimenti, a dargliene un lieve contrasegno nell'offrirle il primo fascicolo d'un'opera periodica cui, credendo più che altra mai necessaria alla nostra nazione, ho intrapreso a scrivere di preferenza.

Il latore del medesimo sarà il Signore Giovanni Gavrilovich. capo del dipartimento delle nostre Finanze, uomo per cognizioni, onestà e patriottismo degno di una verace stima. Prima di muovere per il viaggio d'Italia, che intraprende per studiarvi lo stato dell'agricoltura e del commercio, sapendo lei a Venezia, e desideroso di farne la conoscenza, venne a me, come a Dalmata, domandar uno scritto introduttorio. Sebbene ignorato da lei, io non esitai un solo istante a rilasciarglielo, perché me lo dettava quel medesimo sentimento che a lui lo faceva domandare, cioè un'alta stima verso Vossignoria; e l'identicità di sentimenti nobili, molto più poi di sentimenti patriottici toglie ogni distanza, ogni ritegno di minuta etichetta, rannoda ed affratella persone le più straniere una dall'altra.

Mio desiderio sarebbe di mandarle egualmente i fascicoli che ulteriormente esciranno alla luce; onde, qualora l'umile mio presente non le riuscisse discaro, la prego d'indicarmi per quale sicura via potrei farglieli tenere. La sua risposta potrebbe ricevere il medesimo signor Gavriovich quando di ritorno passerà per Venezia.

Se non che anche di un'altra grazia sarei per pregarla. Io non mi dissimulo nè l'insufficienza per un'opera di simile natura dell'età mia, che appena esce di giovanezza, né l'importanza dell'incarico che mi sono addossato. Questa opera esigge svariate cognizioni, e particolarmente esperienza degli uomini e della società; bene diretta, essa che promette fin dal suo cominciamento di diffondersi abbastanza nella nazione, vi potrebbe produrre non poco bene. Ho consultato perciò varie persone istruite, ma non ne ottenni che lode, ed invece io cerco una critica che mi illumini. Tale me la posso promettere da lei? L'amor suo noto per ogni nazionale progresso non me ne fanno dubitare, ed io oso dirglielo francamente, l'attendo. Unitamente a questo fascicolo le invio il piano dell'opera intera: giudichi il primo ed il secondo; quello potrà chiarirla come sarà eseguita questa. I di lei consigli contribuiranno moltissimo a migliorarla, ed ella si avrà la mia gratitudine non solo, ma quel che molto più vale, l'intema soddisfazione di avere anche indirettamente giovato ai suoi.

La franchezza con cui io venni a domandarle un favore, ch'ella non potrà fare senza suo disturbo, né sembrerà strana, nè offenderà lei, che è vero Dalmata di cuore; egli è col cuore in mano che noi sogliamo parlarci un all'altro.

Aspettando dunque la bramata risposta, e offrendole in contraccambio ogni fattibile servizio in Belgrado, ho l'onore di salutarla, e sono di sua Signoria

Belgrado li 8 luglio 1847

Devotissimo Servo

Matteo Ban

«Il primo fascicolo d'un opera periodica» che Ban inviò a Tommaseo era «L'Educatore femminile»,[52] di cui uscirono tre fascicoli nel 1847. In quegli anni Ban era precettore delle figlie del principe Alessandro Karađorđević e per illuminare la prole principesca lo scrittore aveva intenzione di preparare una silIoge di testi educativi comprendente la storia universale, quella degli Slavi e dei Serbi, letterature slave, un po' di geografia e di costume, e testi sulla mitologia.[53] Tommaseo dovette ricevere Jovan Gavrilović, il latore della lettera del Ban e del fascicolo de «L'Educatore femminile», in piena estate del 1847. Il dalmata stava passando un brutto e convulso periodo, sentendosi estraneo a Venezia, dominata dagli Austriaci, in quei mesi febbrili quando si andavano preparando i grandi avvenimenti del ‘48, ai quali Tommaseo avrebbe partecipato con tutto il suo conosciuto fervore. Proprio in quei mesi scriveva a Pacifico Valussi: «Vivo in Venezia come paese nemico e come in carcere guardata da sbirri, e da spie, e da giudici, indovini e creatori del male, calunnianti ex officio». [54] In settembre, Tommaseo doveva assentarsi per tre mesi da Venezia, andando prima a Firenze e poi a Roma. Il 18 gennaio 1848 entrò nelle carceri austriache e vi rimase per due, duri, mesi interi. Tommaseo ricevette per la seconda volta Jovan Gavriović, certamente alla fine d'agosto, consegnandogli, come gli aveva consigliato Matija Ban, la risposta. Nell'Archivio dell'Istituto storico di Belgrado, dove si conservano le carte del Ban, non si trova la risposta del Tommaseo. Ma la minuta della lettera di risposta al Ban venne conservata dal Tommaseo stesso.[55] Essa è uno dei tanti esempi d'ammaestramento che Tommaseo prodigava ai suoi corrispondenti. Lo scrittore del libro Della Educazione (1836), in cui si discorre anche dell'educazione delle donne, colse l'occasione per porgere a Ban dei consigli di giornalismo, sempre pronto, com'era, a provvedere di consigli gli editori di giornali. Nel «disordine endemico» dell'opera tommaseiana,[56] nel carteggio, nelle diverse edizioni del Dizionario estetico, si trovano parecchie pagine di avvertimenti agli editori di pubblicazioni periodiche.[57] La lettera a Ban, inedita, è dello stesso genere:

