Persida Lazarević Di Giacomo

La letteratura serba "in esilio" a Venezia

tra la fine del ‘700 e l’inizio dell ’800

 

Nel brano in cui parla delle tipografie serbe a Venezia (dal XV fino al XIX secolo) Lazar Plavšić afferma in modo sintetico: "A dire il vero, alla fine bisogna sottolineare che i veneziani, indipendentemente dai motivi che li spinsero a rendere possibile lo sviluppo della nostra stampa, obiettivamente ci aiutarono: primo, a entrare nella cerchia di quei popoli presso i quali l’arte tipografica si era fatta strada già negli anni ’90 del XV secolo; secondo, a conservare, stampando libri, la nostra nazionalità e a sviluppare la nostra capacità scrittoria e la nostra cultura spirituale e temporale nelle condizioni di schiavitù nella quale ci trovavamo sotto i turchi."[1]

E davvero per i serbi – i cui centri culturali fino al XIX secolo si trovarono al di fuori dei confini geografici delle loro terre (Monte Athos in Grecia, Sremski Karlovci e Novi Sad che erano, all’epoca, in Ungheria, e poi Budapest, e Vienna) – Venezia rappresentava il punto più occidentale della loro cultura: già nel XVI secolo, quando a Venezia forestieri d’ogni stirpe e professione avevano trovato il luogo ideale per stabilirsi e prosperare, per circa quarant’anni fu attiva la tipografia del montenegrino Božidar Vuković (1466-1539), la cui attività fu poi continuata dal figlio Vicenzo (Vikentije, Vićentije) e da altri che rilevarono la stamperia[2]. Non è nostro intento, però, soffermarci su questo argomento, perché i libri usciti da quella stamperia sono tutti di carattere liturgico.

Ci interessa, invece, il periodo successivo, quello che ha inizio con la rinascita del libro serbo, ovvero con l’apertura a Venezia, nel 1758, dell’azienda del greco Demetrio Teodosio, il quale stampa in greco, armeno e turco (con caratteri greci), e poi ad un certo punto acquista i caratteri cirillici e comincia a stampare libri per gli slavi di fede ortodossa.

Va detto che la Serenissima, proprio perché centro di una fitta rete di traffici, e di conseguenza luogo ideale per la nuova arte della stampa, attira anche gli scrittori serbi, i quali, non avendo all’epoca una loro tipografia (nonostante le loro continue richieste alla corte di Vienna di poterne avere una[3]), si trovano costretti a cercarla altrove. La città lagunare, con la sua ricchezza, la piacevolezza del vivere e il clima cosmopolita, offre un rifugio culturale ideale agli scrittori serbi della nuova generazione, i quali all’epoca si trovano a Venezia in condizioni di vero e proprio esilio.

Un fatto è rilevante e innegabile: quei pochi scrittori legati, per la loro attività, alla città di Venezia, costituiscono un importante punto di riferimento nella periodizzazione della letteratura serba. Il primo poeta che volle pubblicare le proprie poesie – e per questo motivo si diresse a Venezia – fu Zaharija Orfelin (1726-1785), "il personaggio più importante nella poesia serba del XVIII secolo"[4]. Ancora non ci è noto perché Orfelin (nativo di Vukovar in Croazia) abbia scelto proprio la città lagunare per pubblicare i propri testi; sta di fatto che, come sostiene Laza Čurčić, fece il meglio che si potesse fare in quel momento: "Scelse la strada migliore e arrivò al posto giusto, alla Mecca del libro serbo, a Venezia."[5]