Al S. Matteo Ban - Belgrado

Grazie e dell'avermi fatto conoscere il signore Gavrilovich, degna persona; e del gentile suo dono. Gradirò gli altri fascicoli, i quali Ella potrà far giungere al signor Vladisavljevich a Trieste. Godo ch'ella possa in Serbia onorare il nome Dalmatico, e la modestia sua mi porge speranza di esito buono. Giacch'Ella richiede il mio qualsiasi parere intorno all'utile impresa, Le dirò con la sincerità ch'era propria della nostra nazione, che il disegno mi pare lodevolissimo; che quanto all'operazione amerei più severa la scelta de' racconti, delle notizie, de' preccetti. Gli esempii patri son da preferire agli estrani; e gli esempi generosi agl'ignobili. Io non avrei cominciato da Enrico ottavo d'Inghilterra, figura spregevole, non da presentare a donne di nazione amor semplice. Piacemi che al racconto Ella apponga la moralità, per addestrare le lettrici a farlo da sé, e smettere poi tale ammaestramento che può parere disconveniente a narrazioni composte per fin di diletto. Le cose di Russia non renda oltre al giusto cospicue; perché se quella nazione noi dobbiamo riguardare con affetto fraterno, dal governo di lei, spietato, insolento, corrotto, e corruttore, dobbiamo temere, come di micidiale contagio. Quanto alle cose di economia domestica, e di storia naturale, applicata ad essa economia domestica, converrebbe avere compagai di lavoro. Badi che a significare le cose nuove, il linguaggio sia serbico pretto, cosa ch'è agli occhi miei d'assai più che letteraria importanza. Fugga le voci straniere, come plan; e i modi men propri all'indole dell'idioma to više što (tim više) che a me pare troppo fedelmente tradotto dal tanto più che; e le figure che dalla semplicità del nostro pensare e da quella della vera eleganza, s'allontanano, come žena koja iziazi na polje slavjanske povjestnice. Prenda a modello i canti del popolo, il popolare linguaggio, lo stile delle scritture sacre, e de' greci scrittori. La Serbia, così con l'esempio della sua libertà come degli studj novelli suoi può altamente giovare tutte le stirpi slave del mezzo giomo d'Europa. Ma per ciò fare bisogna ch'essa mantenga delle antiche sue tradizioni e consuetudini il bene e nell'atto stesso, che dal male si liberi, difficile cosa. Quello di ch'io caldamente la prego, gli è ch'ella voglia con la prudente franchezza che vien dall'amore, impegnarsi di togliere gli antichi odii tra la Chiesa latina e la greca, i quali furono principal cagione delle nostre disavventure; e saranno.

Quello che il Tommaseo disapprovava dell'intraprendente Ban era l'inserzione ne «L'Educatore femminile» del racconto storico sulla sesta ed ultima moglie di Enrico VIII d'Inghilterra,[58] traduzione di un testo francese che non abbiamo potuto identificare. Inoltre, la sensibilità linguistica del Tommaseo notò che la lingua del Ban era malsicura. Tali deficienze erano sentite anche da altri e il Ban dovette sostenere allora una polemica a proposito della lingua usata ne «L'Educatore femminile».[59] Tommaseo, oltre le Iskrice, scritte in serbocroato, aveva lungamente meditato sui modi espressivi della lingua serbocroata traducendone i canti popolari (1841) e comprovando le sue conoscenze della lingua nella continua corrispondenza con Spiridione Popović,[60] poteva quindi cogliere le manchevolezze del Ban.

Nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, nel Fondo Tommaseo, la risposta del Ban non è stata conservata. Però, tra le carte del Ban si trova la minuta della risposta.6' La lettera deve essere stata spedita al Tommaseo, per il tramite triestino di Dimitrije Vladisavljevié, il quale il 4 dicembre 1847 scriveva al Tommaseo: «le invio il presente [la traduzione del Nuovo Testamento fatta da Vuk Karadàié — N.S.] unitamente ad una lettera recentemente ricevuta da Belgrado».62 Lo stesso Tommaseo aveva consigliato Ban di utilizzare questo tramite epistolare, certamente per eludere la vigilanza dei censori. La minuta non è redatta in modo definitivo e non vale la pena di riprodurla integralmente. Ban rimase colpito dagli appunti di Tommaseo sulla novella di storia inglese e se ne discolpò così:

La ringrazio dei pochi cenni critici fatti sulla mia operetta. Riconosco la giustezza di tutti, infuor di uno solo, che malgrado l'alta mia stima per il suo sapere non poté persuadermi. E vero essere Enrico 8 spregevole figura; ma non è egli che vi è proposto ad esempio, bensì la prudente e buona Catarina, che seppe insinuarsi nell'animo del più brutale fra i mariti, e rendere meno terribile il proprio destino. Quella lezione credetti e credo della più grande importanza particolarmente per le donne serbe che ben spesso incontrano nei loro mariti la brutalità di Arrigo; e dall'altro canto a questi egualmente profitterà di vedere nell'odioso monarca inglese il proprio ritratto. Il sesso feminile è ancora molto oppresso in tutta la nostra nazione, eccettuate solo alcune città della Dalmazia e Croazia: giova quindi a mostrare a nudo tutto l'odioso di questa oppressione; ed indicare alle donne l'arte di soffrirla magnanima- mente o di sottrarsi in parte, finché non sopragiunga il tempo e la crescente civilisazione ad annientar del tutto. S'Ella bene avesse avuto esatta conoscenza di questa circostanza, e di più avesse letto quel racconto sono persuaso che non lo aveebbe disapprovato.

Intrattenendosi con Gavriovié, al suo ritorno, Tommaseo certamente aveva confidato altri messaggi per il Ban, accogliendo l'offerta di «ogni fattibile servizio in Belgrado». Uno sicuramente concerneva la nuova edizione delle Iskrice, fors'anche nel caso di un viaggio in Serbia progettato da Tommaseo per l'estate successiva.[63] Matija Ban riteneva sicura l'attuazione di quest'edizione tanto bramata da Tommaseo e la commentava così:

L'impossibilità di rileggere le sue iskrize in cui mi avevano messo vani affari non sofferenti induggio ritardò la mia risposta. Ora però che ne sono libero mi affretto di avvertirla che accetto con grande piacere l'incarico di far ristampare a Belgrado il suo librettino, e ciò tanto per rendere un servizio a Lei, quanto perché si diffondano meglio e più eppurati nella nazione que' pensieri che esprimono in brevi tratti la rigenerazione quasi intera della nazione nostra. Peraltro oltre il grande effetto chessi fanno da sé soli, si potrebbe, ristampandoli farli fonte d'un effetto nuovo, importantissimo nell'epoca e tendenza attuale; si potrebbe cioè, vista la piccolezza del fascicolo e per conseguenza la tenuità della spesa, meglio che qualunque altro farlo stampare da una parte con lettere latine e dall'altra colle ciriliane. Tal esempio di letteraria tolleranza nella scissione alfabetica che partisce in due campi non ancora riconcffiati la nostra nazione [sovrapposto: letteratura, — N.S.] utilissimo sarebbe particolarmente per quei di rito greco. Inoltre l'operetta con ciò diffonderebbesi più copiosamente, allorché non solo vi spargerebbe il seme salutare che contiene, ma ancora rimborserebbe a lei il soprapiù della spesa necessaria all'esecuzione di simile disegno, mettendola così [ illeggibile ] di fare due beni alla volta senza avere a soffrirne minimo danno. Quanto alla spesa della stampa Le servirà di norma quella mia operetta: per 300 esemplari in 12° su quella carta che ha veduto pago 13. 20 f il foglio.

Ban voleva comunicare a Tommaseo anche alcune osservazioni sulla lingua delle Iskrice e lo fece in modo che non doveva piacere a Tommaseo:

Per ciò che riguarda la lingua, questa ad onta della fluidezza e semplicità che ha nella prima edizione, non è priva di errori che le fanno torto. Alcune annotazioni da me fatte sulle prime due iskrize le possono dare un'idea dei [ illeggibile ] le convenissero, io potrei a loro norma fare nell'opera intera quelle correzioni che sono rigorosamente volute dalla grammatica o dalla natura della lingua; con ciò semplicemente alcune parole cambierebbero di forma, senza che il loro ordine o il significato e per conseguenza il senso delle frasi avesse a soffrirne. Attendo su ciò la sua decisione.

Gli appunti linguistici sulla Prefazione delle Iskrice nella minuta sono cancellati. Ma notiamo lo stesso alcuni esempi. Ban consiglia a Tommaseo di sopprimere la preposizione sa o s con gli ablativi di strumento, e invece di scrivere s' iskrenim očima usare la forma iskrenim očima; di cambiare kao in kako e di scrivere kako vam je invece di kao vam je; «Invece del je pronome feminile in accusativo che si sente nel popolo, si deve dire grammaticalmente ju come raccorciato dal nju »; vorrebbe veder cambiata la frase ai ni laž ni lisičenje nijesu od moje naravi in nijesu u mojoj naravi; consiglia la sostituzione della parola knižestvo con kniževnost. Per la scintilla prima Ban adduce i seguenti esempi di correzione: 1) evitare la parola čučenja, che si sente solo in Dalmazia, pensando che più esteso sia ćutjenja, ma Ban direbbe ćutnja, come da slutiti si dice slutnja, da mutiti mutnja; 2) vorrebbe vedere corrette le desinenze del participio passato maschile in singolare secondo questa regola: «quei participi che hanno nel femminile ala devono tutti terminare in -ao come gledala gled-ao, trajala traj-ao; quelli poi che finiscono solo in la preceduto da una consonante, hanno il maschile semplicemente in -o come mogla mo go pukla puko stigla sti go . Dunque in tutti i casi la desinenza la del feminile si cangia in o nel maschile»; 3) il verbo čuti, riferendosi all'udito, si dovrebbe sostituire col verbo osjetiti; 4) evitare il troncamento della a finale nei sostantivi: non — k nebesim, ma — k nebesima; 5) cambiare il da in što nella frase veliko je drznovane moe da počinjem pisati; 6) correggere la frase kad bi se mogo ufati in kada bi mogo ufati. Alcune citazioni sono trascritte in cirillico dell'epoca, certamente per mostrarne al Tommaseo l'esempio.

Riferendosi alla sentita invocazione tommaseiana sull'impegno di togliere «gli antichi odii tra la Chiesa latina e la greca», il Ban asserisce, terminando la lettera, che «si è molto fatto, si fa, e si farà non solamente in Serbia ma anche nelle limitrofe province».

Com'è noto, la progettata edizione delle Iskrice non vide la luce a Belgrado. L'anno dopo, a Zagabria, venne pubblicata la seconda edizione a cura di Ivan Kukuljević Sakcinski.

La lunga assenza di Tommaseo, i due mesi di carcere, ed infine la rivoluzione del ‘48-49 avevano interrotto la corrispondenza ed i contatti tra Ban e Tommaseo. E non vennero ripresi in futuro, almeno secondo le notizie che sono conservate nelle carte dell'uno e dell'altro scrittore. Quarant'anni dopo, in occasione dell'erezione del monumento al Tommaseo a Sebenico, Matija Ban ebbe a scrivere questa breve poesia:[64]

Grande d'ingegno fosti,
Grande altresì di cuore;
D'umanità decoro,
Della tua patria onore.

A te tu stesso ergesti
Il più bel monumento:
Noi non facciam col nostro
Che un umile memento.