Non furono, però, i libri di Orfelin i primi ad essere stampati nella tipografia di Demetrio Teodosio. Molto probabilmente il primo libro serbo fu un salterio, finito di stampare nel mese di aprile del 1761; in quell’anno furono pubblicati anche altri libri di preghiere: un Trebnik e un Molitvoslov, quest’ultimo forse il più bel libro serbo stampato a Venezia tra il 1761 ed il 1813. Anche se Miroslav Pantić ha chiarito molti equivoci sullo stampatore Demetrio Teodosio e la cultura serba dell’epoca[6], è significativo che Laza Čurčić metta in risalto che dietro le pubblicazioni di quei libri ci fosse, con molta probabilità, come editore Zaharija Orfelin stesso. Sappiamo con certezza che dal suo arrivo a Venezia, dove rimase sia pure con interruzioni, per circa otto anni, Orfelin trovò impiego presso la tipografia di Demetrio Teodosio come revisore di testi; tuttavia Ćurčin sostiene che l’idea di Teodosio di pubblicare libri serbi potesse avergliela data solo qualcuno che di lettere serbe se ne intendeva ossia Orfelin stesso[7].

In quello stesso 1761 esce dai tipi di Demetrio Teodosio anche una poesia di Orfelin, intitolata Gorestni plač slavnija inogda Serbiji [Pianto amaro della Serbia un tempo gloriosa], scritta in russoslavo. Questo canto, impostato sul tema del pianto collettivo, uscì l’anno successivo anche in versione serba, Plač Serbiji [Pianto della Serbia], e come tale rappresenta "la prima opera della letteratura serba in cui il dolore per le disgrazie serbe si trasforma in ribellione contro gli oppressori esterni e interni del popolo."[8]

Si suppone che Orfelin, nuovamente in veste di editore, sia promotore di alcune altre pubblicazioni: una di queste è Kratkoje vvedenije v istoriju proishoždenija slavenoserbskago naroda di Pavle Julinac. Julinac o Đulinac (1730-1785), storico e traduttore, console russo a Napoli, pubblicò nel 1765 questa Breve introduzione all’origine dei popoli slavoserbi, dedicata a Simeon "Černojević", capitano nel reggimento di Is’mail. Si tratta di un lavoro di poco valore storico e letterario, ma importante, benché compilativo, per il fatto di essere il primo del genere presso i serbi e, in quanto tale, estremamente utile, considerando anche il suo valore patriottico: Julinac scriveva con il semplice intento di far conoscere ai serbi il loro passato[9].

Due anni dopo, sempre probabilmente con Orfelin in qualità di editore di manuali scolastici, escono a Venezia Novaja serbskaja aritmetika [Nuova aritmetica serba] del senatore di Sombor e scrittore Vasilije Damjanović (1734-1792) – prima opera del genere presso i serbi –, e il primo manuale serbo per le scuole medie superiori, pieno di mistificazioni, e più volte copiato e venduto dopo la sua pubblicazione nel 1767, cioè Epitom di Dionisije Novaković (1705-1767) di Cattaro, scrittore di testi ecclesiastici, professore di filosofia e teologia a Novi Sad, apprezzato predicatore in Croazia e a Buda.

Facendo un passo indietro, va rilevato che nel 1765 Demetrio Teodosio, oltre alla breve storia dei serbi di Julinac, pubblicò anche Melodija k proleću [Melodia alla primavera] di Orfelin, insieme alla sua Pesn istoričeska [Poesia storica], e ripubblicò, in russoslavo, Pravila molebnaja svjatih serbskih prosvjetitelej [Regole della preghiera dei santi serbi], cioè il famoso Srbljak[10]. Le tre pubblicazioni confermarono indubbiamente il crescente interesse, in quel tempo, per la storia nazionale, o meglio: "quei tre libri sono esempi convincenti della presenza di temi storici nella letteratura e l’arte serba del XVIII secolo."[11]

L’opera più importante che Orfelin pubblica, nel 1772, presso il tipografo veneziano è Žitije i slavnija djela Gosudarja Imperatora Petra Velikago [Vita di Pietro il Grande]. Si tratta di un’opera di due volumi di circa 800 pagine complessive, in due edizioni, la quale segna, secondo Milorad Pavić, l’inizio del romanzo storico serbo moderno[12].

L’opera per la quale Orfelin sarà maggiormente ricordato nella letteratura serba, uscita sempre per i tipi di Demetrio Teodosio nel 1768, è tuttavia lo Slavenoserbski magazin [Magazzino[13] slavoserbo] – la prima rivista letteraria e scientifica dei serbi e degli slavi meridionali, redatta sull’esempio delle Ežemesjačnyja sočinenija russe; la rivista è importante anche perché fa di Orfelin ‘capostipite’ della stampa periodica jugoslava. Ne uscì, purtroppo, un unico numero, ma, dato il suo intento di divulgazione culturale, si presentò con tutte le caratteristiche di una vera rivista, con tanto di critiche letterarie e di recensioni.

In questa sede va evidenziato anche un dettaglio riportato da Pavel Josef Šafařík, e ripreso in seguito da Dimitrije Ruvarac[14], e cioè che a Venezia Zaharija Orfelin istituì una società dotta per la letteratura slavoserba. Ma la storiografia letteraria slava meridionale non ha ancora dimostrato quanto questo dato possa essere vero.

A distanza di qualche anno dal soggiorno di Orfelin nella città lagunare, in Italia viaggia il più importante scrittore della letteratura serba moderna, colui che segna lo spartiacque tra la vecchia letteratura ecclesiastica e quella nuova: Dositej Obradović (1739-1811). Lo scrittore e pedagogo, rappresentante dell’illuminismo serbo, a Trieste, dove si trovava già nel 1779, conosce un ricco viaggiatore russo, un certo archimandrita Barlaam, il quale lo prende con sé come maestro d’italiano. Verso la fine dell’anno 1779 i due giungono nel capoluogo veneto e vi passano il carnevale, per arrivare poi a Ferrara nella primavera del 1789, dove rimangono fino a Pasqua.

Sebbene Dositej pubblichi la maggior parte delle proprie opere a Lipsia (come d’altronde Emanuil Janković, mentre quasi tutti gli altri scrittori serbi andavano dal viennese Kurzböck, oppure a Buda, nella stamperia universitaria di Pesth), non vanno dimenticate le opere che egli fece stampare a Venezia: Jovan Skerlić, per esempio, ritiene che nel 1796 esca la traduzione di Dositej di Tolkovanije voskresnih evangeliji, che il mitropolita Stefan Stratimirović aveva vietato in Serbia[15]. Nel 1803, nella stamperia "grecoslava" di Pano Teodosio, Dositej pubblica Etika ili filosofija naravoučitelna, traduzione di Istituzioni di Etica del filosofo italiano Francesco Soave. Sappiamo che Dositej rimane a Venezia dall’aprile del 1803 all’aprile del 1804, e che in quell’anno esce a Venezia anche la sua Pjesna na insurekciju Serbijanov [Poesia ai serbi insorti]. Quattro anni dopo fa pubblicare i versi dedicati ad Alessandro I, insieme a quelli per l’emissario russo Konstantin Konstantinovič Rodofinikin (Stihi na Noviji God 1808, sočineni v Belgrad ot Serbov, Velikomu Gosudarju Carju i Samoderžcu Vserosiskomu Aleksandru Pavloviču. – Ini stihi Aleksandru Pavloviču. – Ini Stihi Visokoprevoshoditelneišemu Gospodinu Generalu Rodofiniku.).

Nel periodo in cui Dositej soggiorna a Venezia con l’intento di pubblicare la sua Etica, vi conosce un altro serbo della Croazia, Pavle Solarić (1779-1821), anche lui arrivato molto probabilmente nel 1803. Il 10 dicembre di quell’anno Solarić incontra a Padova Dositej Obradović e Atanasije Stojković (1773-1832), scrittore, geografo e fisico serbo. Dopo questo incontro, durato due giorni, Solarić decide di dedicare la propria vita alla letteratura esclamando: "Benedetti giorni! E questa cena segreta della Trinità, fatta nel punto più occidentale tra tutte le terre abitate da slavi."[16]