Note:

  1. J. IGNJATOVIĆ , Memoari, a cura di Živojin Boškov, Beograd, Srpska književna zadruga 1966, pp. 57-38.
  2. Cfr. G. NOVAK, Petar Petrović Nfegoš i Nikol.a Tomazeo, «Politika», Beograd, 6-9 gennaio 1935; A. SCHMAUS, Nikola Tomazeo, «Prilozi proučavanju narodne poezije», Beograd, I, 1934; M. ZORIĆ, Nekoliko pisama iz ostavštine Nikole Tommasea, «Zadarska revija», VIII, 4 dicembre 1959; K. MILUTINOVIĆ, Vuk i Tommaseo, «Savremenik», Beograd, XI. 7 luglio 1965; M. ZORIĆ, Carteggio Tommaseo-Popović, I (1840-41), «Studia romanica et anglica zagrabiensia», 24/1967, 11 (1842-43), 27-28/1969; N. STIPČEVIĆ, Još o Vuku i Tomazu, «Kovčežič», Beograd, XII, 1978.
  3. S. NOVAKOVIĆ, Istorija sipske književnosti, Beograd 1871 2 , p. 3 15 .
  4. M. Đ. MILIĆEVIĆ, Pomenik znamenitih ljudi u srpskog naroda novijega doba, Beograd 1888, pp. 717-718.
  5. Ibidem, p. 717.
  6. SR. STOJKOVIĆ i V. ĆOROVIĆ, Istorija Srpske književne zadruge, Beograd 1932, p. 15.
  7. Cfr. N. STIPČEVIĆ, Duzepe Marini i Vladimir Jovanović, Poglavlja o italijansko-srpskim kulturnim odnosima - III, «Prilozi za književnost, jezik, istoriju i folklor», Beograd, XXXVIII, 3-4 , 1972, pp. 163-210.
  8. Cfr. N. STIPČEVIĆ, Vinčenco Miagostović i njegov prevod ‘Pesme o pesmi, «Zbornik Matice srpske za književnosti i jezik», Novi Sad, XX. 1, 1972, pp. 20-28.
  9. Cfr. I. MILČETIĆ, O životu i književnom radu Nikole Tommasea, in Niko1a Tommaseo, Iskrice, quarta edizione. Zagreb, Matica hrvatska 1888, pp. IX-LXXIX. Cfr. anche Io scritto posteriore di I. MILČETIĆ, Nikola Tommaseo, «Hrvatsko KoIo». Zagreb 1905, pp. 308-336.
  10. Cfr. N. STIPČEVIĆ, Jedan Matavuljev predgovor?, «Prilozi za književnost, jezik, istoriju i folklor». Beograd, XXXVIII, 3-4. pp. 334-338.
  11. N. TOMAZEO, Iskrice. Beograd, Srpska književna zadruga, 1898.
  12. Spska književna zadruga e 1889 godini, godišnji izveštaj, rad Šeste redovne skupštine..., Beograd 1899, p. xxi.
  13. M. CAR, Nikola Tomazeo prama Srpstvu, «Letopis Matice srpske», 225, 1904, 1-24.
  14. Il carteggio Tommaseo-Spiridione Popović, edito magistralmente da Mate Zorić in «Studia romanica et anglica zagrabiensia» citato, illustra fedelmente il travaglio linguistico provato dal Tommaseo nell'apprendere l'«illirico» e nello scrivere le Iskrice.
  15. M. CAR, Moje simpatije, Zadar, E. de Schönfeld 1913, pp. 243-278.
  16. J. GRČIĆ, Istorija srpske književnosti, Novi Sad 1906 2 , pp. 108, 173-174.
  17. J. GRČIĆ, Štivo uz istoriju srpske književnosti, Novi Sad 1906, pp. 532-533,
  18. J. SKERLIĆ, IstorIja nove srpske knjtievnosti, Beograd, S. B. CvijanoviĆ 1914.
  19. Citiamo la nuova edizione: Beograd, Prosveta 1967. pp. 273-276.
  20. Ibidem. p. 273.
  21. Ibidem, p. 274.
  22. J, SKERLIĆ, Omladina i njena književnost (1848-1871). Beograd, Prosveta 1966 (prima edizione: 1906).
  23. L. BALDACCI in Introduzione ai Poeti minori dell'Ottocento. I. Milano-Napoli, Ricciardi 1958. p. x.
  24. B. CROCE , Storia d'Europa nel secolo decimonono, Bari, Lalerza 1957 7 , p. 336.
  25. N. TOM.AZEO i Lj. VULIČEVIĆ, Celokupna dela, Beograd s.d.. Narodna prosveta (ma 1929).
  26. Nikola Tomazeo kao srpski književnik, cit., pp. xi-xxvi.