Sappiamo che dal 1804 Pavle Solarić, pur con qualche interruzione, vive a Venezia fino alla morte, e lì rimane a contatto con italiani e greci, lavorando come correttore per la stamperia di Pano Teodosio (che aveva ereditato l’azienda da Demetrio Teodosio). Solarić, che compare nella letteratura serba come geografo, filologo e filosofo, a Venezia pubblica ben tredici opere di generi diversi. È interessante inoltre notare che questo vivace personaggio a Venezia fu al centro di intensi contatti e ricchi scambi culturali. È noto, per esempio, che Dositej collaborò a Novo graždansko zemljeopisanije [Geografia politica della nuova era], che Solarić pubblicò nel 1804, traduzione, in realtà, di uno scritto del tedesco Adam Christian Gaspari. Molto probabilmente in quell’anno Dositej intendeva "fondare un bell’istituto tra la nostra gente"[17] insieme a Solarić. Skerlić commenta che Dositej "introduce per primo il concetto dì unità nazionale dei serbi di tutti i paesi, indipendentemente dalle regioni in cui vivono o dagli stati ai quali appartengono, e quindi dei serbi d’Ungheria, dei serbi di Turchia, dei serbi di Montenegro e dei serbi sudditi della Repubblica di Venezia."[18] Dositej lascia Trieste il 13 giugno del 1806 per raggiungere i propri connazionali insorti. Quella sarà l’ultima volta che i due si vedranno, ma da quel momento in poi si manterranno in contatto epistolare.

Solarić continua a pubblicare a Venezia, e nel 1809 escono tre sue traduzioni[19], mentre nel 1810 esce Pominak knjižeski – ossia un prezioso catalogo dei libri slavi pubblicati a Venezia fino al 1810; il catalogo, in realtà, occupa meno spazio dell’introduzione dello stesso Solarić, anch’essa interessante soprattutto per le concezioni filologiche dell’autore, grazie alle quali venne apprezzato da Vuk Stefanović Karadžić (con cui era in corrispondenza epistolare). A dire il vero, nell’approccio verso la lingua, Solarić non ebbe idee chiare quanto quelle di Dositej, e nei confronti della diglossia dei serbi e dell’alfabeto rimase, similmente a Lukijan Mušicki, su posizioni ambigue.

La questione della lingua, e il soggiorno di Solarić a Venezia si collegano anche alla sua amicizia e collaborazione con il croato Ivan Kreljanović Albinoni (1777-1838) di Zara, e con l’italiano, quasi slavizzato, Francesco Maria Appendini (1768-1837), filologo, storico e poeta nativo di Torino. Miroslav Pantić, che ha avuto il merito di aver scoperto il legame letterario esistente fra i tre[20], sostiene che Kreljanović (che abitava nei pressi di Venezia) abbia incontrato Solarić proprio nella tipografia di Pano Teodosio. L’incontro, a quanto pare, non rimase senza conseguenze, e Kreljanović molto probabilmente ebbe occasione di leggere anche lo scritto di Solarić sulle affinità linguistiche tra slavi e romani, Rimljani slavenstvovavšiji (pubblicato a Buda nel 1818), che portò all’autore tante critiche e commenti controversi. Kreljanović e Solarić condividevano l’ammirazione per il glorioso passato della lingua slava, e il libro di Solarić rappresenta comunque una collaborazione tra un serbo e un croato "nel momento in cui era tanto lontano e tanto raro il pensiero di un riavvicinamento tra i loro popoli […]."[21]

Non fu questo, però, l’unica occasione di collaborazione tra i due: va ricordato anche l’articolo che essi pubblicarono su "l’Osservatore triestino" il 6 e il 9 maggio del 1820 (nn. 55 e 56), dal titolo Cenni sopra la lingua e letteratura illirica. A tal proposito Pantić sostiene che si tratta sicuramente del "[…] primo tentativo della nostra gente di presentare la lingua e la letteratura dei serbi e dei croati, presi insieme e considerati un tutt’uno, ai lettori di un mondo reale, nella fattispecie agli italiani."[ 22]

Non va dimenticato, in questa sede, nemmeno il fatto che a Venezia Solarić si incontri anche con Gerasim Zelić (1752-1828), un archimandrita della Dalmazia, che era decisamente contrario al passaggio degli ortodossi alla chiesa uniate. Similmente a Dositej, anche Zelić scrisse, senza grandi pretese letterarie, la propria autobiografia intitolata Žitije, e chiese il parere di Solarić per un’eventuale pubblicazione. Nonostante la promessa, Solarić non trovò il tempo né per correggere lo scritto né, tanto meno, per pubblicarlo (il testo fu stampato poi a Buda nel 1823).