  27. C. CATTANEO, ‘Fede e Bellezza di Niccolo Tommaseo, «Politecnico», III, 1840. pp. 166-176: una delle recenti ristampe l'abbiamo in Critici dell'età romantica, a cura di C. Cappuccio. Torino, U.T.E.T. 1961. pp. 205-215; la citazione è a pagina 206. A titolo di curiosità, giova ripetere che la recensione del Cattaneo venne copiata ed inviata dalla direzione di polizia austriaca di Venezia al direttore di polizia a Zara. accompagnata da seguenti frasi: «il giornale del Politecnico che si stampa periodicamente a Milano fece una assai svantaggiosa censura del libro e toccò accerbamente anche del di lui autore, marcando non solo i difetti di lingua; ma ciò che più monta, rilevando la sconcezza dell'espressione e dei fatti narrati del detto autore» (Archivio Storico di Zadar/Zara, Misc. 23 Poz. 13, 1. 3). S'intende, non abbiamo corretto le parole poliziesche.
  28. J. SKERLIĆ, Istorija nove srpske književnosti, Cvijanović, Beograd 1914: leggiamo la nuova edizione: Prosveta, Beograd 1967, pp. 202-203.
  29. Cfr. M. POPOVIĆ, Načertanije i srpski pisci oko četrdesetosme, «Savremenik», 6, 1958; V. ERĆIĆ , Istorijska drama u Srba od 1736 do 1860, Institut za književnost i umetnost, Beograd 1974, pp. 429-445.
  30. Cfr. I. TARTALJA , Počecj radana istoriji opšte književnosti kod Srba, Srpska akademija nauka i umetnosti, Posebna izdanja, 379, Beograd 1964, pp. 69-80.
  31. I. TARTALJA, op. cit., pp. 70-7 1 n.
  32. Arhiv Istorijskog instituta u Beogradu (Archivio dell'Istituto storico di Belgrado), V/1.
  33. G. JAKŠIĆ – D. STRANJAKOVIĆ, Srbija od 1813. do 1858. godine. Geca Kon. Beograd s.d.. pp. 88-89.
  34. LJ. DURKOVIĆ-JAKŠIĆ, Branislav, prvi jugoslovenski ilegalni list. Beograd, Naučna knjiga 1968. p. 40.
  35. Ibidem, p. 40.
  36. A. TAMBORRA, L'Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (1800-1 920), parte prima, Milano, Vallardi 1973, p. 117.
  37. Cfr. L. DURKOVIĆ-JAKŠIĆ. op. cit., p. 40. Nei «Conseils sur la conduite à suivre pa rla Serbie», del gennaio 1843 (Archivio Czartoryski, 5404. si trovano suggerimenti per un lavoro culturale organizzato. Citiamo M. HANOELSMAN (Czartorvski, Nicolas 1” et la Question dv Pi-oche Oriente, Paris. Edmons A. Pedone 1934, p. 34): «Appuvée sur les Etats occidentaux, surtout sur la France. et liée intimement avec les Polonais, la Serbie devrait sans perdre de temps organiser son admiinistration, creer une vie littéraire et scientifique intense, établir de l'ordre dans l'intérieur de son Etat, fonder une Banque nationale. Elle pourrait disposer pour toutes ses entreprises dans une large mesure des forces intellectuelles de l'émigration polonaise». Matija Ban, nei primi anni del suo soggiorno a Belgrado, si atteneva strettamente ai consigli dei Polacchi.
  38. Viene citato per ovvie ragioni il testo italiano della redazione definitiva, a cura di Mate Zorić, «Studia romanica et anglica zagrabiensia», 4. december 1957, pp. 63-64.
  39. J. IGNJATOVIĆ, Memoari. a cura di Živojin Boškov, Srpska književna zadruga, Beograd 1966, p. 57.
  40. Cfr. L. DURKOVIĆ-JAKŠIČ, Branislav, cit., p. 32.
  41. Iskrice moralne od Matije Bana, «Dubrovnik, cvet narodnoga knjižtva». za godinu MDCCCLI, III. svezak, Tiskara Franje Zupana, u Zagrebu 1852, pp. 117-130.
  42. Ibidem. pp. 131-169.
  43. Molti anni dopo, Matija Ban raccolse le sue Iskrice: Moraine i politifke iskrice ti slovenske istorzje. Beograd 1888. 123 pp.