Sempre a Venezia, Solarić avrà anche occasione di incontrare un altro scrittore serbo di Dalmazia, il protosincello Kirilo Cvjetković (1791-1857), il quale, durante il suo soggiorno veneziano, ebbe modo di vedersi con Solarić almeno una volta al giorno, come narra nella sua Avtobiografija[23].

Solarić muore a Venezia nel 1821. Per la qualità della sua opera non è sicuramente paragonabile a Dositej, ma per la vastità dei suoi scritti, e l’ampiezza degli argomenti trattati, egli certo rappresenta uno dei più importanti scrittori serbi a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800. Riportiamo in tal senso il commento di Stanko Korać: "Egli ha introdotto nello spirito serbo nuovi contenuti, ha allargato gli orizzonti e ha lottato affinché lo sviluppo spirituale serbo si collegasse con lo sviluppo spirituale dell’Europa civile la quale andava conquistando gli spazi in tutte le sfere della vita e stava creando un cittadino autocosciente."[24]

Dopo Pavle Solarić non vi sono altre figure importanti che soggiornano a Venezia e nello stesso tempo occupano un posto preminente nella letteratura serba. Già successivamente al 1770, quando il monopolio per la stampa dei libri illirici passa nelle mani di Joseph Kurzböck di Vienna, Venezia perde attrattiva per coloro che desiderano stampare scritti in caratteri cirillici; dalla prima metà dell’800 sarà Vienna il più importante centro culturale per la diffusione della cultura serba, al di fuori e all’interno dei confini delle terre abitate dai serbi.

Dušan J. Popović ha tuttavia notato che nel XVIII secolo i serbi (in tutte le regioni) vantavano circa una ventina di figure che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare o con la letteratura o con la scienza[25]. Un numero decisamente esiguo, ma che mette ancora di più in evidenza il ruolo di Venezia quale centro di cultura per la società serba, poiché tra quella ventina di letterati i più significativi soggiornarono e operarono proprio nella città lagunare.

A questo va aggiunto anche un altro elemento da non sottovalutare e messo in risalto da Laza Čurčić: nel suo volume sulle stamperie serbe, lo studioso sostiene che l’arte tipografica veneziana abbia influito su quella serba, anche per quanto riguarda l’aspetto esteriore[26], dal momento che nella seconda fase, settecentesca, di fioritura della stampa serba a Venezia, i libri serbi si trovarono nuovamente sotto l’influsso dell’esperienza e della moda veneziana. Tuttavia, anche se alcuni elementi tipografici rinascimentali veneziani (la rilegatura, la forma dei caratteri, le iniziali, le vignette, ecc.) vengono accolti nella tradizione libraria bizantina, il libro serbo continua a mantenere la propria tradizione, e non inserisce, per esempio, né frontespizio né la numerazione delle pagine.

In conclusione possiamo dunque affermare che, a partire dall’aspetto formale, il libro serbo, pur accettando gli ornamenti veneziani dell’epoca, rimase comunque all’interno della cornice bizantina, così come l’intera produzione letteraria degli scrittori serbi coevi "in esilio" a Venezia rimase fedele a se stessa. Benché soggetti all’influsso delle mode veneziane e della cultura dell’Europa occidentale del XVIII secolo, secolo dell’illuminismo, essi conservarono infatti il timbro bizantino, e l’impronta della cultura d’origine.