  44. Cfr. V. ZEREMSKI, ecc., Sedmica, sadržaj i predmetni registar, Novi Sad, Matica srpska 1972, p. 41.
  45. Cfr. J. DAYRE, Kukuljević i Tommaseo, Obzor Spomen-knjiga 1860-1935.
  46. Sul giornale cfr. la citata monografia di Ljubomir Durkovič-Jakšić.
  47. «Molim vas da u Serbii pečatane budu kako sam ih ja poslao vamikar tskrice moje»; lettera del 1. aprile 1845; Iskrice od Nikole Tommasea, druge popravljeno izdanje s predgovorom i s ulomci nekoliko listovah spisatelja na izdatelja pèrvoga izdanja, u Zagrebu, tiskom Dra. Ljudevita Gaja. 1848, pp. 6-7.
  48. Cfr. DR DJURO ŠURMIN, Censura Tommaseovih Iskrica, «Nastavni vjesnilo>, XXX, 1971. pp. 374-376.
  49. Cfr. L. DURKOVIĆ-JAKŠIČ. Branis/av, cit., p. 185.
  50. Il viaggio del Gavrilović ebbe anche effetti culturali. Il Gavrilović dette un'informazione sui manoscritti slavi nelle biblioteche di Venezia e di Milano ed esaurienti memorie di viaggio in Italia riportando notizie precise sui monumenti artistici dell'Italia settentrionale (austriaca), memorie pubblicate a puntate nei giornali del tempo.
  51. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Tommaseo, 52, 72.
  52. Vospitatelj ženskoi, piše Matija Ban o Beogradu, 1847, I.
  53. Cfr. I. TARTALJA . op. cit., p . 74.
  54. R CIAMPINI. Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze, Sansoni 1945, p . 313.
  55. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Tommaseo, 52, 71.
  56. L'espressione è di Giovanni Papini, nel saggio-prefazione Sul Tommaseo scrittore in Niccolò Tommaseo, Sul numero, Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Tommaseo, I, p. XII.
  57. Vedi per esempio la lettera alla redazione del «Neven» di Rijeka, VII, 12, 19 giugno 1858, pp. 187-188.
  58. Katarina Par, šesta i poslednja žena Ariga VIII, Vospitatelj ženski, cit., pp. 7-33.
  59. Cfr. P. MARINKOVIĆ, Pozdrav vospitatelju ženskom, Podunavka, 1847, n. 45, pp. 183-184.
  60. Cfr. Carteggio Tommaseo Popović, 1(1840-41), a cura di M. Zorić, «Studia romanica et anglica zagrabiensia», 1967, 24, pp. 169-240: 11 (1842-43), ivi, 1969, 27-28, pp. 207-294.
  61. Arhiv Istorijskog instituta u Beogradu (Archivio dell'Istituto storico di Belgrado), 11/1; la minuta è datata 31 ottobre / 12 novembre 1847.
  62. Su Dimitrije Vladisavljević cfr. L. DURKOVIĆ-JAKŠIČ, Prilog istoriji srpske pravoslavne crkvene opstine u Trstu. estratto da «Bogoslov1je», 1970. pp. 109-112.
  63. Cfr. M. ZORIĆ, Nekoliko pisama iz ostavštine Nikole Tommasea, «Zadarska revija», VIII, 4, dicembre 1959, p. 409. Dimitrjje Vladisavljević, corrispondente di Tommaseo e di Vuk Karadžić, nella lettera del 28 dicembre 1847, scriveva a Vuk: «Cmi mi se da namjerava [Tommaseo] na ljeto poći u Srbi;u za koje vrijeme, pa bojim se da se ne nađe uvređen od naših Bigota»; ct'r. Vukova prepiska, IV, p. 482.
  64. XXXI Maggio MDCCXCVL Niccolò Tommaseo e il suo monumento in Sebenico, Sebenico 1897, p. 141.

Nikša Stipčević, Tommaseo e la Serbia , in: Niccolò Tommaseo e Firenze. Atti del Convegno di studi, Firenze, 12-13 febbraio 1999, a cura di R. Turchi e A. Volpi, Firenze, Leo S. Olschki Editore, MM, pp. 253-271 .

 

Први пут објављено: 1999
На Растку објављено: 2008-02-26
Датум последње измене: 2008-02-26 08:56:09
 

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