Note:

  1. L. Plavšić, Srpske štamparije od kraja XV do sredine XIX veka, Beograd, 1959, 220.
  2. Pet vekova srpskog štamparstva 1494-1994, prir. M. Pešikan, K. Mano-Zisi, M. Kovačević, Beograd, 1994, 85-92. L’argomeno è stato peraltro già trattato da Simonetta Pelusi nell’articolo Il libro liturgico veneziano per serbi e croati fra Quattro e Cinquecento in Le civiltà del libro e la stampa a Venezia. Testi sacri ebraici, cristiani, islamici dal Quattrocento al Settecento, Venezia, 2000, 43-52.
  3. N. Gavrilović, Istorija ćirilskih štamparija u Habzburškoj monarhiji u XVIII veku, Novi Sad, 1974, 13-16.
  4. J. Deretić, Istorija srpske književnosti, Beograd, 1996, 151.
  5. L. Čurčić, Zaharija Orfelin i srpska knjiga, "Bibliotekar", 28, 3-4, maj-avgust 1976, 395.
  6. M. Pantić, Štampar starih srpskih knjiga Dimitrije Teodosije, "Prilozi za književnost, jezik, istoriju i folklor", XXVI, 3-4, 1960, 206-235.
  7. B. Čalić, Orfelin, Vukovar, 1995, 14.
  8. L. Čurčić, Zaharija Orfelin i srpska knjiga, op. cit., 401.
  9. È interessante (e rappresenta decisamente un caso raro) il fatto che l’opera di Julinac abbia influenzato quella del croato Miho Marija Milišić (1711-1798), Regum Slavorum et Bosniensium Ducum Brevis Historia.
  10. Luogo di pubblicazione: Mosca. Va qui ribadito che molti dei libri che uscirono dalla tipografia veneziana di Demetrio Teodosio hanno come luogo di pubblicazione Mosca, S. Pietroburgo oppure Kiev. Vari motivi condizionarono tali scelte: il principale, forse, era dovuto al fatto che il pubblico letterario serbo preferiva avere a che fare con i libri "russi", in quanto considerati sicuri dal punto di vista dell’ortodossia. Sono inoltre da prendere in considerazione problemi di tasse, di censura veneziana, e anche le propensioni personali di Orfelin.
  11. D. Davidov, Zaharija Orfelin, Beograd, 2001, 21.
  12. M. Pavić, Istorija srpske književnosti baroknog doba (XVII i XVIII vek), Beograd, 1970, 348.
  13. Così Bruno Meriggi traduce il termine "Magazin" in Le letterature della Jugoslavia, Firenze, 1970, 74
  14. D. Ruvarac, Zaharija Orfelin životopisno-književna crta, Spomenik SKA, X, 1891, 78.
  15. J. Skerlić, Srpska književnost u XVIII veku, Beograd, 1923, 254.
  16. P. Solarić, Gozba, prir. Z. Krstanović, Beograd, 1999, 164.
  17. J. Skerlić, Srpska književnost u XVIII veku, op. cit., 286.
  18. Ibid., 307.
  19. Sverh vospitanija k čelovjekoljubiju; Mudroljubac indijski; O Samosti.
  20. M. Pantić, Solarić, Kreljanović, Apendini in Iz književne prošlosti, Beograd, 1978, 440-470 ("Prilozi za književnost, jezik, istoriju i folklor", 1957/XXIII, 22-42).
  21. Ibid., 453.
  22. Ibid., 463.
  23. Avtobiografija protosinđela Kirila Cvjetkovića i njegovo stradanje za pravoslavlje (fototipsko izdanje, prir. G. Maksimović), Herceg Novi, 2004, 94.
  24. S. Korać, Pregled književnog rada Srba u Hrvatskoj, Zagreb, 1987, 89.
  25. D. J. Popović, Srbi u Vojvodini, Novi Sad, 1957, 411.
  26. L. Čurčić, Srpske knjige i srpski pisci 18. veka, Novi Sad, 1988, 203.

Persida Lazarević Di Giacomo: La letteratura serba "in esilio" a Venezia tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, PaginaZero – Letterature di frontiera, n. 9, giugno 2006, str. 7-13.

 

На Растку објављено: 2008-01-27
Датум последње измене: 2008-01-27 12:51:51
 

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